FAMIGLIE IMPARENTATE CON QUATTROCCHIO - QUATTROCCHI
ALTOVITI -
BOCCABELLA -
BOCCAPADULI - BONADIES - BONAUGURI
- BUFALINI - GUGLIELMI - MACTABUFFI
- ANTIOCHIA - MANGONI - CORRADI
- ORSINI -
ROSATI - AMICI - PATERNO'
- LI DESTRI - ROSA - MARTINI
- SANTACROCE
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ROMA
ARMA: di nero al lupo rampante d'argento. A titolo informativo: sul tomo 3 del Ceccarelli viene citato Domenico Quattrocchio ( de Quattordio - de Monferrato) come marito di una Altoviti. Fanutio Campana nel 4° libro "Famiglia Altovitis"- cap. 20 cita:Gli Altoviti di Fiorenza ebbero il loro principio al tempo di Alboino Re dei Longobardi da Thibalduolo Longobardo che militò per Alboino ed alla morte di questi pose il suo dominio in podio imperiali. Discendono da Thibalduolo anche i Corbizzi e gli Squarcialupi.
Il Palazzo Massimo di Rignano Colonna, (Rione Parione) la cui struttura originaria risale ad un edificio del Quattrocento fu costruito per i Boccabella, antica famiglia romana, nota fin dall'XI secolo e che ebbe alti dignitari nella Chiesa e al Campidoglio. Alla loro estinzione, avvenuta alla fine del Seicento, l'edificio fu ereditato dagli Eustachi, famiglia di origine pugliese presente a Roma sin dal Cinquecento, i quali la vendettero ai Massimo di Rignano, ramo cadetto dell'antica famiglia nobile di Parione, i quali fecero ristrutturare completamente l'edificio da Carlo Fontana. L'ultima rappresentante di questa famiglia, donna Maria, sposò nel 1899 il principe Prospero Colonna, sindaco di Roma da quello stesso anno fino al 1904 ed una seconda volta dal 1914 al 1919: il palazzo passò così ai Colonna che tuttora lo possiedono. Fra le iscrizioni dell' Aracoeli, edite dal p. Casimiro nella sua storia di quella chiesa e convento, ve ne ha una di Giovanni Buccabella di mercato. Il Soresino, nella prefazione del suo p.547 libro del Sancta Sanctorum, scrive appunto che la chiesa fu fabbricata dall' antica famiglia romana Buccabella.. Fu fondata dalla famiglia Buccabella: su uno dei monumenti della chiesa leggevasi questa epigrafe:
HOC OPVS FIERI FECIT LAVRENTIVS IORDANELLI
DE
BVCCABELLIS ANNO DNI MCCCLXXXIV.
Sopra uno dei sepolcri, quest' altra:
HIC REQUIESCIT CORPUS NOBILIS VIRI PETRI DE
BUCCABELLIS
QUI OBIIT ANNO DNI MCCCCXXVIII.
Nel 1658 in questa chiesa fu eretta una confraternita sotto la denominazione della Corona di spine di Nostro Signore Gesù Cristo. Nell' archivio de' Brevi vi è la copia dell' istanza ad hoc diretta al papa, che è del tenore seguente: "Beatissimo Padre Giuseppe Cruciani maestro di casa della S. V. humilmente la supplica perfetionare le gratie concesse p548alla Natione di Cascia sua patria col erigere detta natione in confraternita nella chiesa di s. Biagio in Campitelli in Roma dalla S. V. con tanta benignità concessali sotto l' invocatione della Corona spinea di N. S. G. Cristo che le facoltà solite, et anco di potere ascrivere in essa, non solo li nationali del uno e l' altro sesso, ma anco tutti li devoti di essa, concedendoli le solite indulgenze, honorar l' oratore come fondatore di essa confraternita, e sempre si pregarà il Signore Dio per la lunga e felice vita della Santità Vocatur e per ogni prosperità della eccellentissima casa Chigi ecc." Nel pavimento della chiesa esistono ancora alcune iscrizioni antiche e frammenti di sculture della foggia uguale fino al secolo XVI, cioè i ritratti dei difunti scolpiti in marmo con l' epigrafe intorno. In una lapiduccia si legge: HOC EST SEPULCHRUM IACOBI ET HOMODEI BUCCABELLA ET HEREDUM SUORUM.
BIBLIOTECA DI STATO DI
ROMA-VITTORIO EMANUELE II
ROMA-ANNO MDCCLXI:Autore
BIGGI e COMBI-Collocaz.8.39.L.27
Notizie
Storiche sulla famiglia BOCCAPADULI
pag.246. LIVIA figliola di ANTONIO si marito' a PIETRO QUATTROCCHIO famiglia gia' ben riguardevole tra le Romane. Si trova memoria di questo matrimonio in un instrumento,che si riporta dall'Astalli in questa guisa: anno 1543, 17 Agosto in presenza del nobile signor Giacomo de Curte giudice, e primo Collaterale di Campidoglio, la nobile Signora LIVIA, figlia del quandam Signor Antonio de Boccapadule, e della quandam Signora Girolama Bonadies, e la moglie del nobile Signor Pietro Quattrocchio del Rione di Ponte da una parte; e la nobile Signora Lucrezia de Bonauguriis, figlia del nobile Signor Bernardino de Bonauguriis del Rione S. Eustachio, e della quandam Signora Francesca de Boccapaduli, che fu similmente figlia di detto quandam Signor Antonio, dall'altra: con consenso della Signora Lucrezia, del Reverendo Padre Signor Gregorio Peruschi Vescovo telesino, e delli nobili Signori Felide de Tebaldeschi, Marcantonio Omodei suoi parenti piu' prossimi; e della Signora Livia, con consenso delli nobili Signori Vincenzo e Prospero Boccapaduli, suoi parenti, ratificano la transazione di concordia fatta tra detti Signori Bernardino e Pietro, per causa dell'eredita' della quandam Signora Settimia de Boccapaduli; figlia similmente di detto quondam Signor Antonio. Ebbe Livia con Pietro Quattrocchio tre figlioli, i cui nomi furono: Gomezio, Agostino e Papirio, i quali si veggono ricordati, in una lapide che giace in San Lorenzo e Damaso, molto onorevolmente annoverati tra i Signori Offiziali della Camera di Campidoglio. Si trova di Gomezio, che nella Bussola formata l'anno 1565, fu annoverato tra i capi della Regione di S. Angelo; e che nell'altra del 1567 ne fu per la medesima al mese di ottobre estratto. Agostino fu similmente nel 1570 Capo della stessa Regione di S. Angelo. Il nome di Papirio e' registrato non meno tra i Sindaci del Popolo Romano e tra i Maestri Giustizieri. ANTONIO BOCCAPADULI - PADRE DI LIVIA - ERA CAVALIERE AURATO, CONTE LATERANENSE E PALATINO. AVEVA L'AUTORIZZAZIONE PAPALE DI DOMICILIARE IN OGNI PUNTO DEGLI STATI PONTIFICI. NEL 1516 ERA GOVERNATORE E CONTE DI TIVOLI.
CASA BONADIES (tradotto poi in BUONGIORNO) -
(Via del Banco di S. Spirito - Roma)
Casa Bonadies è in via del Banco di S. Spirito; si tratta di un edificio
(restaurato nel 1940) di tre piani sormontati da una loggia; al piano terreno
la casa ingloba un portico medioevale costituito da tra colonne di granito e
capitelli ionici medioevali, tutto costruito con elementi di spoglio provenienti
da edifici antichi, tra cui uno splendido resto di cornicione romano. I Bonadies
appartenevano a un'antica famiglia del Rione Ponte: molti di essi ricoprirono
importanti carche capitoline e nel sec. XII uno di loro fu cardinale. Nel libro
"Storia delle famiglie romane" di T.Amayden si trova: Bonadies (del
Cardinale): apparisce nel Ciaccone di Adriano IV che nel 1155 fece Cardinale
Bonadies de Bonadie, romano. Nel 1414 Lorenzo Bonadies fu Conservatore. Nel
1416 fu dei tredici del Governo di Roma. Nel 1460 Joannes de Bonadies fu Camerlengo
di Roma e dal 1462 fu Guardiano del Salvatore insieme a Marco Diotoviti. Nel
1480 il medico Giovanni fu Guardiano in compagnia di Cristoforo Bufalo de Cancellieri.
Nel 1486 Gaspare Bonadies fu Camerlengo di Roma. L'Altieri nel "nuzziale"
li annovera tra nobili romani. Si apparentarono con i Diotoviti 1522, con i
Quattrocchio 1543, con i Boccapaduli 1556, con i Cenci 1563 e con gli Anguillara.
PALAZZO BONADIES. In piazza Pasquino. Da rilevare
il portico elegante e lo sviluppo della scala.
ARMA: partito di rosso e d'azzurro al giglio
di Firenze d'argento attraversante.
Famiglia di origine fiorentina. A Roma viveva nel 1490 dom. Domenicus de Bonaugurijs
legum doctore de regione S. Eustachijs. Morì nel 1507 e fu sepolto in
detta chiesa. Era stato Conservatore nel 1482. Dai documenti riportati dal Cav.
Jacovacci si rileva che sua moglie domina Lucia morì nel 1529 e che il
loro figlio Bernardo o Bernardino de Bonaugurijs era marito di domina Francesca
Boccapaduli nobile romana. Nel repertorio del Magalotti (MS. nella biblioteca
chigiana G.V. 146) è riportato il sunto dell'atto di fidanzamento 13
aprile 1519. Fu guardiano della nobile Compagnia di Sancta Santorum e Conservatore
di Roma. Gian Giacopo de Bonauguri fu Conservatore e nel 1527 durante il sacco
di Roma dovette pagare 30 scudi per suo riscatto.
Famiglia Bufalini - ARMA: Una testa di bufala di nero accompagnata in capo da una rosa di rosso posta fra le due corna, il tutto in campo bianco. La parentela che più contribuì alla grandezza di tale famiglia fu quella con i Mazzarini. Antichi e nobili di Città di Castello. Dal 1595 è citato: hanno posto casa in Roma onde si possono chiamare romani. Dottor Nicolaus Buffalinus, nato in Roma e che avessero quivi casa molto prima, apparisce dal Catasto del Salvatore che Gio. Pietro Buffalini fu abbreviatore de Parco Majori e scrittore apostolico e che morì nel 1496. Vari Bufalini emigrarono in Francia e Ottavio ebbe il comando di un reggimento e combattè alla battaglia di Mont Contour. Nicolò Bufalini fu marecsiallo di campo nell'esercito del Re di Francia. Due membri di questa famiglia Ascanio e Pietro furono ricevuti nel 1582 negli Ordini di S.Giovanni e di S. Stefano. I Bufalini, conti di S. Giustino per breve di Paolo III furono compresi fra i Patrizi romani nella bolla di Benedetto XIV.(Amayden).
CHIESA DI SAN FRANCESCO
La chiesa di San Francesco, la cui costruzione risale al
periodo compreso tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, subì
nel corso del tempo numerosi rifacimenti. Tra questi va ricordato quello avvenuto
nel corso del 1700, quando, con l'avvento del nuovo stile Barocco, l'interno
fu completamente "modernizzato" secondo lo stile dell'epoca. Nel
corso di tali modifiche anche i numerosi altari presenti all'interno della chiesa
subirono evidenti trasformazioni. Gli altari, che appartenevano tutti a nobili
famiglie locali, furono ricoperti con stucchi e abbelliti con pesanti decorazioni
color oro. Tra questi, ricordiamo l'altare della nobile famiglia Bufalini, riconoscibile
dai due stemmi dorati posti ai lati della cornice che si trova sopra l'altare.
Il dipinto, che si trovava in origine entro la cornice, si trova oggi all'interno
del Castello Bufalini di San Giustino, dove è stato portato secoli fa
dalla stessa famiglia.
ARMA: Troncato cuneato di tre
pezzi e due mezzi di oro con azzurro, il secondo alla stella del primo. (Patriziato
Subalpino A. Manno .)
Marchesi Guglielmi. Arma: d'azzurro, alla guglia d'argento sostenente un elmo
dello stesso graticolato d'oro, piumato di rosso attraversato da una banda di
rosso, accostata da due gigli d'oro. La famiglia è divisa in due rami,
uno dei Marchesi di Vulci -1901- da Civitavecchia , marchesi di Valensina e
conti di Altagnola. Godono della nobiltà romana dal 1846 (giulio e Giacinto).
L'altro ramo è quello dei Marchesi delle Rocchette - 1869 - da Siena
(Guglielmo e Aurelio). PALAZZO GUGLIELMI. In piazza Paganica di fronte al palazzo
Mattei. Notevole il portone con due esili colonne ioniche di marmo bianco, ed
il cortile. Costruzione del secolo XIX.
MACTABUFFI (MATTABUFFI O MAZZABUFALI)
ARMA: Spaccato nel primo di rosso al cane d'argento passante, collarinato d'azzurro, nel secondo ondato d'azzurro e d'oro. Quelli che si dissero "Mazzabufali", invece del cane, presero un leone d'oro leopardito, senza le onde. Mactabuffi Coupé: au 1, de gueules, au chien passant d'argent colleté d'azur; au 2, fascé-ondé d'azur et d'or. Amayden: Di questa famiglia si vede una lapide sepolcrale 1475 in Santa Maria del Popolo, dedicata a il venerabilis viri Andreae Mactabuffi, civis romanus de regionis Parionis, morto nel 1435 il 25 luglio. Hanno parentato con Antiochia, Mangone, Quattrocchio. Tratto da:Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX di Mariano Armellini: CHIESA DEI SS. APOSTOLI IN ROMA "Fra le nobili famiglie che in questa chiesa ebbero sepoltura sono da ricordare i Mazzabufali ed i Vitelleschi." 1503 - Diana filia Antonij Mattabuffi; 1524 - Costantia q. Bernardinj de Mangona de Mattabuffis.
ARMA: di rosso alla fascia sormontata
da tre gigli ordinati in fascia, il tutto d'oro.
ARMA: d'argento all'quila di nero con le zampe poggiate sopra una divisa abbassata
di verde attraversante sulla coda dell'aquila. Questa famiglia si vuole derivata
da Corrado di Antiochia, Conte di Anticoli (1301). Nel 1468 Lodovica degli Orsini,
era moglie di Giovan Antonio di Antiochia.
MANGONE - ARMA: D'oro alla fede di carnagione
vestita di rosso,movente dai fianchi dello scudo e
tenente fra le mani di carnagione un ramo d'olivo fruttato e fogliato al naturale.
CORRADI LIGNANA BLASONATURA:
D'azzurro a 2 leoni d'oro,linguati di rosso,affrontati ed appoggiati con le
branche anteriori - Fonte:Patriziato Subalpino
A.Manno,Torino 1895-1906. Lantica casa Corradi - La casa, posta nel quartiere
di S. Spirito, in via del Seminario, ed ora restaurata nelle varie successive
trasformazioni scoperte sotto l'intonaco e da essa subite nei secoli XIV, XV,
XVI e XVII, è stata sempre dei Corradi, sino alla loro estinzione, seguita
alla fine dello scorso secolo XIX. Che poi, proprio all'epoca della descritta
lapide nel 1510, appartenesse loro, síccome nei secoli anteriori, provano
queste menzioni documentate: Giacomo Corradi, confratello della chiesa dello
Spirito Santo nel 1495, e magistrato del Comune nel 1509; Giacomantonio Corradi,
magistrato comunale pel sestiere di S. Spirito nel 1554; Giorgio Corradi, de'
Quarantotto per San Spirito nel 1751 (v. Savini, Le famiglie del Teramano; Corradi
n.ri 4, 8 e 17). Modesti Signori di campagna nati all'ombra del monastero di
San Benedetto di Polirone, la Casata dei Corradi di Gonzaga seppe dilatare considerevolmente
la sua originale modesta potenza economica acquisendo ricche proprietà
rurali. Tralasciato il cognome Corradi, la famiglia
pose in evidenza il toponimo "de Gonzaga" venendo ad avvalorare l'erronea
tesi che l'omonimo Comune padano fosse stato fondato dalla dinastia. Il nuovo
cognome risuonò nel libero Comune di Mantova alla fine del XII secolo,
al culmine di una serie di scontri con le città vicine. Non meno sanguinose
furono le lotte di partito fra le Casate degli Arlotti, Casalodi, Bonacolsi,
terminate solo nel 1268 quando quest'ultima, un po con forza, un po
con l'assasinio, un po col tradimento, prevalse sulla famiglie rivali.
I successori di Luigi, senza trascurare le armi, seppero mettere a frutto le
loro enormi ricchezze incoraggiando prodigalmente gli artisti, aggiungendo in
tal modo una nuova gloria alla loro Casata, cioè quella dei mecenati.
La vanagloria del parentado apportò una sostanziale modifica
all'arma dei Signori di Mantova, che risultò così composta: inquartato
nel 1° e 4° alla biscia di azzurro ondeggiante in palo ingoiante un
fanciullo di carnagione (Visconti); nel 2° e nel 3° di Boemia e sul
tutto di Gonzaga. Il quarto d'alleanza visconteo fu poi tolto quando Francesco
entrò nella lega stretta tra Venezia, Firenze, Bologna, Padova e Ferrara,
contro la pericolosa egemonia di Gian Galeazzo Visconti, che era al culmine
della sua potenza.
Famiglia Orsini - ROMA-ARMA
: D'argento alla banda d'azzurro,carica dei 3 gigli d'oro ;accompagnata da 2
rose.
Usarono anche l'ARMA: Bandato d'argento e di rosso. Capo d'argento caricato
di una rosa di rosso bottonata d'oro e sostenuta da una fascia d'oro caricata
di un'anguilla ondeggiante d'azzurro. L'orso figura nel cimiero e nei supporti,
ma gli Orsini di Pitigliano la usavano anche rampante in campo d'oro dentro
lo scudo. S.a.s. Principe
don Filippo Orsini primo Barone romano, 19° duca di Gravina, Principe assistente
al trono pontificio, Principe e Patrizio romano coscritto, Principe di Roccagorga,
di Solofra, di Vallata, etc. Discende dalla più antica ed illustra famiglia
romana, che alcuni pretesero derivata dalla casa reale di Francia ed altri dissero
di antica origine tedesca e principesca fino dal 431 per privilegio dell'Imperatore
Teodosio: La tradizione che vuole gli Orsini parenti dei Mangravi di Baden,
fece mantenere costanti rapporti fra gli Orsini e quei Principi. Si vuole che
S. Stefano II, papa, nel 752 fosse di questa casa. Papa Celestino III dei Boboni,
nel 1191, era di un ramo degli Orsini. Di questa casa furono due sommi pontefici:
Nicola (1277) e Benedetto XIII (1724). Gli Orsini nel 1010 furono cacciati da
Roma dai ghibellini e ripararono in Germania dove fondarono il Castello di Rosenberg.
I Conti Orsini di Rosenberg esistono ancora in Boemia.(Amayden) Gli Orsini sono
un ramo dei Ronchi di Sondrio, storica famiglia guelfa nobile ab immemorabili
, la cui genealogia ininterrotta rimonta alla seconda metà del XIII secolo.
Si imparentarono con le più importanti casate della loro fazione: dagli
Interiortoli ai de Prata, ai Buzzi di Tremezzo (già Castelli di Menaggio),
e si suddivisero presto in numerosi rami - Il ramo principale della stirpe dette
a Sondrio due decani e notai. Ser Andrea dei Ronchi, dette origine al ramo dei
de Zanono e da costoro, alla fine del Cinquecento, si staccò il ramo
degli Orsini, derivando il nome da un matronimico. Gli Orsini si divisero presto
in due rami: dal primo derivarono il ramo pontasco, quello di Chiuro ed infine
quello sondriese "di Cantone", che si estinse recentemente nei Crosta
di Morbegno. Altro ramo, portatosi a Sondrio nel 1703 con un ser Giuseppe, da
cui discende il noto Prof. Gisutino renato, umanista e storico. In forza delle
ultime volontà dello storico e secondo il diritto nobiliare retico, al
di lui nipote ex filia Niccolo', figlio dell'attuale Capo della Casa e Presidente
della Familienstiftung Avv. Fiammetta Orsini, fu anteposto al cognome del padre
de Marzo quello materno onde proseguire per successione il nobile
casato non sussistendone che discendenza femminile.
La famiglia Rosati è di antica origine
lombarda fu feudataria della Pieve di Rosate e conosciuta anticamente cone De
Rosate. Tra il 1018 ed il 1031 l'Arcivescovo Arimberto d'Intimiano investì
i suoi advocatis del feudo sopra indicato. I de Rosate, erano un ramo della
potente famiglia dei signori de Besate di origine longobarda e con la investitura
ad Anselmo II a comes capitaneus plebis Rosate assursero nella classe dei capitanei
e quindi divennero vassalli dell'Arcivescovo di Milano. Il Magister Bartolomeus
Johannis Rosati giunse agli inizi del 1400 a Fermo (AP) da lui nacque Ser Giannino,
padre di ser Giacomo Rosati trasferito a Montalto Marche (AP) da cui nacquero:
a) Ser Giannino o Giovanni, podestà di Monteprandone nel 1483 da cui
i conti Rosati di Monteprandone, (patrizi ascolani e di Fermo, nobili di Montalto
e signori di Villa Casaregnano che il 29 luglio 1780 ottennnero con Beneplacito
Pontificio in enfiteusi Pian di Mignano o Villa Piattoni di Castel di Lama (al
conte Giacomo Antonio Rosati)
b) Ser Marino (1487) che si trasferì provvisoriamente da Montalto a Macerata
quale Procuratore fiscale presso la Curia Legatizia; costui venne ascritto anche
al patriziato di Macerata unitamente al figlio Vincenzo. Da Marino discendono
i Rosati Sacconi, Sacconi Rosati, estinti negli Ambrosi di Ascoli da cui: Ambrosi
Rosati Natali Sacconi, Ambrosi Rosati Sacconi, marchesi di Cavaceppo, patr.
di Ascoli. c) Ser Antonio di Ser Giannino, rimasto a Fermo fu il capostipite
degli attuali Vitali Rosati, patr. di Fermo e di S.Marino. Dal ramo di Montalto
derivò il ramo di Matelica ascritto alla nobiltà civica ed estinto
con Filippo Rosati. Dal ramo di Monteprandone derivarono i rami collaterali
di Castel di Lama e di Maltignano.
Famiglia AMICI. Tra le più benemerite famiglie di Trevi, estinta, da un secolo e mezzo, con la morte di Carlo. Questi lasciò il suo cospicuo patrimonio per la pia opera dell'Ospizio degli Invalidi. Da piazza Mazzini parte una via intitolata al suo nome, eterno pegno di gratitudine del Comune.
Paterno':Arma:D'oro a quattro pali;alla banda
d'azzurro attraversante sul tutto.
Nobiltà Italiana Goffredo Crollalanza
La famiglia, una delle maggiori del panorama aristocratico italiano, discende
da tre antiche casate reali: quelle dei Conti di Barcellona e di Aragona, dei
Conti di Provenza e degli Altavilla. Il suo capostipe fu infatti Roberto d'Embrun,
appartenente al ramo dei Conti di Barcellona nel quale si erano estinti i Conti
di Provenza. Roberto d'Embrun partecipò alla conquista normanna della
Sicilia condotta da Ruggero d'Altavilla intorno al 1070, ottenendo i feudi di
Paternò, da cui derivò il nome del casato, e di Buccheri, nuclei
di vasti possedimenti che rimasero in possesso della famiglia fino al 1167.Lo
stemma dei Paternò, come discendenti da una linea cadetta dei Conti di
Barcellona e di Aragona, è quello stesso della casata reale, oggi estinta,
Barcellona-Aragona (d'oro, ai quattro pali di rosso), al quale fu però
aggiunta una cotissa d'azzurro per segnalarne la derivazione in linea secondogenita.
Lo stemma è perciò identico a quello della famiglia Aragona Maiorca,
altra linea cadetta della casata Aragona anch'essa estinta.Inoltre, sempre in
quel secolo, un altro membro della Casa Paternò, Gualterio, Barone di
Imbaccari, sposò Elisabetta Ventimiglia, erede delle grandi dinastie
Sveva ed Aragona. E da quel secolo, come ricorda l'enciclopedia Treccani, la
Casa Paternò si impadronì del governo della città di Catania.Nel
XVI secolo la famiglia si suddivise nei due rami dei Paternò e dei Paternò
Castello.Nel 1633 i Paternò Castello furono creati principi di Biscari.
Sempre nello stesso anno ottennero il privilegio feudale del mero e misto imperio
(diritto di vita e di morte sui propri vassalli). Alla famiglia, sia del ramo
Paternò, che Paternò Castello, furono conferiti successivamente
anche altri importanti titoli nobiliari, fra i quali quelli di Principi di Sperlinga
e Manganelli, Duchi di Carcaci, di Roccaromana, di San Nicola e di Pozzomauro,
Marchesi di Raddusa, di San Giuliano, di Casanova, di S.Alessio, di Papale,
Graniti, Gallodoro e Motta Camastra (30 luglio 1783) e Pollicarini (6 giugno
1783), di Regiovanni, di Sessa, del Toscano.I membri della famiglia ebbero importanti
cariche nell'ambito del governo della Sicilia (viceré, presidenti e vicari
generali, strategoti di Messina, ambasciatori presso re e pontefici, ministri
di stato e senatori e furono insigniti di diversi ordini (cavalieri del Cingolo
nobiliare, dello Speron d'oro, dell'Ordine di San Giacomo della Spada, del Collare
della Santissima Annunziata, dell'Ordine di San Gennaro, dell'Ordine Imperiale
di Santo Stanislao di Russia) e furono di diritto Grandi di Spagna in quanto
pretori di Palermo. La famiglia giunse a possedere agli inizi del Seicento 48
diversi feudi con mero e misto imperio e nel corso della sua storia ottenne
170 feudi principali, avendo diritto a ben sei seggi ereditari nel parlamento
siciliano. Alla metà del XV secolo entrarono a far parte dellOrdine
di Malta, cui diedero un "luogotenente di gran maestro" e tre "gran
priori".Al momento dell'abolizione del feudalismo, alla fine del XVIII
secolo la famiglia possedeva 80.000 ettari di territorio. (wikipedia)
Tratto dal NOBILIARIO DI SICILIA-Dott. A. Mango di Casalgerardo-Famiglia-Lidestri o Li Destri. La si vuole originaria dalla Spagna. Un Antonio Lidestri e Grifeo con privilegio del 15 maggio 1602 ottenne la concessione del titolo di regio cavaliere ed il riconoscimento dello stemma; un Francesco fu proconservatore in Ganci nellanno 1732; un Antonino possedette i feudi chiamati Equila Verde, Montagna di Neglia, Ficuzza, Grotte di Famusa, San Todaro e Montagna del Corvo e Rainò, per investiture del 27 aprile 1776. Un Michelangelo, da Ganci, ottenne con privilegio del 31 agosto 1791 il titolo di barone di Partisina; un barone Francesco-Antonio fu capitano di giustizia di Calascibetta nellanno 1812-13. Con decreto ministeriale del 2 aprile 1899 vennero riconosciuti i titoli di cavaliere, di barone di Rainò e di barone di Equila Verde, Montagna di Nelia, Ficuzza, Grotte di Fanusa, San Todaro e Montagna del Corvo in persona di Antonio Lidestri (di Salvatore, di Antonio). Arma: di rosso, al braccio armato dargento, impugnante con la mano di carnagione tre spighe di frumento doro. Al visitatore, Leonforte appare come un presepe dominato dal Palazzo Branciforti che si erge imponente sulle caratteristiche viuzze e sulle casette più antiche del nucleo abitativo. La città è situata al centro del sistema montuoso degli Erei a 600 metri ,dista 22 km da Enna. Leonforte fu fondata, su licenza del 30 ottobre 1610 della Regia Curia, dal barone di Tavi Nicolò Placido Branciforti. La città si ingrandì subito e, oltre allagricoltura, si svilupparono attività artigianali connesse alla produzione di manufatti in terracotta e alla concia delle pelli, produttive come la gualchiera di panni di feltro e nellOttocento sorsero anche una filanda ed alcune miniere di zolfo. Nel 1852 la città ed ogni beneficio furono acquistate dal conte Li Destri di Bonsignore, che si trovò a dover gestire gli eventi che videro la cittadina protagonista delle lotte per lindipendenza e lunità dItalia. La Villa fu per molto tempo residenza della famiglia Li Destri. I Li Destri, di origine spagnola, ebbero un ruolo di spicco nella Sicilia del tempo. Durante i moti rivoluzionari contro i Borboni, in Sicilia si era formato un comitato rivoluzionario;Gangi era rappresentata dal Barone Salvatore Li Destri di Rainò. Il governo italiano come benemerenza garibaldina pregiò il Li Destri di medaglia d'argento: era il 1860. Chi visse maggiormente nella villa, però, fu il figlio Antonio. Dopo aver studiato a Catania il Barone Antonio intraprese a Gangi una fiorente carriera di notaio. E' proprio il ritrovamento di una lettera indirizzata al Barone Antonio Li Destri presso Villa Rainò che dà il nome all'attuale struttura. Molte sono le leggende che si narrano sulla villa e i suoi abitanti. Ci sono storie di grandi feste organizzate in onore di ospiti illustri; come il ricevimento in onore della visita dello Zar al Barone o il pranzo con Mussolini all'ombra della rotonda di alberi secolari. C.da Rainò - Gangi (PA)
ARMA: d'azzurro al leone rampante coronato d'oro, alla banda d'argento attraversante, caricata di tre rose di rosso. - Anno 1372 - Pietro di Giovanni Paolo de Rosa - questa famiglia parentò con gli Alberini, dopo parentò con Clarelli, Baroni e Mentebuoni. Anno 1492 Giovanni Rosa fu Vescovo di Arimini. Anno 1500 Francesco Rosa fu Vescovo di Terracina, ambedue sotterrati in Ara Coeli (Catasto del Salvatore). Fa menzione l'Abate Ughelli nella sua "Italia Sagra" ponendo la famiglia tra nibli romane e con ragione come apparisce dalli parentati. (Amayden) Il Cav. Iacovacci ricorda 1444 Paulus de Rosa era scriptor mercantorum. Nel 1446 Jacopo figlio di Renzo Rosa del Rione Trevi. Nel 1464 morì Cristoforo de Rosa, padre di Battista e di Bernardo del Rione Parione e venne sepolto nella chiesa di S. Lorenzo e Damaso. Antonio De Rosa fu famigliare di Carlo I d'Angiò e da lui discendono, senza interruzione, i De Rosa di Villarosa ascritti all'Ordine Sovrano di Malta, patrizi di Aquila, etc. I Rosa patrizi romani erano appunti oriundi da L'Aquila e quindi li riteniamo discendenti di quelli che possedettero il feudo di Villarosa da cui discende il celebre pittore Salvator Rosa.
ARMA:Troncato:Al 1°d'azzurro all'agnello d'argento,passante,sormontato da una stella d'oro;al 2°di verde a 3 rose nodriti nella pianura (verde) il tutto in oro.
STORIA DELLE FAMIGLIE ROMANE - di T.Amayden
MARTINI Sergio IV viene chiamato dal
Ciacconio figlio, di Martino, cioè della Famiglia de' Martini, come gli
Orsini talvolta sono chiamati ex filijs Ursi. L'arme denota che hanno voluto
alludere a Papa Sergio, chiamandosi per altro nome De Lo Prete. In Santa Maria
Maggiore si vede una lapide sepolcrale con l'arme di questa famiglia di veneranda
antichità senza lettere,di uomo togato all'usanza dei tempi antichi.
Da quei tempi non ho altra memoria che del 1400 dalla quale però apparisce
che ve ne siano delle altre tramezzate: "testamentum Elisabetthae filiae
q. Nobilis viri Jacomelli de Ursinis uxoris Antonij Joannis Martini, die 25
ianuarij 1400. Nardus de Venectinis not. fol. 13 arc. cap.." Questa porta
tre generazioni avanti che non lascia dubbio della discendenza, come anche del
parentado con li Orsini, con li Cecchi, Lancellotti, con Teobaldi, con Normanni,
con Guerrieri, con Rocchini-Quattrocchio e con Echenardij. Nel 1414 il popolo
romano creò gli ufficiali contro Papa Eugenio tra i quali fu Renzo Martini.
Nel 1445 furono Guardiani del Salvatore, Lorenzo Martini e Pietropaolo Stefaneschi.
STEMMA DEI MARTINI A SIENA
.
Blasonatura; Scudo accartocciato: d'oro, alla pantera di
nero; al capo dell'Impero l'aquila nera MARTINI:Nobili Conti Senesi: -Cesare
di Ottaviano Capitano del popolo 1610-Flaminio di Giovanni Capitano del popolo
1610-Fortunio di Giovanni Capitano de popolo 1591-Giulio di Cesare Capitano
del popolo 1644,1666-Pietro Paolo Capitano del popolo 1655,1726.
ARMA:
partito d'oro e di rosso alla croce patente dell'uno nell'altro.
La famiglia dei Santacroce possedeva diverse case tra il rione S. Angelo e il
rione Regola già dal Quattrocento; tra queste anche il palazzo dove poi
ebbe sede il Monte di Pietà. La ricchezza della famiglia si deve in gran
parte al Cardinale Prospero Santacroce, che per primo introdusse in Italia dal
Portogallo, dove era nunzio apostolico di Pio IV Medici (1559-1565), il tabacco,
chiamato allora erba santacroce. Il palazzo dei Santacroceai Catinari
fu fatto costruire tra il 1598 e il 1602 da Onofrio su progetto di Carlo Maderno.
In una seconda fase, tra il 1630 e il 1640, furono realizzate probabilmente
le facciate ad opera di Francesco Peparelli. La parte del palazzo verso il vicolo
dei Catinari, compresa una piccola fontana nel giardino pensile, si deve invece
allarchitetto Alessio De Rossi (1616-1695). Le facciate, restaurate nellOttocento,
presentano tre piani ed un ammezzato tra il primo e il secondo piano. Sulle
facciate si aprono tre portoni; quello su piazza S.Carlo ai Catinari reca lo
stemma dei Santacroce e degli Sforza Cesarini, imparentati con lultima
rappresentante della famiglia Santacroce. Le finestre del primo piano e del
terzo sono architravate, le altre modanate; tutte hanno delle decorazioni a
festoni in stucco. Due balconi ad angolo si trovano al primo e al terzo piano.
Linterno presenta due cortili, un tempo adorni di bassorilievi e statue
ora disperse; nel cortile di fondo è una fontana del XVIII secolo formata
da un arco inquadrato da pilastri sorretti da telamoni, al centro del quale
è raffigurata Venere che nasce dalla conchiglia. Il Palazzo oggi ospita
tra laltro lIstituto Italo - Latino Americano e la scuola di perfezionamento
in Studi Europei dipendente dalla Facoltà di Economia e Commercio dellUniversità
di Roma. Prospero Santacroce, o Prospero Publicola de Santa Croce (Roma, 12
marzo 1514 Roma, 2 ottobre 1589), è stato un cardinale italiano,
nominato da papa Pio IV.
Biografia Prospero Santacroce era figlio di Tarquinio
e di Ersilia de' Massimi. Fu zio del Cardinal Antonio Santacroce (1598-1641),
nipote del cardinale Marcello Santacroce(1652) e prozio del cardinale Andrea
Santacroce. (1699) Studiò all'Università di Padova conseguendo
il dottorato. Fu avvocato concistoriale, vescovo di Chiasma nell'Isola di Candia.
Fu Nunzio Apostolico in Germania, dove nel maggio del 1544 accompagnò
il cardinale Alessandro Farnese alla Dieta di Worms. Fu Nunzio Apostolico in
Portogallo, Spagna e Francia, dove la Regina Caterina de Medici lo inserì
nel Consiglio Reale e gli diede il Vescovado d'Arles. Ritornato a Roma sotto
Pio V, ebbe la porpora e il vescovado d'Alba per i meriti acquisiti durante
la sua nunziatura a Parigi: era infatti riuscito a far intervenire il cardinale
di Lorena, Carlo di Guisa, e tutti i vescovi di Francia, al Concilio tridentino.
Fu un abile mediatore e diplomatico. L'8 febbraio 1566 ricevette il titolo di
San Girolamo degli Schiavoni. Nel 1567 acquistò il feudo di San Gregorio
da Sassola affermando così la sua nuova posizione raggiunta in seno alla
corte pontificia. Ne abbellì il Castello, che divenne la sua residenza,
a spese della popolazione da lui tartassata che dette luogo a disordini conclusisi
il 3 marzo 1578 con la condanna a morte di cinque sangregoriani. Avido di denaro,
il cardinale Santacroce, fu spesso oggetto di pasquinate a Roma. Il cardinale
Prospero Santacroce nello Stato della Chiesa aveva forti interessi legati al
commercio del tabacco, da lui stesso introdotto in Europa dal Portogallo quando
era Nunzio Apostolico. Ancora nell'Ottocento a Roma, dove la famiglia Santacroce
era ricca e potente, l'insegna della rivendita del tabacco era la croce bianca
dello stemma dei Santacroce. Nel 1588 il cardinale Santacroce faceva parte della
Commissione Pontificia per la riforma amministrativa dello Stato Pontificio.
Fu attento testimone dei suoi tempi e delle Corti in cui visse, di cui lasciò
preziosa testimonianza nei suoi scritti. Partecipò ai Conclavi del 1572
e del 1585. Morì a Roma il 2 ottobre 1589. Fu sepolto nella Basilica
di Santa Maria Maggiore e successivamente i suoi resti mortali furono traslati
nella Chiesa di Santa Maria in Publicolis. Un suo busto marmoreo si trova nella
Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Il marchese Andrea Santacroce fu creato
Duca d'Oliveto nel 1718. La famiglia venne ammessa nel ceto principesco romano
ed al patriziato il 17 gennaio 1854. L'ultimo Duca Don Antonio Publicola Santacroce,
ha lasciato tre figlie: Luisa nei marchesi Rangoni; Vincenza negli Sforza Cesarini
e Valeria nei marchesi Passari.
Tratto da "Calligrammi" Le colline - Apollinaire - Inno a Roma
Letto e interpretato da Paolo de Manincor - Musica Gilberto Quattrocchio (free download mp3)
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