SATOR-CISTERCENSI-TERDONA-STORIA E MITI
IL MISTERO DEL SATOR
Fino agli inizi del Novecento,in alcune province tedesche si attribuiva al Sator il potere di guarire dall'idrofobia' :impresso su un'ostia lo si faceva inghiottire a chi era stato morsicato da un cane rabbioso.Un altro magico potere che. nel Medioevo, si attribuiva alla frase palindroma era quello di far ballare le ragazze: lo si legge, ad esempio, nel trattato di magia De secretìs mulierum. de viriulis herbarum attribuito ad Alberto Magno. Un incantesimo anglosassone. probabilmente medievale, aveva al suo centro la celebre frase palindroma. ed era recitato per ottenere un parto senza dolore:
Il Quadrato Magico del SATOR - Il Quadrato Magico del SATOR - 2 - Il Quadrato Magico del SATOR - 3 - Il Quadrato Magico del SATOR - 4
SATOR E INQUISIZIONE
Ma il Sator fu scoperto anche in un posto dove
veramente nessuno se lo sarebbe aspettato: sul sigillo dell'Inquisizione spagnola!
Nel 1905 fu pubblicato a Tolosa il libro di Emanuel Delorme Les emblemes de
l'Inquisition. In quest'opera, lo studioso annunciò di avere scoperto
nel Museo Etnologico di Lisbona un sigillo dell'Inquisizione spagnola che recava
il quadrato del Sator! Inoltre, lo stesso Delorme trovò una medaglia,
sempre dell'Inquisizione. che portava su un lato il notissimo simbolo del terribile
tribunale ecclesiastico: la Croce coronata posta tra un ramo di olivo (che simboleggia
la misericordia divina) e una spada sguainata (che raffigura la spada di Dio
che punisce gli eretici); sull'altro lato era inciso il quadrato magico letterale
del Sator. Cosa ci faceva un emblema magico su una medaglia dell'Inquisizione?
La sua presenza era inspiegabile anche ammettendo che il Sator fosse legato
in qualche modo a concetti religiosi. II Delorme elaborò una teoria:
il quadrato magico era stato originariamente ideato come segno di riconoscimento
tra i mèmbri dispersi di una setta eretica. E quale poteva essere stata
questa setta perseguitata? Nell'idea del seminatore, dell'aratro, della terra,
delle messi era rappresentato l'atto unico che si propaga dal mondo superiore
al mondo inferiore per infondervi la vita: nel Sator era racchiusa la formula
della gnosi ebraica espressa da Aba Ezra, precursore diretto di Spinoza: «Tutto
è nell'Uno in potenza; l'Uno è nel Tutto in atto».
Il Sator dunque, narrava in estrema sintesi il concetto centrale della gnosi
di scuola ebraica: l'eterno svolgersi della vita permeata dallo spirito divino:
un concetto che la Chiesa cattolica ha sempre rifiutato e che l'Inquisizione
ha violentemente represso, perché esso considera il divino immanente
al materiale. La colpa estrema del Sator era, insomnia, quella di difendere
e propagare il panteismo. Com'è noto, lo gnosticismo era per l'Inquisizione
il tipo perfetto dell'eresia, anzi la sorgente unica delle diverse eresie: pertanto
il Sator (quadrato gnostico) poteva giustamente essere scelto come emblema dell'eresia.
Perciò, come l'Inquisizione aveva impresso su un lato delle sue medaglie
la Croce coronata, ovvero il Credo della fede cattolica; così aveva scelto
per il rovescio il Sator, cioè il Credo dell'eresia. A prova di questa
ipotesi iconologica, Delorme faceva notare che nelle processioni degli auto
da fè, a coloro che si erano pentiti, i preti mostravano il gonfalone
dell'Inquisizione al cui centro spiccava la Croce coronata. Ma a quelli che
non avevano abiurato, e che venivano condotti al rogo, veniva mostrato l'altro
lato dello stendardo, su cui erano disegnati simboli di dannazione e disperazione:
i due lati del gonfalone erano distinti come quelli delle medaglie; da una parte
le immagini della santità, dall'altro quelli dell'inferno. Dunque, il
Sator sarebbe stato un quadrato letterale gnostico.
Il SATOR pompeiano
Nel 1925 una fortuita scoperta archeologica mise in dubbio
tutto quanto si era creduto fino a quel momento a proposito del palindromo misterioso.
Il 5 ottobre di quell'anno, durante degli scavi a Pompei, nel peristilio della
casa di Paquio Procolo, sopra un frammento dell'intonaco parietale della decorazione
dell'ambulacro meridionale, l'archeologo Amedeo Maiuri scoprì un pezzo
della famosa iscrizione, ma non riconobbe subito che si trattava del sator.
Il 12 novembre 1936 nel corso di nuovi scavi sotto la direzione di Matteo della
Corte si scoprì il quadrato magico inciso sulla scanalatura di una colonna
del portico interno occidentale della grande palestra pompeiana. Questo
ritrovamento risulta a tutt'oggi il più antico che sia stato effettuato,
e per questo il Quadrato del SATOR è stato anche chiamato «Latercolo
Pompeiano». Tale scoperta pose fine alla teoria cristiana; se, infatti,
si poteva ancora ipotizzare la presenza di una primitiva colonia cristiana clandestina
a Pompei in quegli anni, veniva a cadere il senso dell'interpretazione del Grossner.
Infatti, la A e la O che rimanevano ai lati della croce non potevano che riferirsi
al punto dell'Apocalisse in cui San Giovanni scrive: «Io sono l'Alfa e
l'Omega, l'inizio e la fine, colui che è, che è stato e che sarà».
Ma la diffusione dell'Apocalisse nell'Italia centrale avvenne, secondo studi
attendibili, verso gli anni 120-150 d.C., ed era quindi impossibile che tale
concetto fosse presente già prima del 79 d.C.
Queste due scoperte inattese gettarono Io scompiglio
fra archeologi e storici. Infatti, se - come molti credevano - il Sator era
una crux dissimulata, cioè un segno segreto dei primi cristiani, la sua
presenza a Pompei era assolutamente incomprensibile, poiché noi sappiamo
da fonti sicure, come Tertulliano ad esempio, che non vi erano cristiani a Pompei
fino al 79d.C- data della sua distruzione per l'eruzione del Vesuvio. Inoltre,
veniva confutata l'interpretazione del Sator come pater noster accompagnato
da Alfa e Omega, perché l'Apocalisse di San Giovanni, nell'anno della
fine di Pompei, non era ancora conosciuta in Italia Meridionale, dove si diffuse
non prima del 130 d.C. Infine, non si poteva nemmeno pensare che il Sator fosse
stato graffito dopo l'eruzione che cancellò Pompei sotto un mare di lava,
perché gli strati dei sedimenti sopra la colonna furono rinvenuti perfettamente
intatti. La scoperta fatta a Pompei costrinse gli studiosi a due ipotesi, entrambe
enigmatiche e piene di conseguenze problematiche: o il Sator non è un
segno paleocristiano, o a Pompei esisteva una comunità cristiana prima
di quanto si credesse.
Di fatto, la questione rimane ancora
aperta. Molti tra studiosi, ricercatori, enigmisti o semplici curiosi si arrovellano
ancora oggi nel cercare di dare un'interpretazione nuova al quadrato. Per concludere,
invece, la storia del Quadrato, bisogna citare l'ultima scoperta, in ordine
di tempo, avvenuta nel 1978 in Gran Bretagna, a Manchester. Un frammento di
un'anfora portata alla luce durante alcuni scavi archeologici mostra, infatti,
le cinque parole del quadrato magico disposte a partire dalla parola ROTAS (versione
speculare del quadrato). Il reperto è databile attorno al 185 d.C., ed
una targhetta esplicativa nel museo in cui è esposto c'informa che si
tratta della più antica attestazione della presenza cristiana in Gran
Bretagna, nonostante la tesi di Grossner sia stata comunque confutata.
La connessione con i Templari
In Italia il Quadrato Magico si ritrova in parecchi luoghi, oltre a Pompei.
Anche in numerose località europee è possibile rintracciare il
Quadrato. Si parte soprattutto dalla Francia, dove il SATOR è presente
nella chiesa di San Lorenzo a Rochemaure , in una vecchia casa di Le Puy (Haute-Loir),
nei castelli di Chinon (Indre-et-Loire, dove tra i numerosi graffiti presenti,
di origine templare, si trova anche a Jarnac e di Gisors, e nella Maison de
justice di Valbonnais. In Spagna lo si trova tracciato presso il santuario di
San Giacomo di Compostella, celebre meta di pellegrinaggi medievale; in Ungheria,
inciso su una tegola della "villa publica" di Altofen (la vecchia
Buda), insieme alla frase "Roma tibi salutas ita".
2 - Il SATOR nel Castello di Jarnac (dal sito:
Jarnac Champagne)
Molte di queste località, soprattutto in Francia, furono possedimenti
dei Cavalieri Templari; la prof. Bianca Capone, sulla base di attenti studi
personali, ha ipotizzato un legame tra il magico quadrato ed il famoso ordine
monastico-cavalleresco: sembra infatti che i Cavalieri adottassero questo simbolo
per contrassegnare dei luoghi particolari o per trasmettere delle preziose informazioni
esoteriche in forma codificata. Anche dal mio censimento risulta che la maggior
parte delle presenze del quadrato sul suolo italiano è databile attorno
al XII-XIII secolo e che nelle dette località è possibile attestare
la presenza dei Templari o, comunque, dei Frati Cistercensi, che con i Templari
erano in stretto rapporto.
3 - Il SATOR circolare di Valvisciolo
Tale tesi può essere ulteriormente rafforzata se si considera il particolare
esemplare di SATOR che si trova presso l'Abbazia di Valvisciolo, a Sermoneta
(LT), che fu templare e poi rimase ai Cistercensi. In tale luogo, infatti, si
ha l'unica presenza conosciuta del SATOR in forma circolare ad anelli concentrici
(fig. 3), nella quale viene a mancare sia l'accostamento ai quadrati magici
numerici (vedi, a tale proposito, le interpretazioni esoteriche), sia la croce
centrale formata dalle parole TENET. Pertanto, al di là di tutte le possibili
interpretazioni che possono essere date, è indubbio che per i Templari
il SATOR assumeva un significato ben preciso che per me non può essere
che quello di segnalazione di un luogo dalle caratteristiche sacre ben precise,
affine, in tal senso, ad altre figure simboliche come quelle della Triplice
Cinta o del Centro Sacro. La recente scoperta, da me effettuata, della GEOMETRIA
SACRA sul territorio laziale non fa che rafforzare tale ipotesi.
MENHIR DI RENNES LE CHATEAU - SATOR QUADRATO MAGICO TEMPLARI
Fra le alture di Rennes si trova un menhir, nella cui roccia un tempo era scolpito il busto di un personaggio non identificato, (la tradizione popolare parla del Re Merovingio Dagoberto II ). Il parroco Menry Boudet, con un gesto apparentemente inspiegabile, fece tagliare il masso, portando a valle e depositando presso la sacrestia della propria chiesa, il rimanente busto. Le pietre spaccate vengono dette "Massi d'Orlando", lo scrittore Umberto Cordier rivela che...:Si può avere la rottura spontanea di emblemi o monumenti, per una sorta di "magia simpatica" indotta. Non so se questo è il caso di Boudet, ma non escludo l'ipotesi che quella insolita azione, nasconda un rituale esoterico. Ad ogni modo, sulla nuca di quel busto, si dice che un tempo erano cesellate delle parole in lettere greche, disposte a comporre un'iscrizione a forma di palindromo, Precisamente:
S A T O R
A R E P O
T E N E T
O P E R A
R O T A S
La deduzione più verosimile della frase potrebbe
essere la susseguente:
"Il seminatore dell'Aeropago detiene le ruote dell'opera".
L'elegia pur essendo di origine paleo-cristiana, la si ritrova in diverso luoghi
d'Europa (a Rennes le Chateau sembra che ve ne siano state ben 3), in particolare
è frequente in alcuni siti templari, l'ordine era senz'altro a conoscenza
del suo reale significato. S'interessarono a quel "quadrato magico"
i più grandi esperti della cabala: la dottrina ebraica che esaminava
il senso più intimo e segreto della Bibbia; e le ricerche su quell'enigma
li ricondusse all'ermetismo. Anche i preti di Rennes Le Chateau erano dei grandi
studiosi: Antoine Gelis conosceva alla perfezione la storia antica di quei luoghi,
Henry Boudet era un esperto archeologo e nei suoi libri fa diverse allusioni
ai misteri "Eleusini", mentre Berénger Saunière, prima
di recarsi a Parigi per far decodificare le sue antiche pergamene, si dedicò
ore e ore allo studio, incontrando diversi "ermetisti". Tra i tanti
misteri, un vecchio documento denominato dossier "Rubant", basato
su un testo datato 1308, asserisce che Filippo il Bello, quando depredò
le carte della Milizia del Tempio, ignaramente s'impossessò di copie
falsificate redatte dai monaci stessi molto tempo prima, proprio in previsione
di un attacco all'ordine. Se è così che fine hanno fatto i certificati
originali? Potrebbero essere finiti negl'archivi della Prioria di Sion? Forse
i Templari vollero lasciare una "porta" aperta a chi un giorno saprà
ascoltare in silenzio, il senso di quelle parole o di quei graffiti scolpiti
suoi muri di vecchi castelli, oppure su alcune pietre oramai erose dal tempo.
Altre informazioni: http://angolohermes.interfree.it/simboli.html
SATOR MAGICO
Il quadrato letterale potrebbe essere stato concepito e usato in ambito magico,
più che religioso: abbiamo visto infatti che per molti secoli esso venne
utilizzato come strumento di azione occulta contro il morso dei cani idrofobi
e contro gli incendi. Saremmo di fronte ad una specie di formula magica, come
l'Abracadabra, che associava alla forza arcana delle parole la potenza delle
armonie geometriche. E interessante notare che, come oggetto magico, il Sator
venne impiegato per domare, per rintuzzare un grave pericolo: nel caso dell'incendio,
esso viene lanciato sulle fiamme per spegnerle; nell'idrofobia, esso è
creduto capace di estinguere il male. Queste pretese facoltà sembrano
associate dal verbo tenet che forma la parte centrale del quadrato; tenet significa
"tiene, possiede, regola, controlla". Quindi il valore magico del
sator è determinato da questo: è un talismano che domina e controlla.
Ma se si tratta soltanto di un talismano, le caratteristiche cristiane (come
la croce centrale e il paternoster anagrammato) sono casuali? E se è
un palindromo magico, a quale corrente esoterica si deve far risalire? Abbiamo
visto che il quadrato appare nel I secolo dopo Cristo. Che abbia avuto o no
legame con la dottrina cristiana, è comunque interessante notare che
il sator venne elaborato in un' epoca di forti correnti spirituali e mistiche.
La decadenza delle antiche religioni tradizionali romane e greche lasciava un
vuoto doloroso che le folle dell'Impero cercarono di colmare ricorrendo a culti
orientali; si diffuse rapidamente l'adorazione di Iside e di Mitra e la religiosità
assunse un carattere misterico e magico come non aveva mai avuto prima. Influssi
neopitagorici dall'Occidente e cabalistici dal vicino Oriente mutarono la spiritualità,
per cui i rapporti numerici, le trasposizioni numerico-alfabetiche, i quadrati
magici, le particolarità geometriche furono considerate prove di una
realtà superiore, dimostrazioni del grande disegno dell'Universo e chiavi
per la sua comprensione. Con ogni probabilità a quel tempo e a quella
condizione spirituale risale la formazione del Sator; quando, per caso o dopo
un lunghissimo studio, un sacerdote, un mago o un iniziato scoprì quella
straordinaria sequenza di parole che, con suoni fascinosi e arcani, dava un
messaggio breve ma ricco di misteriosi, imprevedibili ed inesaurubuli spunti
di riflessione.
SATOR IL MISTERO DELL'ANELLO
I MONACI CISTERCENSI
San Bernardo di Chiaravalle
(1090 - 1153)
Non si può parlare dell'Ordine Cistercense senza
nominare San Bernardo di Chiaravalle, anche perché la figura di questo
illustre santo e dottore della Chiesa costituisce l'anello di congiunzione tra
i monaci Cistercensi, che grazie alla sua influenza divennero uno degli ordini
religiosi più ricchi e più influenti del Medioevo, ed i Templari,
la cui costituzione egli raccomandò caldamente al Papa e per i quali
redasse la regola ricalcandola su quella benedettina dei Cistercensi stessi.
S. Bernardo nasce a Digione, in Borgogna, nel 1090, da una famiglia profondamente
cristiana. Studia presso i canonici secolari di St. Vorles a Chatillon-sur-Seine,
ma rifiuta di intraprendere la carriera ecclesiastica in Germania. Si ritira
invece presso il monastero di Cîteaux dove si cercava di vivere la regola
benedettina secondo lo spirito originale. Il suo arrivo diede nuovo slancio
e suscitò nuove vocazioni. Cinque anni dopo, insieme a dodici compagni,
per fondare una nuova abbazia in una località che egli volle chiamare
la Valle delle Luce: Chiaravalle. I suoi nuovi compagni erano inizialmente figli
della nobiltà, poi arrivarono anche contadini e gente del popolo. I monaci
facevano una vita semplice, si dedicavano all'agricoltura ed all'allevamento
del bestiame, ed introdussero anche delle tecniche avanzate. Bernardo era di
esempio ai suoi monaci nell'osservanza della Regola e maestro nello spiegarla.
Di particolare rilievo le sue opere sull'umiltà e sull'amore di Dio.
Sostenne e fece riconoscere da tutti, come legittimo successore di Pietro, papa
Innocenzo II, al quale era stato contrapposto Anacleto II. Bernardo, cantore
di Maria, la propose come modello di vita per tutti. Bernardo morì a
Chiaravalle il 20 agosto 1153, venne proclamato santo nel 1174 e dottore della
Chiesa nel 1830.
Storia dell'Ordine
Il 21 marzo 1098, equinozio di Primavera e festa di san Benedetto e,
in quell'anno, anche Domenica delle Palme, ventuno monaci, con a capo l'abate
Roberto di Champagne, lasciarono il monastero di Molesme per fondare, nella
Borgogna francese, 20 chilometri a Sud di Digione, un nuovo insediamento monastico,
che fu chiamato "Nuovo Monastero". Come sede per il suo ordine, Roberto
scelse un luogo solitario chiamato Cistercium (da cui la denominazione, poi,
di "Cistercensi"), l'odierna Cîteaux, e cominciò a seguire
un rigido stile di vita più consono alle regola benedettina originale,
il cui senso era stato fortemente alterato a Molesme. Oltre a Roberto, un notevole
contributo al buon esito dell'operazione venne dato da altri due religiosi,
Alberico e Stefano, considerati co-fondatori dell'Ordine. Alberico, infatti,
ottenne la concessione della protezione apostolica su Cîteaux dal papa
Pasquale II con la bolla "Desiderium quod" dell'aprile 1100, che assicurava
al Nuovo Monastero assoluta indipendenza da Molesme. Stefano si preoccupò
di conservare lo spirito del rinnovamento cistercense promovendo disposizioni
tese alla salvaguardia della povertà e della quiete monastica. Nel XII
secolo, grazie anche ai contributi di San Bernardo, l'Ordine era diventato quasi
una potenza temporale per l'estensione delle sue proprietà e per la sua
influenza, conquistate grazie alla capacità di adattamento e di valorizzazione
del propri beni. Questa agiatezza, in seguito, diventerà la causa della
loro decadenza. In questo periodo, comunque, nascono le più grandi ed
importanti abbazie cistercensi, in Italia, ma soprattutto in Francia, dove vengono
costruite 11 cattedrali le cui ubicazioni, segnate su una carta geografica,
formano, curiosamente, il disegno della costellazione della Vergine. Dal XIII
secolo, con il diminuire del reclutamento, è necessario ricorrere ai
canoni di affitto per continuare a beneficiare dei terreni e, poco a poco, si
prende l'abitudine di vivere non più del lavoro delle mani, ma delle
rendite delle proprietà dei monasteri. Tuttavia, malgrado la nascita
degli Ordini mendicanti, quello cistercense continuerà la sua espansione
e, all'inizio del XIV secolo, comprenderà 725 case di monaci. Il XIV
e il XV secolo saranno difficili da vivere per tutta l'Europa, compresi i monaci
cistercensi; i "grandi" di questo mondo confiscano i beni ecclesiastici,
i conflitti armati si allargano a tutta l'Europa, le grandi epidemie diffondono,
dappertutto, i loro danni; infine, la nascita dell'Umanesimo contribuisce, da
parte sua, al crollo della società medioevale, mentre nuove correnti
spirituali si sviluppano in modo informale e danno vita a dei gruppi come quelli
delle "beghine" e dei "begardi" che vivono nelle città
e si dedicano alla meditazione e alle opere di carità. Nel XVI secolo
non figura nessuna nuova fondazione, ma la Riforma metterà in atto la
scomparsa irreversibile di più di 200 monasteri, mentre la maggior parte
degli altri saranno devastati. Nello stesso periodo compare il sistema commendatario
che indebolisce l'Ordine monastico e non permette di prendere misure di risanamento
in campo disciplinare o economico. La difficoltà dei tempi rende ardua
la partecipazione ai Capitoli Generali. È nel XVI secolo che si affermano
maggiormente le congregazioni nell'Ordine. Si tratta di monasteri che appartengono
a una stessa regione e sottomessi a una medesima autorità politica e
i cui superiori si riuniscono in Capitolo Generale, a intervalli regolari. Seguendo
le decisioni del Concilio di Trento, che ha richiamato con fermezza ai religiosi
e alle religiose i loro doveri e impegni, comincia un grande movimento di ripresa
e nasce un vivo desiderio di ritorno al fervore primitivo, particolarmente nei
monasteri della filiazione di Clairvaux. In questo periodo nasce l'Ordine Cistercense
della Stretta Osservanza (O.C.S.O.). La riforma venne attuata soprattutto grazie
all'opera di Armand-Jean le Bouthillier de Rancé, abate di Notre-Dame
de la Trappe, una delle più antiche abbazie cistercensi. Per tale motivo,
i Cistercensi dell'O.C.S.O. sono anche comunemente conosciuti come frati Trappisti.
Il XVIII secolo, con l'Illuminismo, offre un quadro diversificato dell'Ordine:
certe case sono ferventi e hanno un reclutamento soddisfacente; altre, molto
più numerose, hanno solamente un numero ridotto di monaci che assicurano
un minimo di vita comune nelle costruzioni, spesso immense, che danno l'illusione
di una grande prosperità. In Germania e nell'Impero Austro-Ungarico è
il periodo della grande fioritura del Barocco, ma è anche il periodo
del "giuseppinismo", nel corso del quale, per sfuggire alla chiusura
di cui sono minacciati, i monasteri accettano delle attività annesse
e, fino ad allora, poco praticate dai Cistercensi: parrocchie, scuole, e così
via. È in questo contesto che scoppia la Rivoluzione Francese, la quale
giungerà alla decisione della soppressione di tutti i monasteri. I monaci
sono espulsi, alcuni di essi moriranno martiri nei barconi, i beni conventuali
sono confiscati e venduti dallo Stato. Gli eserciti della Rivoluzione e, in
seguito, quelli dell'Impero generalizzano il movimento nell'intera Europa, tra
il 1789 e il 1810. In questo contesto, estremamente difficile, c'è tuttavia,
un gruppo di monaci dell'Ordine che sotto la guida di Agostino de Lestrange,
maestro dei novizi della Trappa nel 1789, vivendo una lunga "odissea"
che li condurrà sino alla Russia, riesce a tenere viva la vita cistercense
in un certo numero di fondazioni, sparse in tutta l'Europa. Dalla restaurazione
della monarchia francese - 1815 - alcuni membri di questo piccolo gruppo, riprendono
la vita monastica (in Francia e Belgio) e danno origine a una nuova rinascita
monastica caratterizzata da una grande generosità, da un intenso fervore
spirituale. Questo rinnovamento si attua malgrado una grande precarietà
materiale ed è segnato da un senso profondo dell'ascesi e della riparazione
degli abusi commessi dalla Rivoluzione Francese. In altre parti d'Europa la
situazione è diversa. I monasteri dell'Ordine riprendono vita in Austria,
Ungheria e Italia, mentre in Spagna, Portogallo e Svizzera sono vittime di politiche
settarie - conseguenze tardive della Rivoluzione Francese - e spesso costretti
alla chiusura. Nel 1892, sotto il pontificato di Leone XIII, la maggior parte
dei monasteri situati in Francia e in Belgio, quelli usciti dall'"odissea"
di cui si è parlato, si raggruppano e formano "L'Ordine Cistercense
di Nostra Signora della Trappa", mentre gli altri monasteri cistercensi,
raggruppati in diverse congregazioni formano "Il Sacro Ordine di Cîteaux".
Nel 1898, in occasione dell'ottavo centenario della loro fondazione, i Cistercensi
riformati hanno la possibilità di riscattare l'abbazia di Cîteaux
e di farvi rifiorire una comunità. La fine del XIX secolo e il XX secolo
sono stati un periodo di persecuzione per i monasteri cistercensi che devono
vivere delle ore difficili in Francia e che sono vittime di totalitarismi che
colpiscono tutta l'Europa dell'Est e l'Estremo Oriente, causando la soppressione
di molti monasteri e provocando la testimonianza di numerosi martiri della fede.
Nel 1995 i due ordini monastici l'Ordine Cistercense e l'Ordine Cistercense
della Stretta Osservanza si condividono il giusto titolo di Cîteaux. A
questi due rami si ricongiungono diverse famiglie religiose di ispirazione cistercense.
L'Ordine Cistercense comprende 12 congregazioni che raggruppano in totale 77
monasteri di monaci e 63 monasteri di monache (1014 monaci e 966 monache nel
1993).
Testo tratto dal sito dei Cistercensi: www.cistercensi.it
A PROPOSITO DELL'ASSEDIO DI TERDONA RACCONTATO DA "BAUDOLINO DE' AULLARI"
TRATTO DAL LIBRO DI UMBERTO ECO -"BAUDOLINO"- (file mp3 free dowload)
LETTO E INTERPRETATO DA PAOLO DE MANINCOR SU MUSICA DI GILBERTO QUATTROCCHIO
La città dei tre doni e la Santa Coppa di Cristo
STORIA DELLA COPPA
“…chi si mantiene puro sarà un vaso nobile...” ( II° Tim. – 20,21) Solo chi vuol esser ed è cavaliere di Cristo può esser chiamato ad avvicinarsi alla gloria della Coppa, ma sappia che non otterrà la corona se non avrà ben combattuto. La Coppa infatti passa per la nave e per il sepolcro, per il cuore e per la pira, per il pesce e per la roccia.Chi reca in sé il nero il bianco e il rosso non è lontano dal verde della Coppa.E così chi conosce la fratellanza fra le quattro operazioni – Seguiamo la scia del sangue reale – “(San Brandano) .La santa Coppa fu intagliata dagli angeli per ordine di Dio e da Lui donata per le nozze di Adamo ed Eva e offerta ponendola sulla roccia presso la quale fu creato il nostro progenitore. Il suo colore è il verde. Un verde che fiammeggia di vermiglio e luce di luce bianca. Chi porta in se il nero il bianco e il vermiglio non è lontano dal verde della Coppa. Persa l’amicizia con Dio la Coppa restò nell’Eden presso l’Albero della vita e fu recuperata da Seth quando Dio gli concesse di ritornare per 40 giorni nel Giardino d’oriente La Coppa fu custodita e tramandata dalla stirpe santa: da Enoch a Noè, da Sem a Melchisedek, e Abramo fino a Giuseppe e Mosè. Da Elia a Davide e Salomone fino agli esseni e a Giuseppe d’Arimatea: così ritornò nelle mani di Colui che l’aveva creata. La Coppa passò all’Impero Romano e ai Pontefici: quando non ne era degno l’Imperatore del momento permetteva di essere custodita dal Pontefice e viceversa. Quando nessuno era degno ritornava nel suo Cielo o appariva a spiriti eletti e a santi. La Coppa è la radice buona della terra, il vascello che porta dal castello all’Eden terrestre, il Cuore del cuore, il monte santo, il manto santo, la pienezza che ci svuota, la sete che ci sveglia e sazia, la corte nuziale, l’origine delle imprese, ardore che infiamma il fuoco, la pietra di ogni fenice. Nel medioevo lo spirito di molte famiglie nobili palpitò della Coppa e fu da Lei ulteriormente nobilitato, fra esse: Merovingi, Malaspina, Monferrato, Montefeltro, Savoia, Hoenstauffen, Angiò, Este, Gonzaga, Lorena, Asburgo, fino a Eugenio di Savoia, Joseph de Maistre e lo Zar Alessandro . Oltre a ciò molte opere letterarie celano evidenti segni della gloria della Coppa: Bandello, Vaqueiras,e soprattutto i quattro pilastri aurei della nuova tradizione occidentale: “Gargantua e Pantagruel”, “ Don Chischiotte”, “Gesusalemme liberata”, e “Orlando furioso”. Chi non li vede continui a non vederli. Nello stesso modo molte città e grandi santi hanno contemplato la Sua sapienza, fra essi: San Giovanni, San Longino, Santa Maddalena, S. Vincenzo Ferreri, S.Giovanna D’Arco, S. Carlo Borromeo, Santa Teresa d’ Avila, San Padre Pio. La coppa è tre volte santa: per l’origine, l’autore e la fattura perfetta, per la santificazione durante l’ultima e la prima Cena, e per la seconda definitiva santificazione durante la Croce e la deposizione. In lei sono custoditi e trasmessi i segreti del Re, del Regno e del Santissimo Sangue di Cristo. Chi vuol penetrare il velo d’argilla, chi vuol oltrepassare con santa audacia l’ombra dell’occaso conoscendo il punto di contatto fra Spada, l’osso e l’animo e accostarsi al velo celeste allora inizi a meditare su queste sette verità sul Sangue reale: a) è uno e infinito e non muta mai sostanza b) più si dona più s’accresce, più si sparge più raccoglie c) viene da ferita che sana e s’effonde senza violenza d) si manifesta dall’invisibile pur essendo vero sangue e) resta senza consumarsi, anzi consuma chi l’accoglie assimilandolo a Sé f) è l’aria dell’aria, il fuoco del fuoco, la terra della terra, l’acqua che disseta e lava l’acqua, l’origine del vento, la ragione della cerca,la corda del rotolo, e conosce sia ciò che muta che ciò che non muta g) è Uno ma molti vi partecipano, e resta Uno; …. Tortona non è altro che un'altra Chinon, Colieure, Aquila, Le Puy, Otranto, Siòn, Grado, Spalato, Tomar, Orvieto, Aci reale, Betania, Gorizia, Aosta, Colonia, Jesi, Monza, Roseto, Fecamp,Arles, Orange, Gradisca, ecc. ecc., pertugi per entrare nella terra buona circondata dall’acqua calma ove pesca il ricco e ferito Re pescatore. E queste buone terre sono simili alla dolce e terribile Arcadia e alla nobile Tebaide, e simili anche alla terra verde dell’estremo nord. Solo chi scava sotto la sua casa trova il buon vino che riceve per primo la luce dell’alba e del Sole.. La Città del tre doni è un antica testa di ponte il cui innesto ancora sopravvive! Ecco la sintesi perfetta di Liguria, Lombardia e Piemonte! IL bestiario della coppa si ritrova nella colomba, nel gallo, nell’unicorno, nell’aquila, nella salamandra, nel leone, nelle api, ne pesce e nel cervo. Nella flora: la rosa, il gladiolo, il giacinto, il biancospino, il cedro e l’olmo.".... Come in un vaso d'argento si conserva un aureo monile" ( San Colomba).
DERTONA-TERDONA (TRE DONI) - LA SANTA
COPPA
La Santa Coppa di Cristo fu custodita in Tortona dal 410 fino
certamente all'epoca di Federico II°. La storia di questo meraviglioso tesoro
materiale-spirituale segue le linee invisibili della storia della salvezza.Fu
un oggetto creato dagli angeli su ordine di Dio e poi donato da Lui ad Adamo
in occasione della creazione di Eva e dell'unione dei progenitori. Oggetto dunque
sia materiale che spirituale, carico dei carismi di Dio. Fu l'unica cosa che
Seth tornò a riprendere nell'Eden durante i 40 giorni concessigli da
Dio, e fu poi tramandata da Seth in poi attraverso la stirpe santa: da Enoch
a Noè, da Sem a Melchisedek Re di Salem che la donò ad Abramo.
Seguì la stirpe di Abramo fino a Mosè che la riportò in
Terra santa e veniva custodita nella Tenda della testimonianza, nell'arca dell'Alleanza
e con Salomone nel Tempio di Gerusalemme. Fattane una copia per il Tempio, fu
poi affidata ai Magi caldei e da loro portata al Dio-bambino nel giorno dell’Epifania
per poi affidarla agli Esseni che la custodirono in una grotta nel deserto.
Giunse infine definitivamente a Colui al quale era destinata: il nuovo Adamo
celeste, il Cristo, il restauratore dell'Alleanza con Dio, e l'Iniziatore della
nuova stirpe eletta. Fu custodita dalla Santa Vergine, da San Giovanni e da
Giuseppe d'Arimatea. Nascosta a Gerusalemme ne uscì portata da Giuseppe
per essere custodita nella Chiesa di Efeso e nelle sette Chiese d'Asia sotto
la vigilanza di S. Giovanni. Passò anche in Armenia per poi tornare in
Gerusalemme quando non ci fu più alcun pericolo per i cristiani. Fu sepolta
vicino al Santo Sepolcro e lì ritrovata dall'Imperatrice Elena e portata
a Roma. Era custodita nel palazzo imperiale del Palatino. Durante l'apostasia
dell'Imperatore Giuliano fu trafugata e messa sotto la custodia della Chiesa
nel Santa sanctorum del Laterano. Una delle proprietà della Coppa era
ispirare la visione del futuro e aiutare i cristiani a sfuggire alle persecuzioni.
La Coppa stessa si difende dalle violenze e dalle profanazioni: oltre a ciò
possiede il potere di apparire e scomparire quando non vi sono custodi umani
degni. Per questo non ha senso cercarefisicamente tale mistico oggetto, ma ha
senso solamente cercare le tracce simboliche e storiche di tale mistero divino.
L'Imperatore Maiorano fu ucciso a Tortona in rapporto con la sacra coppa, della
quale per primo ne volle, ideò e preparò la custodia in Dertona.
In ogni luogo ove passò ne fu fatta un'imitazione onorevole che ne esprimeva
un tratto spirituale e simbolico. Fu anche a Valenza in Spagna, ove è
conservata una sua sacra imitazione, e pure a Genova. Nel 410 mentre i barbari
stavano per invadere Roma, fu fatta fuggire a bordo di una nave guidata da ufficiali
romani scelti e fedeli che la portarono a Genova e attraverso gli appennini
liguri a Tortona, nelle segrete del castrum terdonensis. Da allora Genova iniziò
ad essere soprannominata "Ianua" perché per essa passò
la Coppa rivelando i suoi misteri e prodigi, e da allora Dertona fu chiamata
Terdona per via della presenza di tale tesoro. Non è credibile che la
mutazione del nome sia stata una mera corruzione linguistica: si tratta di nome
dalla struttura unitaria e semplice rimasto inalterato per millenni, mentre
“Terdona” manifesta una ricchezza di significati e messaggi simbolici
impressionante e corrispondente alla tesi che qui si espone! Non è casuale
che tale periodo storico è quello in cui inizia l’epos dei cavalieri
cristiani. Perché fu scelta Tortona? Perché era ancora un baluardo
di romanità intatta ed invitta in un mare di caos e contaminazione barbarica
e pagana, perché il suo castello era munitissimo e difficilmente prendibile
e non era ancora stato conquistato né profanato dai nemici, perché
era chiamata "piccola Roma" per i suoi sette colli, e possedeva la
stemma del leone derivante dalle legioni romane che sempre vi stanziarono, perché
era la più antica colonia romana del nord, perché era città
non appariscente e non opulenta ma solamente militare e famosa per la sua fedeltà
a Roma. Come dicevamo la città cambiò il suo nome cioè
mutò e si arricchì l'essenza spirituale del luogo. Già
è notevole il fatto che il nome celtico non fu alterato da Roma ma perpetuato:
un segno di grande rispetto e in pochi anni dalla colonizzazione romana era
già "città insigne"! Il suo nome celtico "Derton"
(luogo alto/luogo forte) da cui la fedele latinizzazione "Dertona",
fu reinterpretato profeticamente come "Terdona", cioè "la
città dei tre doni", la città degna di ospitare il più
grande tesoro-reliquia del Dio trinitario, il calice che conteneva il triplice
dono: l'oro dell'amore e della regalità del Suo sangue, l'incenso della
sacerdotalità della coppa e della sua funzione propiziatoria e rituale,
e la mirra dell'immortalità
dello Spirito e del Corpo di Cristo e delle Sue reliquie. Una città che
era stata fondata dai romani tre volte (sotto il Senato, sotto Cesare, e sotto
Augusto) quale fedele modello di Roma era quella adatta per ricevere il segno
della nuova sovranità universale trinitaria. I tre doni potevano anche
essere: la Santa Coppa, la Croce di Cristo e un altra Reliquia o manifestazione
divina! Si dice che in località tortonese vicino a Paderna avvenne nei
primi tempi del Cristianesimo una manifestazione divina in triplice forma: di
sorgente d'olio, di pietra e di sangue. E' per questo motivo che i potenti Vescovi-conte
di Terdona ottennero dall'Imperatore, e da Milano, e tennero fino al 1783, un
"principato" che comprendeva un piccolo territorio includente tale
zona e in totale sette località disposte similmente al carro dell' Orsa
maggiore, in prossimità della Città? Fu il principato del "Vescovato"
un luogo di custodia della sacra Coppa? Dal tardo impero si coagulò inoltre
un misterioso e profondo legame spirituale fra Terdona e Milano: Milano fu sempre
sollecita ad aiutare Tortona e ne ricostruì più volt il borgo
distrutto dai nemici. Un legame che passò per i primi vescovi di Terdona
fra cui il nobile Innocenzio Quinzio. Era come se Milano fosse in debito morale
con Tortona o come se avessero un grande interesse in comune. Quale? I santi
Nazario e Celso ad esempio soggiornarono a Tortona e furono martirizzati a Milano,
ma non basta. Non sono sepolti in San Eustorgio in Milano i resti dei Re Magi?
Non erano tre i doni portati dai santi Re al Dio neonato? Ecco il legame! Milano
sapeva del Tesoro spirituale nascosto in Terdona e garantiva l'indipendenza
e la sopravvivenza di Tortona. Da quando giunse tale tesoro prodigioso allora,
ancor più prodigiosamente, il Castello della la città fu risparmiato
dalla distruzione e fu sempre più ingrandito, potenziato e stimato dai
Re d'italia gotici e dagli Imperatori carolingi e del sacro Romano Impero. Teodorico
fece del forte di Terdona il granaio per tutta la Liguria! Ancora una volta
la sacra Coppa viene associata all'abbondanza e alla sicurezza della terra!
In Tortona convissero pacificamente romani e goti, franchi e longobardi: tutti
uniti nella venerazione della reliquia e ben influenzati dai poteri della stessa!
Persino i bizantini cercano di impadronirsene e di raggiungere Tortona! Solo
la presenza segreta della Santa coppa spiega l'importanza sacrale e politica
di una città ben piccola e gravitante solo attorno al suo Castello. Solo
la presenza di tale preziosissima reliquia spiega il passaggio per Tortona di
Carlo Magno e la presenza in Tortona di figure femminili di stirpe imperiale
e regale: L'imperatrice Giuditta, l'imperatrice Richilde (che fu consacrata
tale dal Pontefice nel Castello di Tortona) e alla fine la Duchessa Cristierna
di Danimarca, ultima duchessa di Milano. Non era la Coppa portata in processione
da nobili donne? La Coppa e le sue virtù giustificano la grande e non
comprensibile autonomia e nobiltà che ebbe per più di 1000 anni
la contea Tortonese e anche da tale presenza spirituale invisibile ma fortissima
derivò la gloria e la grandezza della sua Diocesi. L' "ager dertonensis
o iriensis" era vasto e comprendeva un area in cui l'influsso di Dertona
sopravvisse dal punto di vista ideale anche quando non sussisteva più
un corrispondente potere di controllo militare e politico: andava da Villa del
Foro (Alessandria) fino a Voghera, dal Fiume Po e da Pozzolo fino a Libarna
(Serravalle) comprendendo inoltre cinque valli: Val Trebbia, Val Staffora, Val
Curone, Val Grue e Val Borbera.
La stessa configurazione prese poi la Diocesi di Dertona. Per alcuni periodi
la Santa coppa fu custodita anche nel monastero di Bobbio, in Diocesi di Tortona,
e in tempi più recenti nel feudo di Rosano. Relativamente a Bobbio notiamo
che il Papa Silvestro II° era Abate di Bobbio, della Diocesi di Tortona
e assunse lo stesso nome del Papa di Costantino, colui che aveva recuperato
la Coppa! Chiaro segnale di strategia e legittimazione divina! Ancor oggi nel
Museo romano di Bobbio è conservata un anfora che la tradizione ritiene
una delle anfore utilizzate alle nozze di Cana. In merito al feudo-monastero-fortezza
di Rosano (Rossiano-Roxano-Rubea) c’è da osservare che apparteneva
all’Abbazia tortonese di San Marziano e possedeva tre Chiese nonché
importanti reliquie come il corpo di San Vitale, e fu poi custodito dalla potente
famiglia degli Spinola di Spagna. In Rosano si venerava San Michele e la Vergine
e oggi ancora si può ammirare un affresco del 1400-1500 raffigurante
una rara Madonna la quale, mentre allatta, mostra tre fiori porgendo un Gesù
bambino ornato da una collana di corallo. Rosano presidiava anche il guado sul
Curone. Durante il periodo carolingio e ottoniano Tortona fu spesso sede di
soggiorno e di corte per gli Imperatori e i Papi, i quali si fermavano anche
nel territorio tortonese in una località chiamata “Alpe plana”.
(Ad esempio Papa Callisto II°.) I Vescovi di Tortona erano segretari-consiglieri-ambasciatori
degli Imperatori e Principi del Regno Italico: eleggevano-confermavano i Re
d’Italia in Milano o Pavia. Essi si dichiaravano soggetti alla Legge Longobardica.
Il Tortonese era l’unica regione della Liguria che apparteneva anche alla
Longobardìa. Prova ne è che spesso la Chiesa di Tortona più
volte nascose e protesse gli Arcivescovi di Milano quando erano oppressi e combattuti
dai barbari o dagli Imperatori. Spesso questi autorevoli e potenti Vescovi mediarono
fra l’Imperatore e il Papa nella lotta delle investiture: pur restando
fedeli al Pontefice conservavano margini di autonomia e di mediazione. Ancora
nel 1500 il Vescovo Gambara scriveva a Carlo V° nel tentativo di riconciliare
l’Imperatore con il Pontefice. Altra vicenda epocale fu il terribile assedio
che il Barbarossa strinse per due mesi attorno a Tortona, riuscendo a prenderla
solo per sete dopo aver avvelenato le sorgenti. Perché sprecare tante
vite umane, tempo ed energia contro Tortona invece di scendere subito a Roma
a rivendicare i diritti imperiali o indirizzarsi contro città ostili
più potenti? Perché l'Imperatore pretendeva il possesso della
Santa Coppa, desiderata per le sue virtù di propiziazione e di invincibilità.
Il Barbarossa invece di accontentarsi di contemplarLa e di adorare il Sangue
di Cristo in essa contenuta come avevano fatto gli altri Imperatori, ne rivendicava
la proprietà, di qui lo scontro. Ecco una delle ragioni dello scontro
fra autonomia comunale e autorità imperiale, fra giurisdizione della
Chiesa e diritti dell'Impero: chi doveva custodire la più preziosa reliquia
del Figlio di Dio? Tortona possedeva la soluzione di equilibrio: città
dalle radici profondamente romane, contea carolingia, ma anche potente Diocesi
fortemente cattolicizzata e governata dai vescovi-conte, territorio in perfetto
equilibrio fra Liguria e Lombardia, fra Genova e Milano, città infine
da sempre autonoma nel suo territorio e mai interessata da ambizioni espansive.
L'unico scopo strategico di Tortona fu: conservare, custodire, perpetuare, consolidare
un culto, un rito, una missione, quella di difendere la santa coppa di Cristo.
Quando i Milanesi ricostruirono la fortezza di Tortona dopo la distruzione operata
dal Barbarossa fecero tre doni all’amata Tortona consistenti in tre emblemi
due dei quali erano la Croce rossa su campo bianco (che dai tempi di Costantino
sventolava dagli spalti di Tortona) e il segno del Sole e della Luna. Ennesima
conferma della gloria regale ed universale che circondava la Città e
che solo la Coppa di Cristo giustificava. Alla Pace di Costanza Tortona figura
fra le città dalla parte dell’Impero, nonostante le due distruzioni
subite la tenacia di Tortona vinse e persino il Barbarossa dovette trovare un
accordo dignitoso con Tortona e la volle alla fine con se! La durezza del Barbarossa
non fu imitata da Federico II° che ricoprì di onori e privilegi Tortona,
donandoLe fra l’altro il diritto di battere moneta, privilegi confermati
dall’Imperatore Arrigo VII°. Da allora mai ebbe più incrinature
o decurtazioni l’imperialità della Città di Tortona fino
ad Umberto II° di Savoia, Protettore di Gerusalemme e ultimo conte di Tortona.
Impressionante fu sempre l’elevato numero di Famiglie nobili rispetto
la ridotta quantità di popolazione: già ben sessanta nel 1145!
La Coppa dopotutto è sempre stata cantata quale fonte di nobiltà
e di fecondità, quale culla di regali stirpi. Ecco ora altri indizi e
conferme di tale presenza e funzione. Tortona possedeva una porta denominata
"porta dei Leoni" e posta sul castello verso sud-ovest, simbolo di
eccelsa regalità: il Leone difende la coppa dalla direzione simbolicamente
più delicata. Come Cristo è nato ad est e come il Nord è
dimensione favorevole per la Chiesa cattolica, così il nemico simbolico
viene da sud ovest, e va protetta la via per la quale è giunta la Coppa,
dal mare, dalla Liguria. Tortona restò sempre e fino ad oggi appartenente
alla regione ligure, di origine celtica: è l'unica Diocesi della Liguria
pur non avendo il mare! Lo stesso simbolo del Leone è simbolo che viene
dalle legioni romane e tutte le maggiori famiglie nobili di Tortona possedevano
tale simbolo. Ma è soprattutto simbolo di Cristo: il "Leone di Giuda",
e conferma quella nobiltà mistica che derivava dalla Coppa e dal servizio
ad Essa. Dopotutto non era il simbolo di Lancillotto? Non era Lancillotto nato
nella città del Leone? ( tanto che alcuni pensavano si trattasse di "Lione"
per assonanza ) Solo per nobiltà che discendeva la presenza della Coppa
fu richiesta la presenza dei Tortonesi alle prime Crociate e lo stesso Imperatore
Federico II°, nonché i Monferrato, volle imparentarsi con i nobili
di Tortona. L'altro simbolo eccelso unito al Leone e unico nel suo genere e
che rappresenta araldicamente Tortona, è la Rosa. Il calice è
simbolicamente analogo al fiore e al cuore. Come il Leone è il più
nobile degli animali così per l'Occidente cristiano la Rosa è
il più regale dei fiori. L'unione dei due, con il Leone che mostra e
impugna la rosa volgendosi verso sinistra (in senso antiorario), dimostra una
nobiltà spirituale indicibile e inaudita per una piccola città,
e lancia un messaggio cifrato: in Tortona Cristo possiede la Sua coppa santa,
l'unità è restaurata, è presente il vasello che custodisce
il Sangue vivo ed inconsumabile di Cristo, l'anima è colma dello Spirito
del Suo Re. Pensiamo ora ai colori: Leone argentato su fondo vermiglio, i due
colori dell'Amore mistico del Cantico delle creature, i colori del potere, e
soprattutto lo stesso simbolo dello scudo di Parsifall! Ancor oggi sopravvivono
ulteriori conferme sapienziali di questa tesi: la città è circondata
non più da sette colli ( spianati per ragioni militari-economiche e consunti
dai secoli) ma sempre da sette frazioni ( Passalacqua, Torre Garofoli, Monbisaggio,
Castellar Ponzano, Vho, Rivalta, Bettole), come le stelle dell'Orsa sono vicine
alla Stella polare e come le sette stelle del candelabro di Cristo nell'Apocalisse;
oltre a ciò in città da più di due secoli si stampa "l'almanacco
del Gran Pescatore di Chiaravalle", segno evidente dell'unicità
ed importanza spirituale della città. Non è il Re pescatore il
custode della Coppa? Non è Cristo stesso Pescatore di uomini? La Coppa
non ispirava la profezia e governava la fecondità della terra? Altri
segni curiosi: vicino a Bettole di Rivalta passa una strada chiamata “Strada
dell’Imperatore”, e una simile denominazione è presente vicino
a Dernice; in Torre Garofoli passa la “strada Cerca” sullo stesso
tragitto della via Romea e compostelliana; San Giovanni Bosco dal Castello di
Tortona benedisse la città, l'Italia e il mondo intero con l'auspicio
che l'Italia tornasse cuore della luce cristiana sul mondo intero, non è
un augurio-preghiera che si comprende meglio se si pensa alla presenza alla
Coppa-Cuore di Cristo in Tortona? Altro segno: Tortona conserva una reliquia
della Santa Croce e possedeva una presenza dei cavalieri Templari presso l'ostello-chiesa-porta
di San Giacomo. (una delle poche loro presenze in Piemonte) Non era compito
dei Templari secondo la loro regola custodire la Santa Croce? Non era sul castello
la Cattedrale prima del 1500? Solo la Croce santa era da loro custodita? Ma
non ci sono reliquie della Croce santa in ogni Chiesa cattolica? Troppe concordanze,
troppi indizi che alludono alla presenza di una realtà sacra e riservata
in Tortona. Ultimi segni: ancora lo stemma araldico. Vediamo una corona di alloro
e di quercia, segno della perfetta intesa fra celti e romani. Roma tenne lo
stesso nome celtico della città invece di imporne uno nuovo, segno che
dopo la guerra di conquista era avvenuta una piena saldatura fra il passato
celtico e il futuro romano. L'alloro e la quercia sono inoltre simbolo di massima
gloria e di forza. Oltre a ciò è formidabile e illuminante il
motto araldico: "Pro tribus donis Terdona similis Leonis". Cioè:
Tortona è simile a Cristo perché ne custodisce la Santa Coppa,
Tempio e ricettacolo della Santissima Trinità, e come i Re Magi la ripresenta
a Cristo. Ecco la spiegazione dell'incredibile numero di Chiese, Conventi, Abbazie,
Monasteri e Ostelli per pellegrini che si trovavano a Terdona nel medioevo:
era un piccola Roma, una piccola Gerusalemme; la presenza della sacra Coppa
ispirava un costruttivo misticismo e il gran numero di luoghi sacri era pure
utile a dissimulare il luogo in cui era nascosta la Coppa. Non è altrimenti
spiegabile la presenza di un tale numero di ospedali e di ostelli per i pellegrini:
in Chiese, Case, Mansioni, e in luoghi che oggi sono Tenute e Cascine e un tempo
erano domus di notabili romani.Ma quali sono veramente i tre doni? Oro incenso
e mirra nei loro significati spirituali? La risposta essoterica è facile:
forza-coraggio, lealtà e gentilezza. Ma questa risposta riguarda solo
il senso morale della frase; e il senso anagogico? Forse Spirito, acqua e sangue?
Chi cerca trova e non sarà deluso perchè Fedele è il Tesoro.Non
basta la giustificazione che Terdona era situata all’incrocio delle tre
vie sante principali: Via francigena, Via Romea, e Via compostelliana; in realtà
è vero anche il contrario: il misticismo che emanava da Terdona e alcune
fughe di notizie richiamarono e attrassero turbe di pellegrini per i quali Terdona
non era solo una tappa importante nel pellegrinaggio, ma anche una meta stessa
di pellegrinaggio. Oltre a ciò all’epoca del medioevo il Castello
di Tortona doveva apparire estremamente elevato per l’altezza del Colle,
i terrapieni e le mura, abbellito da una Torre romana chiamata “Rubea”,
cioè Rossa, ( anche detta “Tarquinia”) e da una Torre Bianca,
e circondato dalle acque, in quanto era circondato dal fiume Scrivia (all’epoca
ricco di acque tanto che solo esperti traghettatori erano in grado di passarlo
e non esistevano ponti), e dai torrenti Ossona, e Grue.
Era quindi difeso e abbellito per tre lati dall’acqua, nonchè circondato
da colline, sentieri, rogge e rocce, oltre ad essere collegato per mezzo di
gallerie e cunicoli sotterranei all’Abbazia cistercense di Rivalta ( Ripa-alta)
e alle Chiese del Borgo sottostante: un paesaggio variegato e fascinoso molto
simile a quello del Castello del Re Pescatore, al Castello del Graal e ai luoghi
limitrofi come sono descritti nei romanzi cavallereschi del 1200-1300! L’altezza
del Castello e la sua posizione permetteva di metterlo in comunicazione visiva
con un territorio molto vasto e significativo: Novi Ligure da un lato, Voghera
dall’altro, e verso Genova o la Lunigiana la via dei messaggi era facilmente
tracciata in triplice tragitto attraverso una rete fitta di segnalazioni ignee
fra forti e Castelli: a) Pozzolo-Novi-Serravalle-Arquata-Castello della Pietra,ecc.;
b) Vho- Sarezzano- Avolasca- Garbagna -Montebore- Sorli -Cantalupo - Brusamonica
c) Volpedo-Monleale-PozzolGroppo- Montemarzino- Brignano- SanSebastiano -Gremiasco-Fabbrica
Curone - Varzi- Oramala, ecc. Tutti luoghi di origine militare celtica, rifondati
da romani, longobardi e franchi per la difesa dai saraceni e dai bizantini,
luoghi in cui passava la “strada del sale”. Nel primo medioevo tutta
la regione ligure dell’entroterra era chiamata “Patrimonio delle
Alpi Cozzie” e apparteneva alla Santa Sede, uno dei primi feudi della
Chiesa di Roma. Fu usurpato dai Longobardi e poi restituito al Pontefice dal
Re Ariperto. Da qui la dignità di Principi dei Vescovi di Tortona, e
il loro fregiarsi, nel blasone vescovile, di una Spada accanto al Pastorale.
Solo la presenza della Coppa di Cristo poteva conferire tale dignità
nonché un’unione così stretta e manifesta del potere spirituale
con il potere temporale. Fino a quando restò tale tesoro nella città
di Tortona? Il fatto che il Maresciallo imperiale Suwaroff il 13 maggio 1799
emanò da Tortona il suo mistico proclama al popolo piemontese è
segno che ancora fosse conservata nel Castello la reliquia? Era un incitamento
a difenderla? Oppure era una preparazione del suo ritorno nel luogo che per
tanto tempo l’aveva accolta? E' per questo motivo che Napoleone, furioso
per non avere trovato ancora la Coppa, distrusse fin dalle fondamenta, e con
lento metodo, il grande, ma da tempo militarmente inutile, Castello di Tortona?
Ci sono ancora molte vie in Tortona verso il mistero: i sotterranei del Castello,
le cripte delle Chiese più antiche, i documenti sulla storia della Città,
l'iscrizione in latino nella corte di Rosano ( chi la legge intuirà la
gloria della Rosa), e il misterioso mausoleo dell'Imperatore Majorano sito nella
Chiesa di San Matteo ( un cubo ermeticamente chiuso di 9 metri per 9) et cetera...
Cosa custodisce il Mausoleo da millenni?Altri indizi della tesi interpretativa
qui sostenuta sono nascosti nei significati dei nomi. Arth-ur: significa in
celtico: Orso, e indica la costellazione dell'Orsa maggiore, e oltre a ciò
contiene la radice in sanscrito "UR",
identica in greco e latino, significante: "fuoco" (pyr-purificazione,
iride, urano, uro, ira, curia, ecc.), inteso come segno di potenza, ardore,
audacia, zelo e sacro impeto. Ebbene abbiamo accennato a come Tortona e le sue
sette frazioni (che erano un tempo forti o domus romane fortificate) rappresentino
la predetta costellazione, con la stella polare che coincide con la Città
del Leone della Rosa. La stessa radice sanscrita-greca-latina si ritrova nel
nome "Cur-one", valle e fiume prossimo a Tortona, nel nome "Iria"
cioè l'attuale fiume Scrivia che con i suoi flutti impetuosi difendeva
la Città, e nel nome "Lig-ur-ia", ove "Lig" deriva
dalla divinità celtica Lug, guerriero celeste munito di fulmine e lancia
(simile simbolicamente a San Michele). Anticamente Derton possedeva anche un
secondo nome: Antilia o "Antiria", cioè davanti all'Iria (cioè
davanti al fiume ma anche: davanti al Fuoco) Tutto ciò conferma l'importanza
sacrale di Tortona e la diffusione del culto del Fuoco, di Vesta e di Giove
(sulla sommità del Colle Savo s'alzava il Tempio di Giove capitolino)
La tradizione guerriera dei Liguri si perpetuò ed accrebbe sotto le insegne
di Roma! "Parsifall" significa: valle dei Persiani o Valle dei giardini,
cioè la Val Curone, in cui risiedevano comunità di Armeni e di
ebrei, ed era famosa per la sua vegetazione lussureggiante. "Parsifall"
ricorda il rapporto della sacra Coppa con i Re Magi e l'Oriente.Queste considerazioni
non implicano un voler screditare la nordicità del ciclo bretone, ma
dimostrano che non esistono contestualizzazioni esclusive per gesta cavalleresche
che possono aver tratto ispirazioni da più regioni e da più epoche.
“Ginevra” era in realtà Genova stessa, “Monserrat”
era Monte Spineto, ( detto anche Monte Arimanno) luogo sacro e rifugio dalle
invasioni barbariche, luogo che serra la valle dello Scrivia (Iria) presso l’attuale
Serravalle. A tale proposito ricordiamo che i potenti Marchesi di Monferrato,
audaci sostenitori della Crociata e imparentati con gli Imperatori, mai vollero
conquistare Tortona ma anzi si imparentarono con le sue famiglie più
nobili. E’ evidente la profonda simbologia della parola: “Mons-ferrat”.
Approfittiamo dell’occasione anche per ricordare che molti toponimi del
tortonese contengono la parola “spina”, e ciò significava
una funzione di difesa e di relazione in rapporto alla sacra Coppa di Cristo.
La Spina difende la Rosa, cioè il Calice sacro! Oltre al precedente un
altro esempio: Spineto Scrivia, nella contea/principato del Vescovato! Dopotutto
una delle più potenti e nobili famiglie del Tortonese erano i “Malaspina”,
decantati da Dante Alighieri e di cui il Poeta fu ospite nel Castello di Oramala,
e gli Spinola. “Lionello” era Villa del Foro e Libarna. “Lionello”
significava: il piccolo Leone, i piccoli del Leone, cioè le due filiazioni
della Colonia Dertona. “Galvano” era Galgano, cioè chi, imitando
il santo cavaliere, andava in mistico pellegrinaggio verso San Michele ( di
Susa o del Gargano). La linea di San Michele partiva da San Michele in Normandia
e arrivava a Gerusalemme passando per Tortona e il Gargano. “Lancillotto”
era connesso con Asti = “Hasta” = Lancia. La Lancia non è
lontana dalla Coppa e la Coppa non è lontana dalla Lancia. Non era la
Coppa il simbolo di Lancillotto, per la Quale aveva lasciato tutto vivendo in
una perpetua cerca? Non era Asti il luogo famoso in tutta l’antichità
per la confezione di calici e coppe? Presso Frugarolo, in territorio dertonese,
nel 1300 venne affrescata la stanza di una piccola residenza nobiliare con il
ciclo di Lancillotto, dipinto mentre combatte contro i sassoni. Questo è
che la sopravvivenza epica della memoria delle gesta dei cavalieri tortonesi
romano-cristiani sotto Aureliano e sotto Maiorano contro i marcomanni. “Sarras”
era Sarezzano: luogo vicinissimo a Terdona in cui si elevava una rocca celtica
antichissima. I famosi boschi di Parsifall e scenario di tante avventure, ricchi
di selvaggina e di cavalieri che vagavano, non erano altro che i boschi della
Fraschetta (ormai aimè
non più esistenti!) luogo prediletto dai Goti, dai Longobardi e dai Franchi
per l’arte della caccia. La Tavola era la rocca stessa: tutto il forte
e la stesso borgo si sviluppa in un perfetto cerchio attorno alla roccia del
Colle Savo!Se a questo si aggiunge che sul Forte era venerata una Madonna Nera
il cui ritratto è ancora conservato nella cattedrale di Tortona e i cui
occhi trasmettono una terribile dolcezza, e se consideriamo che la posizione
astrologica di Tortona è favorevolissima, contemplando ad esempio un
dominio di Saturno nel mese di dicembre (Saturno è il protettore e dispensatore
delle ricchezze occulte, nume dell’essere e della sapienza), e se ricordiamo
che Tortona era ricchissima di acqua e attraversata da numerose sorgenti, canali,
rogge e chiuse, il quadro sapienziale è completo e rarissimo! Lo stretto
legame sussistente fra Tortona e i santi monaci irlandesi che vi giunsero (
per poi portarsi a Celle di Varzi e a Bobbio) rappresenta un ulteriore conferma
della credibilità della tesi sostenuta della vicinanza del Graal a Tortona.Non
solo il grande San Colombano ma
molti altri monaci irlandesi, scoti, britannici e bretoni giunsero nell' ager
di San Marziano per salvare tesori spirituali e anime e regni. Sugli appennini
liguri vivevano ancora comunità celtiche isolate di cui nessuno più
capiva il liguaggio tranne i monaci itineranti irlandesi.Come fu per il Regno
sacro e spirituale dei Re dei britanni fino ad Arturus così fu per il
Marchesato/contea di Tortona: un Regnum invisibile riconosciuto solo da e fra
i nobili, i cavalieri e i monaci che ne condividevano la segreta esistenza:
un vassallaggio parallelo ed autonomo, in quanto interiore e spirituale, rispetto
a quello tipicamente feudale. Dopotutto Tortona sfugge ad ogni chiara e canonica
classificazione feudale e dinastica, essendo un equilibrio perfetto fra Impero
e Papato: i Vescovi di Tortona erano conti e principi, ma la corona della Città
è del Marchesato, il territorio era lombardo e imperiale, ma nello stesso
tempo apparteneva al Patrimonio di Pietro, i nobili maggiori di Tortona erano
imparentati con l'Imperatore ma pure reggevano un Comune molto autonomo e mai
eretico!E se Merlino e San Patrizio fossero la stesa persona? Questa idea rafforza
e chiarifica ulteriormente la vocazione spirituale di Tortona. Dopotutto molte
sono le concordanze fra le loro figure e storie: entrambi nascono britanni,
anzi romano-britanni, entrambi viaggiano molto e vivono a lungo, entrambi sono
figure di profeti-sacerdoti ed esorcisti, entrambi sono di nobile stirpe e consiglieri
di re, entrambi vivono molti anni in Gallia ( San Patrizio dal 415 al 432) per
poi ritornare in Britannia, entrambi erano fra gli ultimi a conoscere molto
bene la cultura celtica e in particolare i riti dei Druidi. C'è da considerare
infine che il periodo storico coincide perfettamente: dalla partenza delle legioni
romane nel 410 al predominio dei sassoni in Inghilterra. San Patrizio aveva
19 anni nel 410 e 59 anni nel 450; data fatidica: l'unica data certa del ciclo
epico, l'anno in cui Galaad, il Cavaliere vergine perfetto, si siede sul seggio
periglioso portando a compimento le profezie ed iniziando le ultime imprese
della cavalleria spirituale, che porranno fine ai tempi avventurosi, in cui
Cristo aveva chiamato eroi e e cavalieri a lottare contro le ultime forze infere
che ancora vagavano per la terra e tentavono invano di resistere al nuovo Regno
di Cristo. Pochi anni dopo il 450 inizò il crepuscolo del Regno britannico
e Arturus, ferito ma non vinto nè morto, come i Re pescatori, si occultò
nell'invisibile da dove aspetta, con Federico II° e Merlino, il tempo previsto
per risvegliarsi, novelli Elìa, al combattimento finale contro le forse
del male. Se Merlino è San Patrizio allora non solo dal sud ma anche
dal nord la Coppa segnò la via passando per Tortona. Si vuol sostenere
che i nomi dell’epica cavalleresca medioevale non risultano tanto nomi
specifici di persone, quanto soprannomi di battaglia, quali nomi-segni ideali,
quali tipologie interiori, quali maschere simboliche che più persone
e più generazioni hanno indossato e incarnato, in connessione con determinati
luoghi spirituali e azioni rituali! Questa tesi non vuole giungere alla conclusione
che non siano esistiti personaggi storici cavallereschi e militari nel primo
medioevo che abbiano ispirato tradizioni eroiche (Artù-Lancillotto-Parsifall-Galvano),
e neppure vuol sostenere che non siano accadute in Britannia, Bretagna, Provenza,
Svizzera, Spagna e Persia, gesta cavalleresche poi idealizzate caratterizzate
dalla fusione fra le ultime sopravvivenze di un mondo romano cavalleresco e
militare con un Cristianesimo fresco e mistico-eroico; ma semplicemente si vuol
sostenere che anche il territorio Tortonese si inscrive a pieno titolo in questo
panorama simbolico, in questa geografia sacrale che tanta ispirazione diede
all’epos e alla religiosità occidentale. Una storia ancora viva:
chi si rechi in prossimità della Torre–mansione del ponte di Cassano
sullo Scrivia ancora sente palpitare una forte sacralità del luogo.Una
storia ancora vicina: pochi anni dopo la seconda guerra mondiale ad Angela Volpini,
allora bambina, in Casanova Staffora (PV), in Diocesi di Tortona, apparve la
Santa Coppa di Cristo.
Giuseppe di Arimatea
Il personaggio di Giuseppe
di Arimatea è molto importante nell'ambito della tradizione cristiana,
a ragione del fatto che egli è citato in tutti e quattro i Vangeli canonici,
più negli Apocrifi, in particolare negli "Atti
di Pilato", un testo che è noto anche come "Vangelo
di Nicodemo" o "Narrazione di Giuseppe". In tutte queste
narrazioni Giuseppe ha il ruolo fondamentale di recarsi da Ponzio Pilato a richiedere
il corpo di Gesù, che egli provvide a far deporre dalla croce, ad avvolgerlo
in un sudario dopo averlo pulito e profumato con unguenti ed infine a seppellirlo
in una tomba scavata nella roccia.
Quanto alla sua identità, Marco (Mc 15, 42-46), che è il Vangelo
più antico, e Luca (Lc 23, 50-53) lo definiscono "membro
autorevole del Sinedrio", mentre Matteo (Mt 27, 57-60) e Giovanni
(Gv 19, 38-42) lo dichiarano "discepolo"
di Gesù, ma, specifica ulteriormente Giovanni, "di nascosto, per
timore dei Giudei". Si capisce che doveva essere un uomo molto ricco: Matteo
lo dice apertamente, e aggiunge che la tomba in cui depose il Cristo era nuova
ed era di sua proprietà. In realtà, anche con un minimo di logica,
è assai probabile che il sepolcro fosse di sua proprietà, e che
era impensabile che egli andasse ad inumare il corpo di Gesù nel primo
buco trovato libero nei dintorni... I Vangeli non
fanno accenno ad eventuali rapporti di parentela
di Giuseppe con Gesù,
ma è noto dalla conoscenza degli usi e delle leggi sia romane, sia ebraiche,
che soltanto un parente stretto aveva la facoltà di andare a richiedere
il cadavere di un condannato a morte. Da più parti è stato supposto
che egli fosse uno zio di Maria. Un'eventuale parentela chiarirebbe anche il
senso, altrimenti strano, se non proprio anomalo, di deporre Gesù in
un sepolcro di sua proprietà: si tratterebbe, così, dell'uso di
una normale tomba di famiglia, che un uomo della sua classe sociale e del suo
reddito poteva tranquillamente permettersi. Il Vangelo
Apocrifo di Nicodemo aggiunge ulteriori dettagli su Giuseppe e sul suo
ruolo nella vicenda della Crocifissione, dettagli che tendono a mitizzarne la
figura. In questo testo, infatti, si narra di come Giuseppe, dopo aver inumato
Gesù nel sepolcro che aveva fatto scavare per sé, scatenò
l'ira degli anziani ebrei e venne per questo arrestato e rinchiuso in una cella
sigillata. Ma Giuseppe scomparve dalla cella lasciando il sigillo intatto. Ricomparso
nella sua città natale, Giuseppe spiegò davanti agli attoniti
anziani che era stato Gesù in persona ad apparirgli nella cella ed a
condurlo nella sua casa per renderlo testimone della sua resurrezione. Ulteriori
dettagli su Giuseppe vengono dati da alcuni autori cristiani delle origini,
come Ireneo da Lione, Ippolito di Roma, Tertulliano, Eusebio di Cesarèa,
Ilario di Poitiers e Giovanni Crisòstomo, patriarca di Costantinòpoli.
Quest'ultimo, in particolare, fu il primo a menzionare il fatto che Giuseppe
era uno dei settanta discepoli di cui si parla nel Vangelo secondo Luca ( 10:1/24),
scelti da Gesù e inviati a due a due in missione. Dopo gli eventi narrati
nei Vangeli, la figura di Giuseppe di Arimatea assunse, soprattutto nel periodo
medievale, una notevole importanza, rendendolo protagonista, in un intreccio
di storia e leggenda, di due grandi filoni narrativi, che sono poi spesso fittamente
intrecciati tra loro: la predicazione e la diffusione della cristianità
in Gran Bretagna, e il ciclo dei romanzi del Graal, dove il suo personaggio
viene definitivamente associato al Santo Graal. La Missione
di Giuseppe in Britannia : Giuseppe di Arimatea
a Glastonbury. Sebbene esistano numerose cronache sulla diffusione del
Cristianesimo in Gran Bretagna, fu soltanto durante il Medioevo che questa attività
venne collegata specificamente all'arrivo e all'opera missionaria di Giuseppe
di Arimatea. Di fatto, la prima citazione diretta di Giuseppe in Britannia
si trova nella "Vita di Maria Maddalena",
opera di Rabano Mauro (780-856), arcivescovo di Magonza. Secondo il suo resoconto,
infatti, Giuseppe arrivò innanzi tutto in Francia, insieme a Maria Maddalena
e ad un'altra sfilza di personaggi: "le due sorelle
di Betania, Maria e Marta, Lazzaro (che fu risorto dai morti), sant'Eutropio,
santa Salomé, san
Cleone, san Saturnino, santa
Maria Maddalena, Marcella
(serva delle sorelle di Betania), san Massio o
Massimino, san Marziale, e san
Trofimo o Restituto". Dalla Francia
egli sarebbe poi stato mandato in Britannia, con
alcuni discepoli, per predicare ivi il Vangelo di Cristo. Tuttavia, considerando
anche le cronache precedenti e incrociando le varie testimonianze, si può
provare a ricostruire la storia. Gildas III (516-570),
cronista delle origini, affermava nel suo "De Excidio
Britanniae" che i primi precetti della cristianità vennero
portati in Gran Bretagna durante gli ultimi giorni dell'imperatore
Tiberio Cesare. Tiberio morì nell'anno 37 e questa data è
compatibile con quanto affermò, nel 1601, il cardinale Cesare
Baronio, eminente bibliotecario del Vaticano, che nei suoi "Annales
Ecclesiasticae" affermò che Giuseppe di Arimatea si recò
per la prima volta a Marsiglia nel 35 e di lì fu poi mandato a predicare
in Inghilterra. Nella Gallia del I sec. si trovava
un personaggio importante della cristianità: l'Apostolo
Filippo. Gildas e Guglielmo
di Malmesbury concordano nell'affermare che fu Filippo
ad organizzare la missione verso la Britannia.
Nel "De Sancto Joseph ab Arimathea" di
John Capgrave (1393-1464) si afferma che "quindici anni dopo l'Assunzione
cioè nell'anno 63, considerando che Maria fu assunta in Cielo nell'anno
48 egli Giuseppe si recò da Filippo apostolo tra i Galli".
La conferma viene da Freculfo, vescovo di Lisieux
nel IX sec.: anche lui scrisse che San Filippo organizzò la missione
in Britannia per far annunciare colà il vangelo. Dunque, San
Giuseppe arrivò in Britannia con
dodici apostoli, e di lì cominciò
a diffondere il Vangelo. Accolto freddamente dalla popolazione locale, fu però
tenuto in gran considerazione dal re Arvirago di Siluria, fratello di Carataco
il Pendragone, che lo accolse con onore e gli donò una vasta proprietà
di terra (12 hides, equivalenti a 1440 acri, circa 580 ettari), da usare come
base, presso Glastonbury, nel Somerset. Giuseppe e la
Santa Spina. A Glastonbury Giuseppe di Arimatea eresse una primitiva
chiesa di fango e rami intrecciati, che fu di fatto il primo edificio cristiano
di Britannia, e che costituì il nucleo originario della futura Abbazia
di Glastonbury, destinata a diventare ampia e facoltosa, seconda per estensione
e per ricchezza soltanto a quella di Westminster, a Londra.
L'arrivo di Giuseppe a Glastonbury fu segnato da un evento miracoloso: trovandosi
sulla sommità di una collina, chiamata Wearyall Hill, Giuseppe si distese
a riposare, piantando il proprio bastone accanto a sé. Al suo risveglio,
il bastone aveva miracolosamente attecchito ed era diventato un albero. Quest'albero
divenne poi noto come "Santa Spina".
Variante del comune biancospino, esso però assunse solo qui, nei dintorni
di Glastonbury, una caratteristica peculiare, quella di fiorire due volte all'anno:
all'inizio della primavera e in inverno, in prossimità del solstizio.
Poiché queste due date cominciarono ad essere associate alla due più
grandi feste della cristianità, ossia la Pasqua
e il Natale, che ricordavano la nascita e la morte
di Gesù, esso venne chiamato "Santa Spina"
(Holy Thorn, o Glastonbury Thorn) e divenne oggetto di gran venerazione, che
dura tuttora. La leggenda del Sacro Calice Fu durante
il Medioevo, in particolare con il romanzo di Robert de Boron e tutta la letteratura
sul Graal fiorita dopo di esso, che il personaggio di Giuseppe di Arimatea acquista
nuova importanza e nuovo vigore. Prima di Boron, infatti, il Graal (in particolare,
nella prima opera in cui esso fa la sua apparizione, vale a dire il "Perceval
ou le conte du Graal", di Chrétien de Troyes, scritto nel XII sec.)
non viene chiamato "Santo" e non viene associato neanche al Cristo,
anzi, in realtà non viene neanche detto che si tratti di una coppa perché
nella processione che si svolge al castello nel quale è invitato Perceval,
si dice che esso viene recato in mano da una fanciulla, senza specificare di
cosa si tratti. È con Robert de Boron, dunque, che comincia la connotazione
strettamente cristiana del Graal: nel romanzo "Joseph d'Arimathie",
composto tra il 1170 e il 1212, viene detto che il Graal è la coppa usata
da Gesù durante l'Ultima Cena. Robert amplia il resoconto del Vangelo
di Nicodemo ed aggiunge che quando Giuseppe di Arimatea depone il corpo di Gesù
dalla Croce su permesso di Pilato, egli ne rimuove il sangue e il sudore, ponendoli
in due ampolline. Poi, notando una fuoriuscita di sangue dalla ferita sul costato,
inferta a Gesù dalla lancia del centurione Longino, ne raccoglie le stille
nella coppa che aveva prelevato dal tavolo della cena. Giuseppe portò
con sé la coppa in Britannia, dove fondò, come abbiamo visto,
la prima comunità cristiana del luogo. Il Pozzo
del Calice. Da qui in poi, numerose leggende si intrecciano e si negano
l'una con l'altra, facendo disperdere la ricerca. C'è chi dice che abbia
nascosto il Graal in un pozzo che si trovava a Glastonbury, ai piedi del Tor,
laddove oggi sorge il "Chalice Garden". Da allora le acque della sorgente
si sono colorate di rosso ed hanno acquisito delle proprietà taumaturgiche.
Secondo altre tradizioni, la coppa passò al successore, il cognato Hebron,
o Bron, che era venuto con lui dalla Palestina. Bron, soprannominato il Ricco
Pescatore, divenne così il secondo custode del Graal. A Bron seguì
Alano, e di qui si instaura una stirpe di discendenti e custodi del Graal tra
i quali si annovera Anfortas (il "Re Pescatore"
ferito dei romanzi del ciclo), per finire a re Artù, anche lui discendente
dello stesso Giuseppe.
Infine, un terzo filone è quello secondo cui Giuseppe si sarebbe fatto
seppellire insieme al Santo Graal, che dunque è ancora nascosto all'interno
della sua tomba. Secondo le tradizioni, Giuseppe visse ed operò in Gran
Bretagna per almeno altri venti anni, morendo alla veneranda età di 86
anni. Anche in questo caso le tradizioni si moltiplicano e si smentiscono l'un
l'altra. Secondo alcuni, egli fu seppellito a Glastonbury,
nei presi della chiesa che aveva fatto edificare. Altri (Renata Zanussi, "San
Colombano d'Irlanda - Abate d'Europa") sostengono che egli sia sepolto
sull'Isola di San Patrizio, poco distante dall'Isola di Man. È documentato,
a partire dal 1454, che la reliquia di un suo braccio sia conservata nella Basilica
di San Pietro, in Vaticano.
Compianto sul Cristo morto (Pietro Perugino) "Compianto sul Cristo morto
", Pietro Perugino, 1495 olio su tavola (220x195 cm), Galleria Palatina,
Firenze Chi era veramente Giuseppe di Arimatea?
Quando si prova ad indagare più a fondo sulla figura di Giuseppe, pur
volendo tenere fede solo alle scarse testimonianze fornite dai Vangeli, ci si
imbatte subito in un particolare enigmatico: la città di Arimatea,
dalla quale Giuseppe è detto provenire, in realtà... non esiste!
Gli storici e gli interpreti del Vangelo hanno a lungo dibattuto sull'identità
di questa città, che solo Luca pone in Giudea
("Era di Arimatea, una città della Giudea", Lc 23, 51), senza
specificare dove, e attualmente l'ipotesi più generalmente accettata
è che essa si tratti di Ramathaim-Zophim, in Ephraim, la città
natale del profeta Samuele. Altri propongono Ramlah, in Dan, oppure Ramah, in
Benjamin. A parte il fatto che non si capisce come mai il nome debba essere
stato così malamente storpiato, nessuna delle tre località proposte
si trova in Giudea, così come riportato da Luca.
Abbiamo già visto come egli doveva essere necessariamente imparentato
con Gesù. La tradizione afferma che egli fosse uno zio di Maria, la madre
di Gesù. Tuttavia questa ipotesi suscita una sequenza di assurdi, se
poi andiamo a considerare le cronache sulle attività di Giuseppe in Britannia,
e la fondazione della primitiva chiesa nell'anno 63. Se Maria, infatti, nacque
nel 26 a.C., come è generalmente riconosciuto, posto che la nascita di
Gesù debba essere retrodatata al 7 a.C. (per alcuni errori nel calcolo
dell'anno 0), ella doveva avere circa 19 anni quando Gesù fu concepito.
Se Giuseppe fosse stato suo zio, egli doveva avere almeno venti anni più
di lei, quindi al tempo della Crocifissione Maria aveva appena superato la cinquantina,
mentre Giuseppe doveva stare sulla settantina. Com'è possibile, dunque,
che trenta anni dopo lo troviamo ancora a predicare in Britannia ed a costruire
una chiesa (quando ormai doveva essere centenario) e, ancora, vivere per altri
vent'anni? Le cronache danno Giuseppe morto all'età
di 86 anni, perciò o si tratta di un altro Giuseppe di Arimatea,
oppure il rapporto di parentela con Maria è sbagliato. Laurence
Gardner, nella "Linea di Sangue del Santo
Graal", suggerisce un'altra ipotesi: che egli fosse non lo zio di
Maria, ma suo figlio, ossia che si tratti di Giacomo, detto il Giusto, il "fratello
di Gesù", come lo definisce Paolo nella lettera ai Galati (Gal 1,
19), citato dai Vangeli canonici e dagli Atti, oltre che dagli Apocrifi, cronache
cristiane (San Girolamo) e storiche (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche).
Per capire come ciò sia possibile, partiamo da un dato di fatto. Nel
testo originale del vangelo, scritto in greco koiné, il nome Arimatea
è preceduto da un segno grafico simile ad un apostrofo ( ) che
indica aspirazione. La pronuncia esatta, dunque, doveva essere "Harimatea"
(con l'acca iniziale aspirata), e questo fa supporre che nel termine originale
aramaico, la prima lettera del termine fosse una 'he', corrispondente alla voce
ha' che denota un articolo. Sappiamo che la lingua ebraica non possedeva
vocali, e che queste venivano scritte in forma di puntini sotto le lettere,
ma solo negli scritti dotti. Così, per tradurre il nome ebraico di Gesù,
i termini Gesù, Joshua, Yeshua e simili sono equivalenti. "Harimatea"
poteva dunque essere un titolo onorifico, "ha-rama
Theo", cioè "l'Altezza Divina",
un termine equivalente al moderno epiteto "Sua Altezza
Reale"). Gardner parte dall'ipotesi
che Gesù fosse discendente diretto dalla
linea di Davide e che, di conseguenza, il suo concepimento
e quello dei suoi fratelli avesse seguito le normali regole di successione davidica.
La sua analisi prosegue, vagliando attentamente ogni fonte disponibile, canonica
o apocrifa, storica o letteraria, accettata dalla chiesa ufficiale o rifiutata,
senza disdegnarne alcuna, con la ricostruzione della cosiddetta "Linea
di Sangue", cioè la discendenza diretta di Gesù
originata con il suo matrimonio con Maria Maddalena.
L'analisi delle testimonianze porta Gardner a delineare
la tesi che Gesù e Maria
Maddalena ebbero tre figli: una primogenita
femmina, che chiamarono Tamar, e due maschi: Joshua,
ossia Gesù, detto "il Giusto" (chiamato Gais nei romanzi del
Graal), il maggiore, e Josephes, il minore. Gesù
accoglie i bambini In questa vetrata, che si trova nella Round Church di Cambridge,
Gesù è rappresentato con tre bambini: la femminuccia più
grande e i due maschietti più piccolini. Si tratta di un'allusione a
Tamar, Joshua e Josephes? Si noti, nella cornice, la presenza del "Fleur-de-Lys",
un ben noto riferimento esoterico alla "Linea di Sangue"... Dopo la
Crocifissione, la Maddalena e Giuseppe lasciarono
la Palestina e si imbarcarono diretti in Francia, dove l'apostolo Filippo era
stato mandato ad annunciare la parola di Dio. Fu così che mentre Maria
rimase in Francia con Tamar e Josephes, Giuseppe portò con sé
il piccolo Gesù Giusto in Britannia, e quindi le leggende su Gesù
adolescente che giunge in Inghilterra al seguito di Giuseppe di Arimatea hanno
un plausibile fondamento. Non solo: questa ipotesi spiega anche l'apparente
dicotomia delle leggende sul Graal. Infatti, i due più grandi filoni
sul Santo Graal sostengono che esso sia stato portato da Maria Maddalena in
Francia, e contemporaneamente da Giuseppe di Arimatea in Britannia. Se il Graal
metaforicamente indica la discendenza di Cristo, allora ecco spiegata l'apparente
contraddizione! Tornando a Giuseppe di Arimatea, che porta con sé il
piccolo Gesù a Glastonbury, è chiaro
a questo punto che non è lo zio di Maria,
madre di Gesù, ma lo zio di Gesù Giusto,
ovvero il fratello di Gesù detto il Cristo. Per spiegare, dunque, come
Giacomo il Giusto sia diventato Giuseppe di Arimatea,
Gardner fa la seguente ipotesi. Nelle linee di
successione davidica, con il termine onorifico di "Davide" si denominava
l'attuale reggente, mentre al figlio più anziano, destinato alla successione,
veniva dato il titolo di "Giuseppe". Se però, in un dato momento,
non c'erano ancora figli oppure il figlio avente diritto aveva meno di 16 anni,
era il fratello più anziano che prendeva temporaneamente il titolo di
"Giuseppe". Questo è quello che
accadde alla famiglia di Gesù. Quando Gesù il Giusto era ancora
piccolo e non aveva ancora l'età per succedere al padre e divenire il
nuovo "Davide", il fratello più
anziano di Gesù, Giacomo (si noti che nei
vari elenchi evangelici di "fratelli" di Gesù, Giacomo viene
sempre nominato per primo, una chiara indicazione che egli era il più
grande), assunse il titolo di "Giuseppe"
e ne divenne il tutore. L'ulteriore titolo onorifico di "ha Rama Theo",
cioè "Altezza Divina", gli venne conferito in onore all'alta
posizione di Gesù, che oltre come re si stava proponendo anche come sacerdote,
cioè si stava proclamando un Messia. Una prova "tangibile"
di questa ipotesi la troviamo nella supposta pietra di fondazione della chiesa
che Giuseppe di Arimatea/Giacomo il Giusto fece
erigere a Glastonbury al suo arrivo, e che è stata mantenuta nella costruzione
medievale successiva, quella Lady Chapel che divenne il primo nucleo della futura
Abbazia di Glastonbury. Quella pietra, ancora oggi esposta lungo la parete sud
delle rovine della Lady Chapel, contiene due parole inscritte: "IESUS
MARIA", che per tradizione sono la dedica che il piccolo Gesù
volle fare a sua madre. La supposta data di tale dedicazione, secondo le cronache,
è l'anno 64, proprio l'anno in cui Maria Maddalena
morì nel suo ritiro spirituale nella grotta alla Sainte-Baume. Risulta
dunque chiaro, a questo punto, a quale Gesù e a quale Maria si riferisce
la pietra. Riguardo la sua identità, i Vangeli di Matteo e Giovanni dichiarano
Giuseppe "discepolo" di Gesù;
Luca (Lc, 10, 1-20) dichiara che Gesù
nominò ben Settanta Discepoli che inviò a due a due in ogni luogo
del mondo conosciuto a predicare la sua parola. Se Giuseppe
era suo discepolo, allora doveva essere compreso in questo gruppo di 70. Esistono
diversi elenchi di questi discepoli (in alcune tradizioni sono 72) compilati
in diverse epoche; l'acconto più antico è quello di Ippolito di
Roma, cui si attribuisce uno scritto intitolato "Sui settanta apostoli".
Altri elenchi furono compilati nei secoli successivi; Eusebio da Cesarea afferma
che alla sua epoca non c'era nessun elenco ma nella sua "Storia
Ecclesiastica" elenca tra i settanta solo Barnaba,
Sostene, Cephas, Mattia, Taddeo e Giacomo fratello del Signore. Ad ogni
modo, Giuseppe di Arimatea non è mai menzionato
in nessuno di questi elenchi, e ciò è strano, visto che è
uno dei pochi personaggi ad essere menzionato in tutti e quattro i Vangeli e
vista la sua importanza e il ruolo svolto durante la Passione di Cristo. L'unico
che menziona Giuseppe tra i Settanta è Giovanni
Crisòstomo (IV sec.). È significativo che, invece, il nome
di Giacomo, "fratello
del Signore", compare sempre in ogni elenco, solitamente al primo
posto?
La Linea di Sangue Reale della "Famiglia del Graal" Un'Inchiesta Eretica !
Occorre ricordare che esiste una Teoria
che ha cominciato a diffondersi pubblicamente, cioè al di fuori degli
ambienti esoterici dove essa dovrebbe essere nota ed assodata da tempo, dopo
la pubblicazione del "Santo Graal" di Michael Baigent, Richard Leigh
ed Henry Lincoln, nel 1982. È l'ipotesi, non dimostrabile storicamente
e non accettata dalla Chiesa Cattolica, della discendenza per via dinastica
di Gesù seguita al suo matrimonio con Maria Maddalena, la cosiddetta
"Linea di Sangue Reale", identificata nel Santo Graal, che ne è
il simbolo più vivido, immortalato da una serie infinita di romanzi che
daranno vita al glorioso ciclo bretone delle storie di re Artù e dei
Cavalieri della Tavola Rotonda. Prima di proseguire oltre nella disamina di
questa teoria, però, va precisato che non è intenzione, e non
è lo scopo di questa inchiesta, sostenere o dimostrare la validità
o meno di certe affermazioni, cosa che tra l'altro sarebbe impossibile. È
lecito chiedersi se certi ambienti, a carattere esoterico ma non necessariamente,
conoscendo ed approvando la teoria, possano aver influenzato artisti ed artigiani
a riprodurre il modello della "Famiglia del Graal"
nelle proprie opere come segno di diffusione "occulta" di un certo
sapere ufficialmente rimosso e bollato di eresia. Questa teoria, che ha trovato
sempre più appassionati ed esponenti nel ventennio successivo alla pubblicazione
dell'opera dei tre autori inglesi, e che ha visto tra i suoi maggiori esponenti
autori come Margaret Starbird e Laurence
Gardner, asserisce (in linea di massima, pur con diverse varianti da
autore ad autore) che Gesù e Maria Maddalena fossero sposati, come sembrerebbe
risultare anche dai Vangeli Apocrifi, in particolare
quello di Filippo, e che dalla loro unione fossero
stati generati tre figli. Maria Maddalena. Stando
alla cronologia ricostruita da Gardner nei suoi
saggi, basandosi su un'interpretazione meno letterale di fonti cristiane (i
Vangeli, canonici e apocrifi, gli "Atti degli Apostoli" e la "Rivelazione"
di San Giovanni) e letterarie (i romanzi del ciclo del Graal), si evince che
al tempo della Crocifissione (33 d.C.) Maria Maddalena
era incinta di tre mesi. Questa ipotesi è molto più antica e diffusa
di quanto si pensi, considerando che alcune rappresentazioni della Maddalena
presenti nelle cattedrali gotiche ed in alcune altre chiese di Francia presentano
un pancione abbastanza prominente e sospetto, e tenendo conto di altri esempi
come l'enigmatico gruppo scultoreo della Deposizione presente all'interno dell'Abbazia
di St. Remi ad Amiens, di cui abbiamo parlato in un articolo precedente, e che
risale al 1531. Fu così che nel settembre dell'anno 33
Maria Maddalena, che all'epoca aveva 30 anni, diede alla luce una fanciulla
che verrà chiamata Tamar (un nome che significa
"Palma", in onore alle sue origini regali)
o, secondo altre versioni, Sara (ma per alcuni questo, più che un nome
proprio, sarebbe un appellativo, giacché il nome significa "Principessa").
Maria rimase incinta nel dicembre del 32, in linea con le regole di procreazione
dinastica degli appartenenti alla stirpe di Davide, e suggellò formalmente
il Secondo Matrimonio con Gesù ungendogli il capo e i piedi con l'unguento
di spigonardo a Betania. Che Maria di Betania,
sorella di Marta e di Lazzaro,
e Maria di Magdala fossero la stessa persona non
appare così chiaro dai Vangeli canonici, ma venne formalmente riconosciuto
da papa Gregorio Magno, lo stesso che intraprese
la riforma del calendario. In seguito la Chiesa farà di tutto per separare
l'identità delle due persone e per associare alla Maddalena la figura
della prostituta redenta, nonostante in nessun passo dei Vangeli che ne parla
viene mai fatta un'associazione esplicita in tal senso. È significativo
osservare che il beato Jacopo da Varagine, nella
sua "Legenda Aurea" (scritta nella seconda
metà del XIII sec.), afferma senza ombra di dubbio che "Maria
nacque da una famiglia nobilissima che discendeva dalla stirpe regale; il padre
si chiamava Siro e la madre Eucaria. Insieme al fratello Lazzaro e alla sorella
Marta possedeva Magdala, che si trova vicino a Genezareth, Betania, vicino a
Gerusalemme e una gran parte di quest'ultima città". Jacopo era
vescovo di Genova ed apparteneva all'Ordine dei Domenicani, i più intransigenti
in fatto di eresie, e si ispirò per la sua opera a fonti precedenti,
come la 'Storia Ecclesiastica', la 'Storia Tripartita', 'La vita dei Santi Padri',
'I dialoghi di San Gregorio' e i Vangeli Apocrifi. La Crocifissione,
secondo queste ricostruzioni, sarebbe stata soltanto una formidabile messinscena,
volta a garantire che Gesù potesse continuare la sua missione terrena
senza doversi preoccupare delle autorità romane ed ebraiche, sempre più
preoccupate dal suo crescente carisma e della sua idea rivoluzionaria di proporsi
contemporaneamente come Re e Sacerdote del Popolo
Ebraico, cioè come Messia. Senza
addentrarci oltre negli oscuri e complessi meandri di questa teoria, nel tentativo
di dimostrare la quale sono stati scritti interi libri, si ipotizza in sostanza
che le successive "apparizioni" di Gesù agli Apostoli dopo
la Resurrezione fossero in realtà del tutto normali, e mirate ed impartire
istruzioni su come procedere con la guida della Chiesa dopo la sua dipartita.
Dopo la Crocifissione, anche per evitare le rappresaglie
e le persecuzioni che ne erano seguite, la Maddalena,
insieme ad un altro gruppo di personaggi, che comprende Maria
Salomè, Maria di Cleofa e Giuseppe
di Arimatea, sono costretti a lasciare Gerusalemme, ed a imbarcarsi verso
l'Europa. È da questo punto in poi, dunque, che tutte le varie leggende
legate alla stirpe e al Graal prendono fondamento. La Maddalena, insieme alle
altre due Marie, approdò in Francia, in un luogo della Provenza chiamato
Ratis, ma che successivamente divenne Les-Saintes-Maries-de-la-Mer. Nella cripta
della chiesa dedicata alla "Saintes Maries"
si trova l'enigmatica statua di Santa Sara, detta "la Nera" per il
colore della sua pelle. È opinione di molti che essa fosse in realtà
riferita alla figlia di Gesù
e Maria Maddalena, Tamar
Sara. Nel frattempo, dopo il primo parto, gli sposi dinastici dovevano
rispettare un periodo di separazione e di astinenza dai rapporti sessuali per
un periodo di sei anni, riducibile a tre se il primogenito fosse stato una femmina,
come effettivamente avvenne. Fu così che Joshua (detto anche Gesù
o Giosuè), il secondogenito, nacque dopo questo periodo, nel settembre
del 37 d.C. Egli venne appellato "il Giusto"
per distinguerlo dal padre che era chiamato "il Cristo", ed è
nominato nei romanzi del Graal come "Gais".
Sarà questo fanciullo che Giuseppe di Arimatea
porterà in seguito con sé in Inghilterra, un luogo che egli conosceva
bene avendovi precedentemente commerciato in minerali di stagno
e di zinco. Intanto, dopo il secondo parto, Gesù
è obbligato a rispettare un secondo periodo di celibato, della durata,
stavolta intera, di sei anni. I due coniugi, dunque, tornarono insieme soltanto
nel dicembre del 43, quando Maria Maddalena concepì
nuovamente un figlio, che vedrà la luce nel settembre del 44, e che verrà
chiamato Josephes, o Josephos.
Maria Maddalena morì nel suo eremo a La-Sainte-Baume,
dove si era ritirata, nell'anno 64 circa. Nel frattempo, Giuseppe di Arimatea
prese con sé il piccolo Gesù Giusto
e lo portò in Inghilterra, presso Glastonbury. Fu qui, infatti, che il
re Arvirago di Siluria, fratello di Caractaco
il Pendragone, gli assegnò 1440 acri di terreno presso il quale
sorgerà la primitiva cappella di fango e paglia che diventerà
la Lady Chapel e il primo nucleo della potente Abbazia di Glastonbury. Qui si
trova la Famosa Pietra con l'iscrizione "JESUS MARIA"
che attesterebbe la dedicazione di Gesù Giusto
alla madre Maria Maddalena, un'ipotesi più in linea con la cronologia
fin qui delineata piuttosto che quella ufficiale che ritiene fosse stata dedicata
dal piccolo Gesù di Nazareth alla madre Maria, cosa tra l'altro improbabile
in quanto all'epoca di Gesù, ancora ragazzo, Giuseppe di Arimatea non
poteva aver già edificato la cappella per un culto che doveva ancora
nascere! Ecco perché le leggende del Graal sono generalmente divise in
due filoni: la Maddalena che lo porta in Francia e Giuseppe
di Arimatea che lo porta in Bretagna: il
calice, secondo queste teorie, sarebbe solo una metafora, una rappresentazione
del Sangue Reale, della discendenza di Gesù. Da questi eventi si diparte
la successiva storia dei Desposyni, termine con cui si indicava la discendenza
(genealogia) di Gesù e di Maria Maddalena. Tamar non si sposò
mai e non ebbe figli, mentre Gesù Giusto
genererà un figlio, chiamato Galains (o
Alano) nei romanzi del Graal. Galains osserverà però il celibato
e questo ramo della famiglia si estinse con lui. Tutta la discendenza, dunque,
prosegue con Josephes, che genererà Giosuè e da lui la stirpe
proseguirà in Francia fino ad arrivare ai re Merovingi. Attraverso matrimoni
ed unioni la Dinastia si allargherà in tutta Europa, generando numerosi
casati nobiliari, che nel tempo e più o meno deliberatamente vanteranno
la discendenza per linea di sangue dai re Merovingi, ovvero dalla stirpe di
Davide.
Il Santo Graal. Tra Mito e Simbolismo. La Cerca e le Chansons de Geste.
Uno dei miti più affascinanti e longevi di tutta la
cultura dal Medioevo in poi è senza dubbio quello del
Santo Graal. Le origini del mito si perdono nella storia: con tutta probabilità
le leggende legate a "Coppe" o "Vasi Sacri" erano già
tramandate da lungo tempo per via orale da cantori, trovatori e menestrelli
di corte, prima che lo scrittore Chretien de Troyes,
alla fine del XII secolo., lo inserisse in uno dei suoi romanzi, dando vita
al cosiddetto "ciclo del Graal". Infatti, attorno al 1190
egli scrisse "Perceval le Gallois ou le Compte du
Graal", ispirandosi alla ridda di leggende ed aneddoti preesistenti
su coppe ed altri recipienti di carattere magico (di cui abbondava, ad esempio,
la mitologia celtica: si pensi, ad esempio, al calderone magico di Bran). Nel
romanzo, il cavaliere Parsifal, ospite nel castello del "Re
Pescatore" Anfortas, assiste ad una strana processione in cui appare
per la prima volta un mistico oggetto definito "Graal",
realizzato in oro puro e tempestato di pietre preziose. L'etimologia della parola
viene fatta derivare dal latino "gradalis", a sua volta desunto da
un arcaico termine celtico che significa "calice". Fu solo successivamente,
intorno al 1202, con "Le Roman de l'Estoire du Graal" di Robert de
Boron, che il Graal assume una connotazione cristiana, essendo identificato
come il calice utilizzato da Gesù durante l'Ultima Cena, nel quale successivamente
Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue di Gesù crocefisso. Questa caratteristica
conferisce al calice delle straordinarie virtù, come quella di guarire
ogni male ed, addirittura, di donare l'immortalità a colui che ne beve
e, soprattutto, che ne sia degno. Secondo una delle leggende più diffuse,
il Primo Detentore del Santo
Graal fu Giuseppe di Arimatea. Quest'uomo
(Parente di Gesù), era un ricco ebreo, membro del Sinedrio, del quale
non aveva condiviso la condanna di Gesù (Luca, 23, 50 e seg.); era egli
stesso un discepolo di Gesù, "ma di nascosto, per timore dei Giudei"
(Giovanni, 19, 38). Dopo la morte di Gesù,
vinta la paura, si recò da Pilato e ne chiese ed ottenne la salma. Dopo
che un altro uomo, Nicodemo, ebbe provveduto a cospargere il cadavere di aromi
quali l'aloe e la mirra, Giuseppe lo avvolse in un lenzuolo (la Sacra
Sìndone) e lo depose nel sepolcro. Questo è quanto riportato
dai Vangeli ufficiali. La leggenda aggiunge che egli raccolse anche alcune gocce
del suo sangue in un calice, che poi portò con sé in Bretagna
durante la sua predicazione del Vangelo. Secondo una versione inglese, Giuseppe
si spinse con i suoi uomini fino all'isola di Avalon, l'odierna Glastonbury,
e lì depose il calice. Esso passò poi nelle mani dei Templari,
che l'avrebbero custodito nel castello di Montsalvat, dove sarebbe stato accessibile
solo ai puri di cuore predestinati, che ne avrebbero tratto la salvezza celeste
o, secondo altre tradizioni, l'immortalità. L'ultima e più enigmatica
versione del mito è il "Parzival" del tedesco Wolfram
Von Eschenbach (1200-1210 ca.). Parsifal
irrompe nella Wolfram Von Eschenbach - Parsifal
viene presentato come un giovane rozzo, perfetto rappresentante di una cavalleria
dai modi brutali. Raggiunto il castello del Graal, fallisce nel tentativo di
liberare il suo Guardiano, il Re Pescatore, misteriosamente
ferito. Soltanto quando è allo stremo delle forze, umiliato, dopo aver
abbandonato il mondo materiale e messo da parte il suo orgoglio, può
chiedere pietà, liberare il Re Pescatore e trovare il suo Graal. In questo
romanzo il Graal viene definito "Lapis exillis", un'espressione che
a lungo si è cercato di interpretare. Le ipotesi più diffuse sono
due: la prima secondo cui si tratta dell'errata trascrizione di "Lapis
exiliis", cioè "Pietra dell'esilio", a sottolineare il
cammino spirituale cui deve giungere l'uomo per trasformarsi completamente e
diventare degno di possedere il Graal. Altri autori, invece, ipotizzano che
si tratta di una contrazione di "Lapis ex coelis", ovvero "Pietra
dal cielo", riferendosi alla leggenda narrata dallo stesso Eschenbach secondo
cui il Graal sarebbe stato intagliato da uno smeraldo caduto in terra dalla
testa di Lucifero durante la precipitazione agli Inferi dopo la rivolta verso
il Creatore. Tutto il filone legato a queste interpretazioni del Graal ha dato
origine ad un vero e proprio ciclo di romanzi chiamato "ciclo del Graal".
Questo ciclo si inserisce e compènetra, a sua volta, un filone ancora
più grande costituito da tutta la letteratura cavalleresca brètone,
avente per protagonista il Re Artù, diventato sovrano dopo essere riuscito
ad estrarre la famosa "Spada nella Roccia", ed i suoi Cavalieri
della Tavola Rotonda: Parsifal, Lancillotto, Galahad, Tristano, ecc.
Il ruolo dei Catari. La Rocca di Montsegur. Una
delle numerose tradizioni riferite al Graal, maggiormente diffusa tra la maggior
parte degli studiosi moderni, è quella secondo cui le origini delle leggende
sul Sacro Calice vanno ricercate nell'antica eresia gnostica dei Catari, una
minaccia ed una crisi senza precedenti per la Chiesa, che sfociò in una
guerra sanguinosa e brutale che ebbe il suo tragico epilogo a Montségur,
ultimo rifugio e baluardo di difesa degli esponenti di questa dottrina. I Catari,
o Perfetti, raccoglievano l'eredità degli
antichi Gnostici che vivevano ad Alessandria
d'Egitto all'inizio della nostra era, i cui principi e fondamenti religiosi
ci sono pervenuti grazie al ritrovamento, nel 1945, di un mucchio di pergamene
nascoste, agli albori del Cristianesimo a Nag Hammadi,
nei pressi del Mar Morto. Gli Gnostici ritenevano
che il Dio biblico, creatore del Cielo e della Terra, fosse in realtà
un dio minore, un falso dio, creatore soltanto della materia con la quale aveva
oscurato il mondo reale, quello veramente divino. Creando l'uomo, egli l'ha
imprigionato nella materia, e l'ha costretto ad una vita di sofferenza che termina
con la morte. L'uomo, creato a sua immagine e somiglianza, è talmente
indaffarato a creare cose sempre nuove che non vede la scintilla divina che
è in lui. Egli è però in grado di ritrovare la luce del
divino se non in questa vita, in un'altra: gli Gnostici
credevano nella reincarnazione. Per questo motivo, essi non riconoscevano alcuna
autorità ecclesiastica, convinti della possibilità e della capacità
dell'uomo di seguire esclusivamente la gnosi del proprio cuore, in un percorso
così interiore e personale da non poter essere assolutamente delegato.
Con il consiglio di Nicea, indetto dall'imperatore
Costantino nel 324 dopo Cristo, la dottrina gnostica
viene condannata come eretica e cominciarono le persecuzioni. Nel giro di un
secolo, i seguaci di questa dottrina vennero letteralmente spazzati via. Alcuni
si rifugiarono sulle montagne dell'Armenia, che
li proteggerà per più di 500 anni;
altri migrarono verso l'Europa: in Bulgaria, in
Bosnia, ma soprattutto nel sud della Francia, in
Linguadoca, dove trovarono nuovo terreno fertile.
Siamo agli inizi del XI secolo: mentre il resto dell'Europa è ancora
avvolto nelle tenebre del Medioevo, la Linguadoca è una regione fiorente
e libera; vi si praticano le arti e si coltiva la letteratura. In questo clima
libero e permissivo, si costituisce la comunità dei Catari,
che predicano il loro messaggio di amore spirituale. Rifiutano il benessere
e il matrimonio e conducono una vita austera, che solo in pochi riescono a seguire,
ma in un'epoca in cui all'uomo è assegnato uno scarsissimo valore essi
predicano una via individuale per giungere a Dio. In queste regioni cominciano
anche a diffondersi la poesia e la canzone; nascono i trovatori, che diffondono
di corte in corte le loro storie di armi e di amori (le cosiddette chansons
de geste), e cominciano a diffondersi quelle tradizioni e quelle leggende che
permeeranno tutta la letteratura del Graal. La Chiesa, preoccupata dell'eccessivo
rifiorire dell'eresie che già avevano lungamente ed a fatica represso,
non tardò a reagire. In quel periodo vennero istituiti alcuni ordini
religiosi fondamentali per ripristinare la vera dottrina: nacquero i Francescani,
istituiti nel 1209 per riconquistare il cuore dei
poveri, ma fu soprattutto con l'ordine dei Domenicani, fondato da Domenico di
Guzman nel 1215, che la Chiesa ideò il più terribile strumento
di persecuzione delle eresie: la Santa Inquisizione. Contro i Catari
venne scatenata una vera e propria crociata, che culminò, nel 1244, nella
capitolazione, dopo un lungo assedio che era durato quasi un anno, della fortezza
di Montségur, l'ultima roccaforte catara. Qui, secondo molti autori,
s'innesta la leggenda del Graal: si tramanda che pochi giorni prima della capitolazione
finale, alcuni esponenti della comunità catara riuscissero a fuggire
dal castello ed a portare in salvo il loro tesoro più grande, che custodivano
con grande ardore: il Santo Graal. I Catari avrebbero
ricevuto il calice da Maria
Maddalena che, sempre secondo la tradizione, l'avrebbe portato con sé
da Gerusalemme. La Maddalena approdò, al termine del suo viaggio, proprio
nel Sud della Francia, in un paesino della Provenza di nome Ratis, diventato
poi noto come Les-Saintes-Maries-de-la-Mer. La
storia dei Catari e dei loro presunti rapporti con il Graal rimase dimenticata
e nascosta per molti secoli, fino a che, agli inizi del XIX secolo, non tornò
alla ribalta, soprattutto grazie all'opera di numerose società occulte
e gruppi esoterici legati alla dottrina catara, che avevano maturato un grande
interesse per il Graal, simbolo di una ricerca segreta ed incarnazione della
propria missione. In questo ambiente si distinse un giovane studioso tedesco,
Otto Rahn, rampollo di una nazione divisa tra sogni
di gloria e di potenza e il rancore di una guerra perduta. Raccogliendole testimonianze
di esponenti di quelle stesse società segrete, Rahn scrisse un libro,
destinato a sollevare un gran polverone: "Kreuzzug
gegen der Graal" («Crociata contro il Graal», Saluzzo,
1979). Rahn, mentre si documentava per un saggio che doveva scrivere, lesse
il "Parzival" e ne rimase affascinato. Wolfram Von Eschenbach era
un cavaliere templare del XII secolo, e nel "Parzival"
i Templari erano dipinti come i "Custodi del Graal". Le ricerche attorno
a Montségur avevano portato Rahn a scoprire, in una grotta nella regione
di Sabarthez, dei graffiti Templari accanto a emblemi Catari, che secondo le
sue teorie confermava l'ipotesi, già da tempo avanzata, delle relazioni
che, almeno per un certo periodo di tempo, esistettero tra i due gruppi. Nel
suo libro Rahn sostenne che la tradizione secondo cui il Graal sarebbe stato
custodito dai Templari nel Castello
di Munsalvaesche, o Montsalvat, (nome che significa "Monte Salvato")
indicasse in realtà che esso si trovava Otto Rahn
(1904/1938) proprio in mano ai Catari, che lo nascondevano
nei sotterranei del loro castello di Montségur (che significa, letteralmente,
"Monte Sicuro"). Le sue teorie affascinarono gli alti esponenti del
partito Nazista, molto interessati alle questioni esoteriche e, soprattutto,
alle due più grandi reliquie della Cristianità: il Graal e la
Lancia di Longino. Heinrich Himmler lo arruolò nelle SS. C'è chi
dice che Rahn abbia veramente ritrovato il Graal, e che l'abbia portato in Germania
dove fu custodito e venerato nel castello di Wewelsburg, centro esoterico e
sede del dell'Ordine Nero dei Cavalieri di Himmler. In realtà nel castello
l'oggetto venerato era probabilmente un simbolico calice di cristallo. Nel 13
Marzo del 1939 il corpo di Rahn venne ritrovato in fondo ad una scarpata tra
le montagne dell'Austria, a Kitzbühel. L'episodio non fu mai ben chiarito:
le tesi ufficiali parlano di suicidio, ma si è ipotizzato che si trattasse
di un'esecuzione, dovuta al fatto che Rahn si era rivelato un personaggio scomodo.
Sua nonna, infatti, era di origine ebrea e non possedeva la necessaria "purezza
di razza" richiesta agli appartenenti dell'esclusiva elite delle SS. Il
Graal e le vicende di Rennes-le-Château. Una delle ultime ipotesi formulate
a proposito del Graal, recentemente rilanciata dal successo del romanzo "Il
Codice Da Vinci", bestseller mondiale di Dan Brown, considera il Graal
non come oggetto materiale, ma come simbolo. Gli scrittori M. Baigent, H. Lincoln
e R. Leigh, nel libro "Il Santo Graal" ("The Holy Blood And The
Holy Grail", Londra, 1982) ipotizzano che la dicitura francese che da sempre
ha identificato questo oggetto, "San Greal", tradotta in Santo Graal,
andrebbe in realtà letta come "Sang Real", cioè "Sangue
Reale". Attraverso una serie di ragionamenti e di interpolazioni di fatti
storici e di interpretazioni di passi dei Vangeli (sia, canonici, sia apocrifi)
essi ipotizzano che Maria Maddalena fosse stata la moglie
di Gesù, e da questi abbia avuto una discendenza. In quest'ottica,
la tradizione secondo cui la Maddalena, dopo la morte di Gesù, sia emigrata
in Francia portando con sé il Graal, andrebbe interpretata dicendo che
ella fuggì in Europa portando con sé, in grembo, il figlio avuto
da Gesù. La teoria, contrastata dalla Chiesa che naturalmente la ritiene
eretica, ha ricevuto molti consensi in ambito esoterico, ed è salita
alla ribalta con l'esplosione del caso legato alle vicende di Rennes-le-Château.
Su questo argomento ormai esiste una La chiesetta di Rennes-le-Château
vasta letteratura che ne analizza e ne sviscera ogni più piccola sfaccettatura.
In questa sede ci limitiamo soltanto ad un breve accenno. Tra le numerose teorie
sviluppate attorno agli avvenimento accaduti nel piccolo paese francese sul
finire del XIX secolo, spicca quella secondo cui un misterioso ordine segreto,
legato ai Templari, sia sopravvissuto attraverso i secoli sotto vari nomi e
aspetti diversi con lo scopo di proteggere e tramandare i discendenti
di Gesù e Maria Maddalena, dai quali fu originata la stirpe dei
Merovingi ed alla quale erano imparentate molte delle famiglie nobili d'Europa.
Il nome di questo gruppo esoterico era Priorato di Sion;
fondato da Goffredo di Buglione nel 1099, avrebbe vantato tra i suoi Gran Maestri
figure di spicco come Nicolas Flamel, Sandro Botticelli, Leonardo Da Vinci,
Robert Fludd, Isaac Newton e, per finire, ai giorni nostri, Victor Hugo, Claude
Debussy e Jean Cocteau. Alcune recenti inchieste sulla vicenda hanno portato
a scoprire che il Priorato di Sion, almeno quello
(ri)fondato nel 1956 da Pierre Plantard ed i suoi soci, non sarebbe altro che
una mistificazione, come falsi sarebbero anche i testi delle due pergamene ritrovate
dall'abate Berenger Sauniere all'interno di un pilastro mentre si accingeva
al restauro della piccola chiesa della Maddalena a Rennes.
I due testi, che lasciavano intendere l'esistenza di un favoloso tesoro appartenente
ai Merovingi ed al Priorato stesso, sarebbero opera di
Philippe De Cherisey, amico di Plantard,
come egli stesso avrebbe rivelato in un manoscritto reso pubblico soltanto venti
anni dopo la sua morte, nel 2005. Ma al di là delle mistificazioni e
dell'intorbidamento della vicenda avvenuto nel secolo scorso, non può
essere escluso che nei secoli sia esistito davvero un gruppo esoterico clandestino
convinto della reale discendenza del Cristo (il vero Graal) ed in base a queste
convinzioni (vere o false che siano) abbia agito ed operato nella clandestinità,
lasciando indizi ai pochi iniziati in grado di comprenderli, nelle loro opere
(libri, dipinti, composizioni musicali, ecc.).
http://digilander.libero.it/vicit.leo/index.htm
Il movimento internazionale del Gral movimenti profetici. Associazione per la Realizzazione del Sapere del Gral Movimento Internazionale del Gral
Il Movimento Internazionale del Gral (con una sola a, in luogo della consueta
dizione Graal) è nato intorno a Oskar Ernst Bernhardt
(1875-1941), che firma le sue opere esoteriche con il nome di Abd-ru-shin
(da una terminologia di derivazione arabo-persiana: Figlio della Luce). Nato
a Bischofswerda, in Sassonia, in una famiglia di artigiani, Bernhardt consegue
un diploma commerciale e inizia in questo ramo la sua attività. A partire
dal 1900, convinto che il viaggiare completi la sua formazione, comincia a visitare
lOriente, gli Stati Uniti, lInghilterra, e a scrivere racconti,
novelle e brani teatrali. Sorpreso dalla Prima guerra mondiale in territorio
alleato, in Inghilterra, è internato nellIsola di Man. In questo
periodo di prigionia comincia ad approfondire i quesiti spirituali ed esoterici.
Liberato nel 1919, riprende le sue attività commerciali e letterarie
a Dresda, parallelamente alla sua vocazione più profonda che è
ormai di tipo spirituale. Firma i suoi scritti con il nome di Abd-ru-shin, che
avrebbe avuto in unesistenza precedente in seno al popolo degli ismani.
Nel 1923 comincia a diffondere le prime parti del Messaggio del Gral, la cui
pubblicazione prosegue fino al 1937. Il Messaggio è accolto con particolare
interesse in Germania, Francia, Cecoslovacchia e in Austria, dove si stabilisce
definitivamente fissando la sua residenza al Vomperberg (nel Tirolo austriaco),
dopo avere divorziato e avere sposato in seconde nozze Maria Freyer (1887-1957),
nata Taubert, ma in seguito adottata dalla ricca famiglia Kauffer, e anchessa
al suo secondo matrimonio. Al Vomperberg completa la stesura del Messaggio del
Gral e crea con le persone che gli si sono affiancate un centro di diffusione
e approfondimento spirituale. Nel 1938, con lAnschluss, il Messaggio del
Gral è proscritto dalle autorità naziste, il centro del Vomperberg
è chiuso e Abd-ru-shin è arrestato nel mese di marzo. Liberato
in settembre, è assegnato al confino prima a Schlauroth (presso Görlitz,
in Sassonia) e quindi a Kipsdorf, dove vive sempre sotto stretta sorveglianza.
In questo periodo edita una stesura definitiva dei tre volumi del Messaggio
del Gral, cui lavora fino alla morte, che lo sorprende al confino nel 1941.
È sepolto nella città natale, Bischofswerda.
Nel 1949, dopo la liberazione dellAustria e la restituzione dei suoi beni
alla vedova, le sue spoglie sono trasferite al Vomperberg, dove riposa in una
tomba a forma di piramide. La moglie Maria prosegue e mantiene viva lopera
del marito, aiutata dai sostenitori del Messaggio che traducono gli scritti
in più lingue e ne diffondono il contenuto in molti paesi. I tre figli
che Maria aveva avuto dal primo matrimonio Irmgard (1908-1990), Alexander (1911-1968)
ed Elizabeth (1912-2002) ottengono il cambiamento legale del loro cognome da
Freyer a Bernhardt. Maria muore nel 1957; gli succedono prima Alexander e poi
Irmgard (che firma Irmingard). La successione dei figli a Maria non è
però riconosciuta dalla consistente branca brasiliana del movimento,
che sotto la guida di Roselis von Sass (1906-1997) dà vita allo scisma
dellOrdem do Graal na Terra, mentre altri scismi si manifestano nellattuale
Repubblica Ceca. Irmgard (o Irmingard) Bernhardt muore nel 1990. Il suo testamento
è alle origini di tutte le ulteriori controversie allinterno del
movimento. Irmgard lascia le proprietà immobiliari intestate al Movimento,
compreso il Vomperberg, che per i discepoli di Abd-ru-shin è per antonomasia
la Montagna, a Claudia-Maria (1948-1999), figlia naturale della figlia adottiva
di Irmgard, Marga. Claudia-Maria e il marito Siegfried (nato nel 1955 e tuttora
vivente) ottengono anchessi la modifica legale del loro cognome in Bernhardt,
così come Irmgard aveva desiderato. La stessa Irmgard lascia invece i
diritti dautore sulle opere di Abd-ru-shin, compreso il Messaggio del
Gral per i discepoli, il Libro a una Fondazione Internazionale del Gral presieduta
da Herbert Vollmann (1903-1999), il marito della sorella di Irmgard, Elizabeth.
Irmgard divide così la Montagna da il Libro, e il Movimento dalla Fondazione,
augurandosi unarmoniosa collaborazione. Le cose vanno diversamente, e
alla morte di Vollmann nel 1999 la rottura si consuma: la Fondazione che, a
complicare le cose, detiene il marchio International Grail Movement, nella maggioranza
dei paesi di lingua inglese si separa dal Movimento, che Siegfried Bernhardt
continua a guidare dal Vomperberg. La maggioranza dei membri tedeschi seguono
la Fondazione, mentre in altri paesi Italia compresa il Movimento del Vomperberg
continua a essere il principale punto di riferimento. La Montagna e il Libro
sono oggi nelle mani di organizzazioni diverse, che nel loro insieme riuniscono
circa ventimila membri, anche se il numero dei lettori del Messaggio nel mondo
è certamente molto più ampio. Il Messaggio
del Gral consta di 168 conferenze nelle quali è spiegata la struttura
della creazione e le leggi che la reggono. Con le parole Sia fatta la Luce,
atto damore di Dio verso ciò che non poteva divenire cosciente
entro la linea della sua diretta emanazione nella sfera divina, è emessa
una parte di Luce dalla Luce originaria allesterno di questa regione.
Questo atto segna linizio del divenire della creazione, nellambito
della quale lo spirito umano ha la sua origine e la sua collocazione. Il confine
della sfera divina è segnato dal Castello del Gral,
dove dalleternità è custodita la sacra coppa in cui come
polo estremo si raccoglie lirradiazione diretta di Dio, che si rinnova
nel riflusso allorigine. Con il mutamento radiante, che ha determinato
linizio della creazione, i raggi sono stati emessi oltre tale confine
e, discendendo, per via della diminuzione della pressione della Luce originaria,
hanno subito un progressivo raffreddamento, dando luogo a diverse sedimentazioni
(secondo uno schema analogo a quello teosofico). Si sono così formati
via via i diversi piani sui quali hanno avuto sviluppo altre coscienze o i germi
di esse. Primo fra tutti il piano spirituale originario, poi quello spirituale
e così via fino alla materialità.
Al mutamento radiante dal piano divino partecipa anche la Regina originaria,
che Parsifal Re dei re allapice della Creazione spirituale primordiale
chiama anche Madre originaria. A intervalli regolari la Forza sgorga dal Gral
per il mantenimento e la continuità della creazione. La parte più
densa e pesante della creazione materiale comprende la Terra, mentre luomo
ha in sé una scintilla che gli ricorda la sua origine spirituale. Còmpito
delluomo attraverso esistenze successive è di evolvere il suo nucleo
spirituale attraverso i piani della materia fino a raggiungere la sua più
alta auto-coscienza spirituale e quindi compiutezza; questa ascensione gli permetterà
infine di ritornare alla sua patria celeste, sempre che ignaro delle leggi di
Dio non smarrisca la strada. Alle svolte fatali, quando gli uomini hanno dimenticato
la verità sulla loro origine, questa è loro ricordata attraverso
degli inviati. Gli inviati principali per lumanità sono il Figlio
di Dio, Gesù, che ritorna interamente al Padre, e il Figlio dellUomo
lEmanuele , che è legato alla creazione. Lidentificazione
delle due figure in una sola persona, Gesù il Cristo, è considerata
la fonte di molti errori teologici. Emanuele, il Figlio dellUomo, ha un
legame speciale con Parsifal, e lo stesso Abd-ru-shin ha un ruolo messianico
collegato a queste vicende.
Al Vomperberg e in altri luoghi del mondo si celebrano tuttora tre grandi feste
spirituali: la Festa della Santa Colomba (Pentecoste), il 30 maggio, la Festa
del Giglio Puro, il 7 settembre, e la Festa della Stella Radiosa, nel periodo
natalizio, il 29 dicembre. In tutto il mondo i Circoli del Gral offrono ai sostenitori
e a chi lo desìderi delle ore di raccoglimento domenicali. In Italia
unAssociazione per la realizzazione del sapere del Gral è stata
costituita nel 1994, e fa parte del network internazionale che fa capo al Movimento
e al Vomperberg.
B.: Del messaggio esiste unedizione italiana: Abd-ru-shin, Nella luce
della Verità. Messaggio del Gral, 3 voll., Stiftung Gralsbotschaft, Stoccarda
1968. In traduzione. pure Abd-ru-shin, I dieci comandamenti di Dio e il Padre
Nostro, Stiftung Gralsbotschaft, Stoccarda 1958; Erich Wendland, La lotta carica
di tensione contro la Voce della Verità, Erich Wendland, Vomperberg (Tirolo)
1993; e Richard Steinpach, Perché viviamo dopo la morte e qual è
il senso della vita, Stiftung Gralsbotschaft, Stoccarda 1982.
La Morte di Federico II e
la Maledizione degli Hohenstaufen
Il pensiero della morte non pare di quelli che frequentassero la mente di Federico di Svevia. Eppure quest'uomo, che per tutta la vita si comportò come se non dovesse morire mai, si era preparata la tomba da qualche tempo: un sarcofago di porfido rosso fatto venire a Palermo da Cefalù dove l'aveva trovato vuoto, con le tombe che il nonno Ruggero II aveva dato a sé e ai suoi, quando vi aveva eretto quel duomo, in scioglimento d'un voto. Una specie di timpano triangolare sormonta la base a semicerchio poggiata su quattro leoni. Strani simboli pagani decorano quell'arca imponente. La salma vi fu deposta dopo una sosta a Messina. Al saio dei cistercensi che primo la ricopri, furono sostituiti gli ornamenti imperiali. Sul camice di lino dal collare e i polsini adorni d'iscrizioni in caratteri cufici, una funicella di seta scarlatta ricoperta dal manto ricamato di perle e chiuso da un gioiello prezioso. Anche le scarpe, di seta rossa; alla mano destra l'anello d'oro con un grosso smeraldo; a lato, il cinturone in oro e argento che sostiene la spada decorata. Sul capo una corona sobria, simile a cuffia, di bronzo e d'oro; deposto vicino alla testa il globo imperiale d'oro, adorno d'un cerchio di piccoli smeraldi e di una perla enorme. La tomba fu aperta nel 1781. Il volto era ben conservato "come quello d'un santo" osservò uno dei presenti. Si prese nota del contenuto, si fecero rilievi e disegni. Ancora nel 1962 fu compiuta un'altra ricognizione. La leggenda che diceva Federico sprofondato col cavallo nell'Etna era dimenticata. La morte tolse a Federico di Svevia la possibilità di vincere. Ma il trionfo dei suoi nemici non durò a lungo. "L'idea dell'indipendenza dello Stato dalla Chiesa - scrive Benedetto Croce - fu ripresa da altri sovrani di Europa e dagli stessi comuni, non più nella forma dell'invecchiato Impero, né dell'assolutismo cesareo-bizantino-islamitico, ma dei nuovi stati nazionali, i quali, volessero o non volessero i pontefici, si ricordarono sempre di Federico svevo, e, con Dante, lo dannarono e lo ammirarono, e, per conto loro lo imitarono." Quello da lui portato al fastigio fu il primo stato opera d'arte, com'ebbe a dire il Burckhardt. Di Federico - ricorda ancora il Croce - "sono state sempre e giustamente celebrate la legislazione ricondotta ad altezza romana e a sistema, l'amministrazione e la giurisdizione commesse a ufficiali regi,... il favore alla cultura e all'intelligenza, la costante tendenza razionalistica opposta al superstizioso e barbarico e passionale procedere che ancora perdurava in altre parti d'Europa". L'Italia perse con lui, per secoli, la speranza dell'unità. Il nascere attorno a lui di leggende che soltanto in seguito furono riferite al nonno Barbarossa mostra quale alta luce promanasse al mondo dal fascino della sua idea imperiale. "Distruggere sino agli ultimi discendenti questa razza di vipere che mai più cingeranno corone imperiali e reali" era stato il giuramento di papa Innocenzo IV, nel condannare, con Federico, i suoi figli e nipoti. E la tremenda condanna doveva compiersi nel giro di pochi anni dalla morte dell'imperatore. Abbandonata la lotta in Germania, Corrado IV scendeva in Italia a riconquistarvi la Puglia e Napoli. La morte lo colse a Lavello il 10 ottobre 1253; lasciava un figlio di due anni, Corradino. Enrico, il giovane figlio che Federico aveva avuto da Isabella, la sposa inglese, era morto anche lui, un anno dopo suo padre. A tener alta la bandiera degli imperiali rimaneva il solo Manfredi. Sedici anni riuscì a contrastare le forze del Papa, padrone del regno e di parte dell'Italia settentrionale finché anche lui dovette soccombere. Andò incontro alla morte il 26 febbraio 1266 sul campo di battaglia di Benevento, nell'estrema lotta contro Carlo d'Angiò, tanto diverso dal suo santo fratello, il re Luigi IX di Francia. L'aveva chiamato, dandogli in feudo il regno di Sicilia, il francese Gui Faucoi, Clemente IV, eletto alla cattedra di Pietro nel febbraio 1265. Era il terzo pontefice romano dopo che Innocenzo era morto, nel 1254, ma la maledizione contro gli Hohenstaufen non si spegneva. Né miglior sorte toccava più tardi al figlio di Corrado. A quindici anni era sceso dalla Germania a reclamare l'eredità del grande nonno, di cui la leggenda diceva che non era morto, ma dormiva il lungo sonno, in attesa di risorgere a restaurare la gloria dell'Impero. Caduto prigioniero a Tagliacozzo il 21 agosto 1268, Corradino era fatto decapitare da Carlo d'Angiò sulla piazza del mercato di Napoli, il 29 ottobre dello stesso anno. Aveva sedici anni. Testimone lontano di quei tragici eventi era l'unico figlio superstite di Federico, Enzo, nella sua dorata prigionia di Bologna. Le sue poesie s'erano fatte d'anno in anno più tristi: Và, canzonetta mia... Salutami Toscana quella ched è sovrana in cüi regna tutta cortesia: e vanne in Puglia piana, la magna Capitana, là dov'è lo mio core nott'e dia. Alla sua morte, nel 1272, i bolognesi lo onorarono come un re. Il sogno di Federico era ormai un ricordo lontano. Con lui era scesa nella tomba quella forza che sola avrebbe potuto unire l'Italia e, insieme, era morto, come sistema effettivo di governo, il Sacro Romano Impero.
www.tanogabo.it/letture/Federico_II_morte.
I Cavalieri Templari - Il Jolly Roger e il simbolismo del "Teschio ed Ossa"
Il Jolly Roger - Molti oggi conoscono l'emblema del Jolly
Roger, reso celebre dai tantissimi romanzi e film sui pirati: è la classica
bandiera nera sulla quale spiccano un teschio che sovrasta due tibie incrociate.
Pochi, però, sanno che questo emblema ebbe con molta probabilità
un'origine templare. Come molti altri termini legati alla tradizione templare
(v. beauceant o Baphomet), anche nel caso del Jolly Roger l'etimologia del termine
appare controversa. Secondo la teoria più diffusa esso deriverebbe dalla
locuzione francese "Joli Rouge", nome dato dai Pirati francesi alla
loro bandiera, originariamente di colore rosso (rouge, in francese). Il termine
joli si riferiva invece al fatto che essa veniva sventolata dall'albero di bompresso,
che in francese veniva chiamato "Joli Mât". I marinai ed i pirati
inglesi che successivamente adottarono lo stesso simbolo masticavano molto poco
di francese, e così lo steso termine anglofonizzato divenne "Jolly
Roger". La tradizione vuole che questo vessillo venisse utilizzato anche
a bordo delle navi dei "Poveri Soldati di Cristo e del Tempio di Salomone",
come i Templari erano conosciuti originariamente. I Templari combattevano le
loro battaglie anche in mare, abbordando ed affondando le navi nemiche: di qui
l'analogia coi Pirati e l'adozione della bandiera col
teschio e le ossa. Secondo un'altra teoria, invece, il termine Roger
faceva riferimento ad un nome vero e proprio, che in italiano corrisponde a
Ruggero. Nel suo libro "Pirates & The Lost Templar Fleet", David
Hatcher Childress afferma che il termine fu coniato a partire dal nome del primo
uomo ad aver mostrato la bandiera, re Ruggero II di Sicilia (1095-1154). Ruggero
era un famoso Templare che ebbe una disputa col Papa in seguito alla conquista
della Puglia e di Salerno nel 1127. Childress dichiara che, molti anni dopo
lo scioglimento dell'ordine Templare, una flotta di seguaci dell'Ordine si separò
in quattro unità indipendenti e si diete alla pirateria, bersagliando
le navi amiche di Roma. La bandiera quindi era una eredità, e le sue
ossa incrociate rappresentavano un chiaro riferimento al logo templare della
croce rossa con le estremità ingrossate. C'è ancora un'altra leggenda
relativa alla bandiera, sempre legata ai Cavalieri Templari. La notte del 13
Ottobre 1307, prima dell'arresto di massa, in gran segreto, 18 galee templari
navigarono lungo la Senna e presero il mare, dirette a La Rochelle, dov'era
pronta una flotta templare. I Templari, segretamente avvertiti del tranello
teso nei loro confronti dal Re, avevano portato in salvo il loro Tesoro e le
reliquie più preziose. Le loro vele erano state annerite con del catrame
per non essere visti nella notte. Durante il viaggio in mare, i Templari superstiti
si riunirono in consiglio per decidere sotto quale segno avrebbero navigato,
non potendo più utilizzare la classica croce rossa in quanto ormai bandita.
Al termine, fu decisa l'adozione dell'antico simbolo di pericolo, il teschio
con le tibie incrociate, con il fondo mutato in nero in riferimento al colore
delle vele: da quel momento nacque la classica bandiera pirata.
Misteri della Provenza: le Tre Marie e Sara la Kalì
La chiesa. Punto centrale della piccola città di Saintes Maries de la Mer, ha più laspetto di una fortezza che di una chiesa propriamente detta. Le origini sono antichissime. In origine c'era una antica oppidum priscum, Ra Priscum = antico Ra = Dio egiziano? No, dobbiamo qui vedere il suffisso di Sancta Maria de Ratis cioè radeau in francese cioè isolotto o barca a punta. Stabilito così che la chiesa risale al VI secolo Dopo Cristo. dobbiamo accennare che si parla anche in questo luogo di antichi maestri forse in numero di tre che in epoca celto ligure erano venerati dagli abitanti. Il passaggio da Maitre a Maries è breve. E qui arriviamo alle tre Marie. Chi erano? In Italia noi non abbiamo un culto specifico della Maddalena ma questo è diciamo così, di casa in terra di Francia. Si racconta allora che nellanno 48 Dopo Cristo Maria Maddalena con Maria Giacoba, la sorella della madre di Gesù, e Maria Salomè, la madre dei due apostoli Giacomo e Giovanni, accompagnate dalla serva Sara, Làzzaro il resuscitato, Marta e Maximino, fuggiti dalla Palestina, sbarcarono qui dopo un avventuroso viaggio in una barca senza vele e senza remi. Esse avevano portato con se le teste di Giacomo il maggiore e di tre altri innocenti martiri. Reminiscenza dei riti celtici delle teste tagliate? Comunque sia Maria Maddalena se ne andò e rimasero così nel luogo le due altre Marie. Fu fondato prima un oratorio e poi la chiesa odierna. In questa furono effettuati degli scavi nel 1448 per ordine del re René dAnjoù. La chiesa allora era divisa in tre parti. Una navata, una cappella allungata e un coro cui si accedeva solo dalla cappella. Gli scavi furono effettuati nel sottosuolo, si trovò un pozzo e una sorgente di acqua dolce (Sempre si trova dellacqua in questi antichi santuari) poi fu trovata una testa grossa di uomo racchiusa in un (reliquario?) di piombo, ed infine una piccola grotta con un tumulo, ancora resti di un muro e una piccola colonna di pietra bianca, i resti evidenti del primo oratorio: là cerano i resti di due corpi che emanavano un odore dolce. Si incominciò allora la venerazione. La grotta era quello che ora è la cripta. Il culto si è perpetuato fino a oggi, Il 25 Maggio e il 22 ottobre le casse e le effigi delle sante vengono riportate al mare e benedette (in una barca che diventa anche arca, che custodisce arcani segreti). La chiesa possiede un camino di ronda costruito nel XIV secolo la navata e il coro rientrato sono invece del XII e cosi la cappella superiore che sovrasta il coro ed è dedicata a San Michele. Nellàbside corre una serie di arcatelle che sono paragonabili al chiostro dellala nord di Arles. Torniamo allora alle Marìe; poiché la Maddalena se ne era andata e resterà fonte di una venerazione autonoma alla Sainte Baume, si dovette ricostruire la triade delle tre Marìe. Ecco allora entrare in ballo Santa Sara, la loro serva, di cui però con gli scavi non si era trovata traccia. La chiesa ha sempre riservato un atteggiamento ambiguo di fronte a questa santa non canonizzata che puzza lievemente di zolfo. Essa è sempre dimorata li, in Camargue, altri attribuiscono una origine egiziana alla sua persona (Ra ) Secondo una tradizione lei aspettò, calmando le acque, larrivo delle sante , furono scoperte anche le sue reliquie nel 1496 e per gli zigani diventò Sara la Kali reminiscenza della dea Kali venerata in India da cui gli zigani dovrebbero aver origine. E' curioso notare che le immagini delle sante rimaste in loco, sono amputate della testa. Curioso perché avevano avuto tanta cura nel riportare in Francia le teste dei martiri La statua di Sara che si trova nella cripta è composta di due parti, la testa, di plastica e non di legno è più piccola e il corpo è stato dipinto di nero (vergine nera) e da veramente una impressione strana, claustrofobica , entrare in quella cripta calda, opprimente con il fumo dei ceri accesi, e questa immagine, quasi luciferina. Torniamo ora a Maria Maddalena e a Làzzaro. Essi se ne erano andati a predicare dalle parti di Marsiglia. Si dice anzi che la barca delle tre Marìe, molto più probabilmente , fosse attraccata inizialmente nellansa della Santa Croce a le Couronne, vicino Marsiglia . Sappiamo che Maria Maddalena andò a predicare alla Sainte Baume. Ai suoi ultimi giorni discese nella pianura e fu comunicata da San Maximin poi morì. i corpi di Maddalena e di San Maximin furono scoperti nel 1272 da Carlo II dAnjoù principe di Salerno. Dopo aver aperto alcuni sarcòfagi tra cui quello di Maddalena, si volle andare più oltre. Fu scoperto un altro sarcofago da cui veniva un odore meraviglioso. Furono chiamati vescovi e alti prelati e si apri questa tomba, fu trovata una iscrizione in papiro che affermava che il corpo era stato sepolto qui in segreto nellanno 710 per preservarlo dai saraceni. Carlo I , padre di Carlo II o di Salerno, che ancora regnava, fece adornare la testa della santa con una corona, che restò in loco sino al 1793 quando fu requisita da Barras. Carlo I fu poi fatto prigioniero in Sicilia nel 1282 e morì poi a 61 anni. Il principe di Salerno il futuro Carlo II, fu fatto prigioniero a sua volta e passò quattro anni in prigione in Aragona. Al suo ritorno al potere nel 1295 su beneplacito di Bonifacio VIII, costruì la famosa basilica di San Maximin. Torniamo ora approfonditamente su Sara. Secondo alcune tradizioni zigane Sara la nera regnava già in Camargue quando la barca con le tre Marìe approdò. Il nome stesso di Sara la Kali significa appunto La Nera o la Zigana. Ma gli zigani vennero in Provenza solo nel 1419 ed allora come spiegare questa tradizione e raccordarla con quella delle tre Marìe? A meno che non si tratti di unaltra tradizione quella che collega unaltra Maria, Maria legiziana o Maria la nera che si festeggia lo stesso giorno di San Zòsimo. La leggenda che li lega narra di una anima che gli apparve , interamente nuda, di una peccatrice, che ebbe la sua redenzione pregando Maria. San Zòsimo chiese aiuto al cielo, che gli fece arrivare un leone che con i suoi artigli apri la tomba dando la pace all'anima inquieta. Ci si può domandare allora se queste credenze arcaiche non si siano mischiate in qualche modo con quelle degli zingari, e dobbiamo ancora ricordare lo strano rapporto di queste genti con loriente. In sanscrito infatti Sara significa movimento e queste popolazioni si identificano proprio per il loro eterno movimento. Sara la kali , la nera era comunque una delle Madonne Nere , queste enigmatiche Madonne il cui culto sorse nel Medioevo e che creano ancora imbarazzo alla chiesa ortodossa . In genere le loro effigi si sono ritrovate per eventi miracolosi . Si spiegava la loro origine razionalmente con il fumo dei ceri o lossidazione ecc, cioè cause naturali ma invece molte erano intagliate volontariamente in legni neri e colorate deliberatamente. Cè da pensare allora che il loro culto sorpassi quello della madre di Dio e sia il retaggio di una devozione più antica legata alla fertilità alla gran madre Terra a quelle forze vivificatrici che tanto sentivano i nostri avi e li collegavano alle cavità interne della terra , alle caverne e alle effigi della Dea Madre.
I Templari nei Pirenèi: LUZ SAINT SAVEUR. Il Castello SAINTE MARIE
Luz in spagnolo vuol dire luce e davvero questo piccolo paesino,
vicino a Gavarnie, è colmo di luce. La cosa più bella e caratteristica
di Luz, è senzaltro la sua chiesa fortificata, che va proprio vista.
Si sente unatmosfera magica, rilassante, ad entrare qui.. Eppure era anche
un luogo di difesa, con colatoie al di sopra della torre che da laccesso.
Le sculture dellesterno hanno forme così bizzarre, da dare davvero
limpressione che le accuse rivolte ai templari fossero fondate, ma devo
avvertire che solo la tradizione attribuisce a questi monaci la costruzione
della chiesa.
Io ho visitato Luz nel 1991 e sono andato alla ricerca della cosa forse più
caratteristica dellinterno di questa chiesa: purtroppo non sono riuscito
a vederla; mi dissero che il quadro era in restauro ed era chiuso nella sagrestia.
Si tratta della raffigurazione di un essere Trinitario,
un vecchio con una testa che ha tre visi Quattro Occhi
e tre nasi. E tiene tra le mani un triangolo nel cui centro appare la parola
Deus. Ma di disegni misteriosi da vedere ce ne sono e tanti! Vicino a Luz cè
inoltre il castello de Sainte Marie famoso per dei disegni che ne fece Victor
Hugo e per essere stato un riparo di briganti nel XV secolo. Vi parlo di questo
perché cè una leggenda che narra che il capo di questi briganti
fosse un cattivissimo Cagòt . Anche gli uomini di questo bandito erano
Cagot. Ad un certo momento questi rapì una bella fanciulla della valle
che si chiamava Maria (da cui poi è venuto il nome del castello) e la
rinchiuse nella torre più alta. Costei pregò tanto che ad un certo
momento una nuvola avvolse la torre e portò in cielo la ragazza. Il bandito
Cagòt accortosi della cosa si precipitò sugli spalti , ma fu accolto
da un preciso tiro di fionda che gli fu indirizzato dal fidanzato della ragazza
che si aggirava intorno al castello per liberarla: il Cagòt cadde morto
ed il suo fidanzato di li a poco, in mancanza della sua bella , si fece eremita.
Il Castello di Montsegur e i Cavalieri Rossi
Montsegur, Montsalvat quante cose ci sono da scrivere su
questo castello.
Qui è impossibile citarle tutte. Ci sono libri e libri sullargomento,
ognuno può scegliere i testi che preferisce, da quelli: di stretta osservanza
storica, che ci raccontano allora la storia dei catari, che ne fecero un centro
della loro religione, e resistettero per lungo tempio allassedio, di come
ad un certo punto a causa della conquista di un punto avanzato del monte da
parte di montanari baschi, la difesa, divenuta ormai impossibile, i catari chiesero
ed ottennero una lunga tregua che servì loro per festeggiare una loro
particolare ricorrenza e, alcuni dicono, per prepararsi a mettere al riparo
qualcosa di prezioso che poteva essere il Graal. E storicamente accertato
che mentre praticamente tutti i catari andarono volentieri al rogo (si vede
ancora oggi una radura che è chiamata il campo dei cremats) alcuni riuscirono
a fuggire calandosi con delle corde lungo la vertiginosa parete nord.. Questo
ha dato adito a molte dicerie, ad esempio che il Graal possa esser stato salvato
e portato nel Castello di Usson o a Montreal de Sos o in altri luoghi. Sempre
rigorosamente basati su rilevazioni reali ma col tempo divenuti datati in seguito
a nuove scoperte che hanno messo in forse le osservazioni iniziali. Mi riferisco
alle opere di Fernand Niel, che fu il primo a formulare lipotesi che Montsegur
fosse una specie di tempio solare e che le sue dimensioni fossero state progettate
ad arte proprio in questa funzione. Niel ha poi ritrovato (o creduto di trovare..)
conferme della sua ingegnosa intuizione in altri castelli catari, tra cui Queribus:
essendo uno storico di vaglia, ma volendo anche verificare esattamente i dati
da lui intuiti si è anche calato, come fecero i catari fuggitivi, con
laiuto delle corde, dalla parete nord. In sostanza egli, notando alcune
posizioni particolari del sole in concomitanza dei solstizi che fornivano dei
particolari allineamenti con dei punti particolari del castello e con lubicazione
delle finestre, ha dedotto che i catari adorassero in qualche modo il sole e
avessero bisogno di ritrovarlo anche in una giornata coperta di nubi, o magari
in una sala completamente oscura (Vedi Queribus). Negli ultimi anni, prima della
sua morte, alla luce di nuovi rilevamenti che hanno dimostrato come ben poca
cosa rimane dellepoca catara in tutti i castelli dei cosiddetti eretici,
è stato costretto a rimangiarsi un poco le sue teorie, pur ribadendo
lesattezza delle sue misurazioni; le sue intuizioni restano quindi un
campo affascinante di studio, peccato che espongono teorie incredibili pur fornendo
anche elementi storici che sarebbe bene verificare. Sapete o dovreste sapere
che Montsegur è stato identificato da Otto Rahn come il castello del
Graal, nel suo fascinoso e ammaliante libro Crociata contro il Graal che è
bellissimo; peccato che anche lui dice cose in parte inesatte. Rahn vede Monstsegur
come il castello del Graal, in quanto ritrova delle assonanze tra alcuni nomi
di personaggi storici e il nome stesso del castello, con quelli apparsi nel
Parsifal di Wolfram von Eschenbach (MontsegurMontsalvat De Pereille.Perilla
ecc) in cui come si ricorderà il graal era custodito dai cavalieri templari.
Peccato non si sia accorto che il romanzo in versi è stato scritto prima
(tra il 1195 e il 1216) degli avvenimenti della crociata anti catara. Di Otto
Rahn si perdono le tracce alla fine della guerra ma Christian Bernadac pensa
che la sua morte sia stata uno stratagemma e che possa essere riapparso nelle
vesti di Rudolf Rahn ambasciatore tedesco a Roma poi morto nel 1974 .. (vedi
Le mystère Otto Rahn, fascinoso ed introvabile volume di quasi 500 pagine
che riporta anche molti pezzi di Antonin Gadal, il padre del catarismo). Comunque
sia il libro di Rahn suscitò scalpore nella Germania nazista. Himmler
stesso organizzò una spedizione nella Francia occupata ed il castello
fu invaso dalle SS che fecero pare alcuni scavi ed ecco che compare un volume..
Che accanto a cose verissime ne descrive altre di difficile attendibilità:
in Emerald cup, ark of Gold uscito nel 1991 il colonnello americano Howard Buechner,
basandosi su fonti tedesche, afferma che le SS in breve tempo trovarono il Graal!
Il capo della spedizione doveva essere Otto Skorzeny, colui che aveva liberato
Mussolini dalla prigionia del gran sasso. Faccio qui notare che Buechner non
fornisce alcuna prova che Skorzeny fosse stato al comando del gruppo nazista.
Egli lo deduce solo da alcuni elementi. Comunque sia il ritrovamento del Graal
è descritto in questi termini: Skorzeny, da uomo pratico, pensò
subito che il tesoro dovesse essere nascosto nel posto più impensabile
di tutti: poiché la fortezza era assediata da tre lati,i catari avevano
solo la via di fuga della parete nord. (Vi dico a questo punto che non è
vero: Montsegur sembra inaccessibile, ma Fernand Niel ha percorso la montagna
in tutti i sensi e ha accertato che i catari potevano in ogni momento fuggire
per vari sentieri, il monte è semplicemente troppo grande per poter essere
assediato completamente senza alcuna via di fuga) Detto fatto, Skorzeny e i
suoi uomini trovarono un sentiero che portava nelle montagne più alte.
Ad una sconosciuta distanza da Montsegur, unentrata fortificata ad una
gran grotta: forse era quella di Bouan, famosa turisticamente parlando. Vicino
a questa era il monte chiamato la Peyre e vicino alla vetta unaltra grotta
ed è qui che fu trovato il tesoro il 15 marzo 1944! Skorzeny il giorno
dopo lanciò questo criptico messaggio a Himmler Eureka firmato Scar.
Mi fermo qui: Se volete sapere le ulteriori vicissitudini di questo Graal e
di dove potrebbe essere oggi, vi invito a leggere una critica al volume di cui
ho appena parlato in Sacred tresure,.secret power (Lenigma delloro
scomparso) di Guy Patton e Robin Mackness; costoro fanno entrare nella mitologia
del Graal e di Rennes le Chateau anche la sistematica distruzione compiuta dai
tedeschi del villaggio di Oradour, quattro giorni dopo lo sbarco in Normandia!
Ma le fosche trame naziste non sono finite perché ?
A MONTSEGUR, ATTENTI AI CAVALIERI ROSSI!
Questa notizia può far sorridere, ma ha dellincredibile:
nel 1978 le agenzie giornalistiche battevano questo dispaccio: Le pietre del
castello di Montsegur spariscono In effetti pare che ogni anno, esattamente
il 22 maggio, anniversario della morte di Wagner, intorno a Montsegur si svolgono
strani pellegrinaggi di uomini che vestono per lo più una tuta rossa
e che arrivano con grosse auto con targa tedesca. Questi personaggi, denominati
cavalieri rossi, vanno al castello e ne prelevano alcune pietre che poi portano
via con le loro auto . Pare che la destinazione delle pietre asportate sia la
Foresta nera dove questi strani figuri avrebbero intenzione di ricostruire il
castello per i loro strani riti: Dunque se visitate Montsegur, guardatevi attorno!
(La notizia , oltre che nella stampa locale si può trovare anche nellintroduzione
alledizione italiana di La corte di Lucifero, il secondo libro di Otto
Rahn, che è molto meno bello del primo, ma comunque meritevole di lettura)..
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