ALESSANDRIA
TORTONA
CERRETO
CASTELNUOVO SCRIVIA
CURONE
- GATTI - MAGGI
- STELLA - GRASSI
- SCARABELLI - BERSANI
POIRINO - BOBBIO - VOGHERA
- MOTTA DEI CONTI
PIEMONTE-RUSSIA
ARALDICA PIEMONTE
BLASONE QUATTROCCHIO
QUATTROCCHIO-QUATTROCCHI:
Non sono note l'origine e la provenienza dei Quattrocchi
che troviamo già residenti in Tortona durante l'assedio del Barbarossa:
dopo la resa, che imponeva l'esodo di tutti gli abitanti della città
(17 aprile 1155) essi si ritirarono a Cerreto (Grue)
ove forse avevano possedimenti (Annali, I, 169 e Uomini Illustri, 161); a Voghera
sono presenti almeno due anni prima ove Giovanni
è teste in istrumento del 13 febbraio 1153 con cui i fratelli Richizano
vendono beni ivi al monastero di S. Maria Teodota di Pavia (Doc. vogheresi dell'archivio
di Milano, 99); analogamente in Pavia, Arco Quattrocchi
è teste in atto del 28 maggio 1183 con cui i Ponticelli, padre e figlio,
cedono al monastero del Salvalore beni nell'omonimo luogo di Monticelli (Doc.
di Pavia relat. a Voghera, 72); ... ed a Castelnuovo sono ricchi possidenti
poiché proprietà di Rufino a Godio
ed in territorio di Sale confinano con terreni che i Giorgi, i Fassio, ed i
Galliano vendono nel 1191 1193, 1195 al monastero di Rivalta (Cartari di Rivalta,
I. 179, 180 e II, 89, 91); Rufino ed il figlio
Lorenzo il 7 agosto 1194 permutano terreni in Godio con detto monastero
che lo stesso giorno ne acquista altri da Nicola Berzano, e Lorenzo
è teste in atto (id.. I, 185. 257 e II. 97. 115); in una causa per un
prato di proprietà del monastero su accennato e tenuto abusivamente dal
Rufino che non si presentò all'udienza, il 30 settembre 1194 il giudice
tortonese reintegrava il convento nel possesso del prato contestato (id., I,
189); altre proprietà di Rufino in Castelnuovo
confinano con terreni che il 2 ottobre 1195 Oberto Drago dona al monastero di
Rivalta nonché con altre terre che quest'ultimo permuta nello stesso
anno con Guido Orecchia (id., I, 241 e II, 130); il 4 dicembre 1196, forse sentendosi
alla fine dei suoi giorni Rufino fa donazione di terreni in Godio al predetto
monastero (id., I, 263) e difatti poco tempo dopo morì.
I suoi figli ed eredi il 17 ottobre 1201 sono condannati dai consoli tortonesi
a riattare una strada in Castelnuovo da loro devastata a danno dei canonici
di Tortona e la sentenza venne riconfermata il 23 aprile 1202; pare in effetti
che i mèmbri di questa famiglia fossero dei cattivi soggetti, prepotenti,
usurpatori: i giudici tortonesi difatti il 21 dicembre 1204 li condannano nuovamente
a demolire un acquedotto indebitamente costruito su proprietà della Chiesa
tortonese in territorio di Castelnuovo (Carte Capit., I, 224, 232, 263); Oberto
è teste in istrumento del 10 gennaio 1206 relativo a terreni in Godio
acquistati dal monastero di Rivalta; 1'8 giugno 1208 i fratelli Lorenzo,
Pietro, Oberto, Giovannone e Rufino figli di quella buon'anima di Rufino
permutano terreni in Godio con detto monastero al quale vendono ivi altri appezzamenti
(Cartari di Rivalta, I, 202. 228. 230 e II, 99, 101).
In seguito al decreto del 24 novembre 1220 col quale Federico II conferma il
ritorno di Castelnuovo alla giurisdizione tortonese, nell'ottobre dell'anno
successivo parecchi uomini del luogo, tra i quali i fratelli Giovannone,
Lorenzo e Rufino Quattrocchi giurano il
cittadinatico del comune di Tortona (Chartarium, 153, 160 e Montemerlo, St.
di Tortona, 37); Giovannone è teste in atto
dell'8 gennaio 1231 con cui l'abate di S. Marziano di Tortona revoca l'elezione
di Rollario Cetta a console di Cagnano ed elegge Pietro Rossi (Doc. tortonesi
relat. a Voghera, I, 115); Rufino e Rainero, che
presumiamo padre e figlio, Girardo, Giovannone e Pietro sono citati come testi
o proprietari confinanti in vari atti dei Cartari di Rivalta negli anni 1232-1254
(I, 98. 100, 101, 209, 236 e II 40, 107, 126; Carte Capit., II, 394); Lorenzo
nel 1245 siede al Consiglio di Tortona ed appare in atto del 26 novembre con
cui il Comune vende a terzi beni in territorio di Novi (Doc. di Novi e Valle
Scrivia.II,117). Con atto del 15 marzo 1311 il Capitano del popolo di Tortona
condanna il podestà nonché molti uomini e proprietari di Castelnuovo,
tra i quali Rainero Quattrocchio (Rainezonus Guatregius)
per non aver consegnate le biade di cui erano stati tassati il 10 aprile 1307
(Chartarium, 305). Richiamandoci alle prime righe della presente cronologia
si ha conferma che a Cerreto i Quattrocchi non
fossero degli estranei poiché, estinta la linea dei fratelli Achille
e Pallamede Pernigotti, l'imperatore Venceslao con diploma 7 febbraio 1396 infeudava
Mastino, stipite della nobile
famiglia tortonese Quattrocchi, del luogo di Cerreto,
olim Cerreto della Malta, esigendo da quei terrieri a titolo di feudo
175 staia di frumento all'anno (Carnevale, Uomini Illustri, 327 il quale a pag.
183 delle " Notizie sull'antico e moderno Tortonese contraddice se stesso
affermando che fu Federico II ad investire nel 1233 il predetto Mastino);
altro consigliere è Giorgio che il 6 maggio
1278 partecipa alla seduta in cui il comune di Tortona conferisce la cittadinanza
agli uomini di Viguzzolo (Carte Capit., II, 282); il comune della porta di Castelnuovo
in Tortona, ossia podestà e consiglieri tra i quali Rainero, il 12 maggio
1309 rinuncia di appellarsi al vescovo contro il comune tortonese (Chartarium,
317). I Quattrocchio diramarono pure ad Alessandria
ove tuttora fioriscono; e così pure a Castelnuovo ove in quel cimitero,
tombe recenti i cui titolari si denominano ora Quattrocchio,
denotano che la discendenza, sebbene ,di linee collaterali, è ben lungi
dall'abbandonare questa valle; degli antichi Signori di
Cerreto non si hanno più notizie dal XV secolo, epoca in cui riteniamo
si siano estinti.
ARMA: D'argento inchiavato in capo di sei punte di nero; col capo d'azzurro
carico di tre gigli d'oro sostenuto da una fascia di rosso caricata da quattro
occhi al naturale (Marozzi).
Non sono note l'origine e la provenienza della famiglia che troviamo già residenti in Tortona durante l'assedio del Barbarossa: dopo la resa, che imponeva l'esodo di tutti gli abitanti della città (17 aprile 1155) essi si ritirarono a Cerreto (Grue) ove forse avevano possedimenti; a Voghera sono presenti almeno due anni prima ove Giovanni è teste in istrumento del 13 febbraio 1153 con cui i fratelli Richizano vendono beni ivi al monastero di S. Maria Teodota di Pavia; analogamente in Pavia, Arco Quattrocchis è teste in atto del 28 maggio 1183 con cui i Monticelli, padre e figlio, cedono al monastero del Salvatore beni nell'omonimo luogo di Monticelli; ... ed a Castelnuovo sono ricchi possedinti poiché proprietà di Rufino Q. a Godio ed in territorio di Sale confinano con terreni che i Giorgi, i Fassio, ed i Galliano vendono nel 1191 1193, 1195 al monastero di Rivalta; Nota dallo Stemma si evince una appartenenza Merovingia .
Joannonus Quatuoroculi Tortona 8 gennaio 1231 Teste Elezione Console di Cagnano
DIZIONARIO TOPOGRAFICO DEI
COMUNI COMPRESI ENTRO I CONFINI NATURALI D'ITALIA
di Attilio Zuccagni-Orlandini - 1861
Tortona: (Piem.) Prov. di Alessandria ; circond. di Tortona : mand. di Tortona. Presso la destra dello Scrivia, ed alla sinistra del Grue, appiè d'una collina. siede Tortona. Vedesi qualche traccia della vecchia fortezza, e la porta occidentale detta di Serravalle. Attualmente la città e' libera ed aperta, ed invece di baluardi, la circonda un superbo viale arborato, destinato al pubblico passeggio. Irregolare è la distribuzione dei fabbricati, anguste e mal selciate le vie : regolare è la piazza della cattedrale. Ha ospedale, orfanotrofio. scuole civiche e regie, ed un teatro. Il territorio è fecondo in pascoli, viti e gelsi. Popol. 13,218.
"Documenti degli Archivi Tortonesi : Relativa alla Storia di Voghera aggiuntevi le carte dell' Archivio della Cattedrale di Voghera" BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ STORICA SUBALPINA Diretta da FERDINANDO GABOTTO
Quatuoroculi Joannonus,
Tortona,1231/71. (S. T.) (1) Anno Dominicae Nativitatis.
MCCXXXI. octavo die intrante Januario Jndictione IIII. in Cagnano dominus Rodulfus
Abbas Monasterij Sancti Martiani Terdonensis. cassavit electionem factam ab
eo de Rollario Cepte quem in Consulem dicti loci elegerat (2) et ipsum de Sacramento
Consulatus ex iusta causa absoluit et Petrum rubeura in Consulem dicti loci
Cagnani elegit. Et ibidem dictus Petrus Rubeus ìuravit facere consolariam
dicti loci bona fide et sine fraude in voluntate dicti domini Abbatis ad honorem
et utilitatem suprascripti (3) Monasterij Sancti Martiani. Interfuerunt Testes
Gennarius Grasus, et Joannonus Quatuoroculi et
Rufinus de Monte. Ego Albertus de Roxano notarius sacri Palatij iussu suprascripti
(3) Domini Abbatis hanc cartam scripsi. (1) B, C: manca. (2) B: elegerit (3)
B, C: iamscripti.
ITALIANO : Tortona, Cancella l'Elezione dì
Rollario Getta in console di Cagnano ed elegge
Pietro Rossi (8 gennaio 1231).
Fonti. A. L'originale manca. -- B. Copia sec. XVII in Ardi. Capit. Torino,
Mazzo XXX. C. Copia consimile in Ardi. Econ. beneff. vacc. in Torino,
Ab.S. Martiri, mazzo III, cart. 1. Met. di publ. Si riproduce B, colle
correzioni indispensabili. V. Legé.
Il Presente volume doveva essere in origine
il XXXI della Biblioteca della Società
Storica Subalpina, di cui i volumi XXIX e XXX contengono Le carte dell'Archivio
Capitolo 7° e di Tortona fino al 1313, e fu preparato e cominciato a stampare
contemporaneamente ai medesimi, quando, in occasione dell'VIII Congresso storico
subalpino che si doveva tenere e si tenne poi effettivamente in Tortona nel
settembre del 1905 , si era pensato ad una seduta in Voghera, nella quale sarebbe
stato offerto il volume stesso ai congressisti. In realtà, questa seduta
non ebbe luogo, essendosi stabilito di consacrare invece a Voghera nel Congresso,
con una grande publicazione documentaria, di cui questo volume viene quindi
a far parte, senza perdere perciò il carattere derivantegli dalla sua
origine e le attinenze strettissime coi volumi XXIX e XXX della Biblioteca.
La storia di Voghera, posta fra Tortona e Pavia, come fra Pavia e Piacenza,
e Pavia e Genova, è naturalmente connessa con quella di tutte le città
circostanti ; ma rispetto alle due prime i rapporti appaiono molto più
vivi e di maggiore importanza. Infatti Voghera, mentre dipendeva ecclesiasticamente
da Tortona, di cui il vescovo accampava diritti comitali su di essa, forse appunto
per questa circostanza medesima volgeva ogni sua simpatia verso la nemica naturale
di Tortona, ch'era precisamente Pavia. Non è questo il luogo di accennare,
anche solo di sfuggita, l'intreccio di diritti, di pretese e di tatti, per cui
da lotte ecclesiastiche fra il vescovo di Tortona e monasteri pavesi aventi
possessi in Voghera e nel suo territorio venne sorgendo e svolgendosi l'ostilità
fra Voghera stessa, appoggiata da Pavia, ed il vescovo e poi anche il Comune
di Tortona. Ma di qui certo, col rilievo speciale di quanto riguarda le relazioni
di Voghera con Tortona, la connessione dei fondi documentari, per cui carte
degli archivi vogheresi gettano grande luce sulla storia di Tortona, e negli
archivi tortonesi, reciprocamente, abbondano gli atti che interessano Voghera.
I documenti compresi nel presente volume sono tali da potersi mal separare da
quelli publicati nei volumi XXIX e XXX, mentre, d'altra parte, senza di essi
la storia vogherese rimarrebbe monca, incompleta e talvolta poco chiara, se
non a dirittura incomprensibile. Sono tra essi, in primo luogo, tutte le carte
dell'Archivio Capitolare di Tortona fino al 1313, appositamente omesse nei volumi
XXIX e XXX perchè relative a Voghera od a luoghi del Vogherese, per quanto
concernenti anche la Chiesa di Tortona. Frammisti cronologicamente sono altri
documenti dei due Archivi Vescovili, cioè della Mensa e della Curia,
ai quali vanno uniti, sempre secondo l'ordine cronologico, gli atti del monastero
di Sant'Eufèmia di Tortona non tutti, s'intende, ma quanti direttamente
o indirettamente toccano la storia vogherese conservati in special modo (oltre
i pochi ora nell'Archivio Capitolare) nell'Archivio Notarile di Tortona, dove
però, mancando d'indici e di qualsiasi ordinamento, non si potrebbe escludere
che qualche documento sia sfuggito alle ricerche - pur diligenti, al possibile
- degli editori del presente volume. Uno di questi, poi, il canonico Vincenzo
Legè, ha aggiunto altro materiale di sua proprietà privata, sia
proveniente dall'eredità Manfredi, sia a lui venuto per doni ed acquisti
personali, e l'altro, cioè lo scrivente, ha collazionato sugli originali
o su copie migliori dell'Archivio di Stato di Torino dell'Archivio dell'Economato
dei benefizi vacanti, nella stessa città, quelle carte di cui in archivi
tortonesi erano solo copie, talvolta cattive o molto recenti. Finalmente, nel
riordinamento dell'Archivio Comunale di Tortona, essendo venuto fuori tutto
un gruppo di documenti relativi a Bagnolo ed alla Bagnolasca, complemento indispensabile
di quelli esistenti nell'Archivio Comunale di Voghera - che vengono ad un tempo
publicati dal cav. Armando Tallone, con tutti gli atti del fondo civico vogherese
lino al 1300, in un volume della Biblioteca parve opportuno inserirli in una
Appendice senz'attendere la publicazione di un volume di Documenti sulla storia
del Comune di Tortona, che in quel momento pareva ancora assai lontano, sebbene
oggi sia lieto di annunziarlo omai in preparazione per il Congresso di Voghera
(o, al più tardi, per il successivo), grazie al munifico contributo della
nobile signora Faustina Leardi vedova Bellingeri, d'illustre e patriottica famiglia
tortonese (1). Appendice, in un cogli atti dell'Archivio Civico di Tortona riguardanti
Bagnolo e la Bagnolasca, furono raccolti documenti trovati qua e là in
vari fóndi (fra cui l'Archivio del conte Emanuele Morozzo della Rocca
fornì originali o copie migliori di documenti tortonesi relativi a Voghera
e territorio) dopo la stampa dei fogli precedenti: ed in più, altri particolarmente
notevoli dal 1314 al 1380. In tutto, sono 190 documenti, la maggior parte inediti,
che sono raccolti nella prima parte di questo volume: la seconda, di cui si
rende breve conto innanzi ad essa, ne contiene altri 25, che costituiscono l'Archivio
della Cattedrale di Voghera fino al 1304, cogli Statuti capitolari della pieve
di San Lorenzo di Voghera del; 1358 ; in tutto, 221. Rimane così integrata
la publicazione dei volumi XXIX e XXX, e viene fornito alla Storia Vogherese
un contributo prezioso, e oserei dire indispensabile, di Bolle pontificie, diplomi
regi ed imperiali, atti di legati dell'Impero, deliberazioni dei Comuni di Pavia,
Voghera, Tortona ed altri minori; carte di podestà e di cònsoli,
di abati e di badesse, di vescovi e di signori ; documenti di varia importanza
politica,, giuridica, economica, sociale. La publicazime è fatta col
metodo consueto. Queste brevi note non potrebbero esser chiuse senza un caloroso
ringraziamento degli editori e della Società Storica Subalpina, sia a
tutti coloro che ne agevolarono in qualche modo l'opera scientifica colla comunicazione
di originali o copie antiche, o facilitazioni nella consultazione archivistica
(tra i primi, specialmente il conte Emanuele Morozzo della Rocca.....
(1) Questo volume, che sarà il XXXI della Biblioteca, conterrà,
oltre una nuova edizione più corretta del Chartarium Dertonense, senza
le manipolazioni del Costa (d'altronde al suo tempo scusabili), moltissimi documenti
degli archivi di Torino, Tortona, Genova, Milano, etc.
BLASONARIO DELLE FAMIGLIE SUBALPINE
Benvenuti a queste pagine che presentano nome, titoli, blasone, motto e origine di 6.260 famiglie nobili o notabili del Piemonte, della Val d'Aosta e del Nizzardo. Desidero far notare che: sono indicate nel blasonario famiglie sia italiane, sia straniere, che hanno avuto origine, feudi o presenze significative nel territorio dell'attuale Piemonte, della val d'Aosta e del Nizzardo. Le Famiglie Savoiarde e degli altri antichi dominii Transalpini di casa Savoia sono invece raggruppate in una specifica appendice; le Famiglie Transalpine che hanno avuto Feudi Cisalpini sono però menzionate anche nel Blasonario; Alla data del 6 Maggio 2015 - il Blasonario delle Famiglie Subalpine contiene 7.843 stemmi (+0,3% rispetto al 9 Dicembre 2014); - il Blasonario transalpino contiene 2.286 stemmi (+10,4% rispetto al 9 Dicembre 2014). Includendo tutte le altre appendici, nel sito sono complessivamente presenti 10.623 stemmi (+2,3% rispetto al 9 Dicembre 2014).
Quattrocchio (di Tortona) Signori di Cerreto di Tortona: D'argento, troncato dentato in capo di nero, con il capo d'azzurro, carico di tre gigli d'oro, sostenuto da una fascia di rosso, caricata di quattro occhi, al naturale [Berruti, Tortona Insigne]
Cognome Famiglia QUATTROCCHIO
Varianti del Cognome QUATTROCCHI, QUATUOROCULI, QUATROCULAM,
GUATREGIUS
Provincia ALESSANDRIA
Comune di origine TORTONA
Altre residenze CASTELNUOVO SCRIVIA, CERRETO, ALESSANDRIA
Definizione Documenti del 1194 li annoverano già nella piccola nobiltà,
famiglia fiorente nell'Alessandrino.
Arma : D'argento inchiavato in capo di sei punte di nero; col capo d'azzurro
carico di tre gigli d'oro sostenuto da una fascia di rosso caricata da quattro
occhi al naturale (Marozzi)
Fonti archivistiche
Cartari di Rivalta I,179,180 e II 89,90 anno 1195;
Comune di Tortona relativi a Voghera I,115
Tortona Insigne edito dalla Cassa di Risparmio di Tortona;
Archivio di Stato di Alessandria
Archivio Vescovile di Tortona;
Autore FABIO CURONE
ONOMASTICA APPARENTE
Ma io voglio invece illustrare il fenomeno contrario, cioè il trapasso da un significato perduto a uno ovvio, il passaggio di un nome oscuro ad una forma che significhi qualcosa, e con alcuni esempì mi propongo di dimostrare come l'apparente significato di molti odierni cognomi non sia che una fallace parvenza. Prenderò a paradigma il bel nome medioevale Tigrino, portato in Romagna nel Trecento. In mezzo agli Orsi, Lupi, Cani, Mastini, Vitelli che erano tanto in voga in quei secoli bestiali, Tigrino pareva avere una specie di superiorità. In verità l'aveva, ma non per il suo apparente significato di maggiore ferocia, bensì per la sua antica origine dal bel nome teutonico Tegrimo, Teudegrimo. I cognomi che seguono elencati in ordine alfabetico si intendono viventi, se non altrimenti specificato. Baldacchino dal nome proprio Baldachus, Friuli, XIII secolo = a Baldo, col peggiorativo -acco. Boemi, sicilia è una variante di Buemi. Molti altri cognomi siciliani cominciano in Bu, e derivano da nomi locali di origine araba, cosi denominati da antichi proprietari saraceni i cui nomi principiavano con abu padre, cioè la proprietà del tale, padre del tale. Il cognome Tegrini, XV Secolo, Lucca, era del pari una alterazione di Tegrimi. Il nome proprio Tegrimo, fu frequente nei conti Guidi, del Casentino. Avolio (Corrado, di Noto), Di alcuni sostantivi locali del siciliano, in Archivio Storico, Nuova Serie, del XIII secolo, a p. 390 a comprova egli cita i nomi locali egiziani Abukir, Abuklea, ecc. Archivio glottologico italiano, XV Secolo.
ALDO BERRUTI - TORTONA INSIGNE, UN MILLENNIO DI STORIA DELLE FAMIGLIE TORTONESI - A CURA DELLA CASSA DI RISPARMIO DI TORTONA - 1978
L'opera è dedicata alla memoria del Console Tortonese,
Berruti, caduto in difesa della propria Patria, (vedi Genealogie Berruti, Rapallo,
1975, presso Biblioteca Nazionale di Torino). Ed ora, un sintetico riassunto
delle vicende tortonesi che invogliarono alla compilazione dei libri su accennati.
La Dominazione Longobarda (568-774) subentrata
a quella Bizantina, e definitivamente debellata
da Carlomagno, aveva suddiviso i suoi possedimenti
in ducati, sostituiti dal conquistatore in comitati, (comitatus), retti ciascuno,
da un conte, (comes, graf), e più comitati o marca da un marchese o margravio,
(marchiones, markgraf); il conte ed il marchese erano quindi semplici funzionari
regi, ufficiali di governo, paragonabili grosso modo a dei viceprefetti, prefetti,
governatori odierni, i quali esercitavano i poteri civili e militari alle dirette
dipendenze del sovrano che ne controllava l'operato. Privi di retribuzioni,
ritraevano compenso della loro opera dal reddito di vaste tenute, patrimonio
dello stato, che in tempi successivi divennero ereditarie ed i titoli governativi
acquisirono crisma di nobiltà. Al Trono Imperiale Germanico
si succedettero i Carolingi, gli Ottoni, i vari Corrado, ed Enrico, tutti antagonisti
all'autorità dei papi fieri assertori della propria supremazia sul mondo
cristiano e quindi sugli imperatori stessi ! Alle soglie dell'XI secolo nacque
il Carroccio, risorse il Console, si estesero le
lotte tra papato ed impero provocando il depauperamento di popoli e regioni...
ed i Comuni insorsero al fine di sottrarsi alla sovranità d'Oltralpe,
si auto governarono, esautorando marche e comitati, i cui titolari dovettero
per sopravvivere, confinarsi nei propri castelli, limitandosi ad esercitare
con maggior umanità la loro potestà, sulle popolazioni rurali
dei rispettivi feudi. Nel 1090 le famiglie preminenti del Tortonese, sorrette
dal vento di fronda che animava il popolo esasperato, estromisero l'allora decadente
amministrazione imperiale, instaurando quella prima forma di governo autonomo
comunale, che in pochi decenni ebbe agio di consolidarsi, e concretizzarsi,
nel 1122, colla costituzione del "Comune Signorile di Tortona". Ai
membri e discendenti di tali Casati, venne conferito l'attributo onorifico di
"De Civitate Terdona" ossia di "Cittadino avente diritto di partecipare
alla vita pubblica", e di esse si trascrivono i nominativi desunti dal
Dizionario Feudale del Guasco di Bisio : ABELLI, ACCATAPANI, ARMELLINA, ARQUATA,
AVOLASCA, BARATTA, BAZZANI, BERRUTI, BOLZONI, BUSCHI, BUSSETI, CAFFARO, CALCINARA,
CARLASCO, CRESCENZI, CUROLI, DA DERTONA, FABBRICA, FALAVELLO, GRANONA, GRONDONA,
GUIDOBONA, MALOPERA, MALPASSUTI, DA MILANO, MONGIARDINO, MONTACUTO, MONTEMARZINO,
MONTEMERLO, NAZZANO, OPIZZONI (POI RATI OPIZZONI), OSPINELLI, OSSONA, PAGANO,
PASCEMASNATA, PISCINA, QUATTROCCHI, ROVEDI, SAREZZANO,
SCOPELLI, SELVATICO, SOAVE, STERPI, TESTA, TORTI, VILLA, Altre città,
si erano in precedenza ribellate alla dominazione straniera, e i Comuni in preda
alleuforia dell'espansionismo, si straziavano l'un l'altro in cruente
lotte, di supremazia e dominio. Il che indusse Federico Barbarossa a por fine
a queste stragi e a ripristinare la sovranità bandita; nel novembre 1154
calò per la prima volta in Italia, devastò l'agro milanese, distrusse
Chieri, Asti, Tortona che assediò dal Febbraio all'Aprile 1155, indi
proseguì per Roma per essere incoronato imperatore del Sacro Romano Impero.
Durante lassedio, Sale non si mosse; lo Svevo
vi stabilì il suo quartiere generale, ospite di Enrico Estense, detto
il Leone duca di Sassonia e di Baviera, suo cugino e pronipote, dei marchesi
Obertenghi, già feudatari del luogo, che manteneva una riservata neutralità
imposta dagli interessi, che lo legavano a Pavia, a preferenza di Tortona alleata
dei Milanesi, la cui politica tendeva costantemente, ad attrarre nella propria
sfera, e più con la violenza, che con la persuasione, i Comuni padani
distogliendoli dalla dominazione nordica. Godettero rinomanza in Sale i seguenti
Casati Gentilizi : ASSANDRI, BIGURA, BOVERI, BULGARO, CALCAPRINA, CANTONI, CAVALLI,
E CAVALLI MOLINELLI, GHISLIERI, MAGGI, SALE, TROVAMALA . Castelnuovo
Scrìvia, se non favorì ostentatamente l'Invasore, non gli
fu nemmeno ostile, e per le stesse ragioni determinate dai rapporti economici
con Pavia, si astenne dall'accorrere in aiuto di Tortona,
temendo in caso di vittoria di quest'ultima, rappresaglie, e sottomissione coartata
. Nel 1163 ,Tortona subisce una seconda distruzione,
ad opera dei pavesi suoi mortali nemici, cui nel 1164 Federico
I, assegna molti luoghi del Tortonese . Il 7 Aprile 1167 i rappresentanti
dei Comuni lombardi riuniti nel monastero di Pontida,
Fondano una Lega, detta poi "Lega Lombarda",
intesa a difendere le proprie strutture contro gli arbitrii dell'imperatore
. Nel Marzo 1168, Tortona è accolta in seno
alla Lega, che tradisce nel Marzo 1176 stipulando separatamente all'insaputa
di tutti, papa compreso, un trattato di pace ed alleanza Con Federico,
che la reintegra degli antichi possessi e privilegi; e ciò due mesi prima
della sconfitta di Legnano, inflittagli dai confederati,
il 29 Maggio 1176 . Scomparso limperatore, morto annegato in Terrasanta
nel 1190, Tortona ritorna a gravitare nella sfera milanese, subisce l'influenza
di chi a turno s'impadronisce del potere, tra i Della Torre ed i Visconti, soggiace
ai saccheggi, ricatti, aggressioni dei Monferrato,
ingoia le erosioni dell'espansionismo genovese, finché il 23 Luglio 1272,
diventa preda di Carlo d'Angiò, creato re
di Napoli e chiamato in Italia da Clemente IV,
per combattere ed annientare gli Svevi, nemici
del papato. I D'Angiò e i Visconti; si alternano
per alcuni decenni nel dominio di Tortona, sinché il 13 Febbraio 1322
Raimondo di Cardona, generale pontificio, ed alleato del re
di Napoli Roberto d'Angiò, alla testa dì 500 cavalieri,
e dei fuorusciti tortonesi, di parte Guelfa, entra
in Tortona e se ne impadronisce, in nome della
Santa Sede, che aveva promosso la lega, contro i Visconti.
Primo vicario pontificio e regio di Tortona, fu
il marchese Nicolò Malaspina, detto il "marchesotto",
al quale spetta il merito di aver impartito disposizioni, affinché fossero
riordinate, rivedute e rinnovate, le preesistenti leggi civili, e criminali,
desunte dal diritto romano, allora vigente, abolendo le superate ed aggiungendone
altre, che circostanze e tempi richiedevano. A tale scopo vennero designati
alcuni dottori, notai e giurisperiti collegiati, tutti appartenenti alle piu
cospicue e nobili famiglie tortonesi, che sedevano al Consiglio dei Savi, alla
Credenza, al Consiglio generale ed invitati a porre mano, senza indugio, all'opera
rinnovatrice; essi furono: BERRUTI ANTONIO, BERRUTI GIOVANNI, BERRUTI GUGLIELMO,
BORDONE FRANCESCO, BOTTINO LORENZO, BUTTERI LORENZO, CACHI CORRADO, CACHI LANFRANCO,
CALCINARA GUGLIELMO, CASSANO GUASCO, CERRETO GUGLIELMO, CUROLI GIOVANNI BERGADANO,
GENTILE AMEDEO, GENTILE DUSIO, GENTILE LORENZO GIACOMO, GENTILE NICOLINO, LEONE
BONARELLO, LEONE DANIELE, MERLASSINI TOMASO, DA MILANO BERGONZINO, DA MILANO
MICHELE, MONTEMERLO ENRICO, MONTEMERLO LORENZO, MONTEMERLO ROGLERIO, OPIZZONI
GIACOMO, PAGANO DANIELE, PASSALACQUA FEDERICO, PASSALACQUA PIERO, POMODORO LOMBARDO,
PONZANO FOLCHINO, PONZANO OTTINO, SCHENARDI CRISTOFORO, SCHENARDI LANFRANCO,
VERCELLI GIACOMO . Il primo libro ebbe l'approvazione e la ratifica del Consiglio
generale l'8 Febbraio 1327 e l'ultimo, il settimo, nel 1345; raccolti in un
solo volume dal giureconsulto Agostino Ribrocchi, vennero pubblicati, oltre
due secoli dopo, a Milano nel 1573, coi tipi dei f.lli Valentino e Gerolamo
Meda. Gli Angioini abbandonano Tortona nel 1347, che si sottomette a Luchino
Visconti, poi agli Sforza, sino alla morte
dell'ultimo Duca, avvenuta il 1 Novembre 1535, indi agli Spagnoli
sino all'11 Ottobre 1698, sostituiti dagli Asburgo
i quali, in base al trattato di Vienna, del 13 Novembre 1738, la cedono ai Savoia
che l'annettono ai propri Stati. Lo sviluppo, tra il XII e il XIV secolo, delle
autonomie dei Comuni, le cui rivalità non ebbero freno, tesi ognuno,
come già accennato, ad aggredire ed annientare il vicino, popolò
la città di una certa importanza di rocche e fortezze, costellando vie
e piazze di case-forti e torri per offendere o difendersi dalle fazioni rivali
a Tortona i ghibellini si denominavano inferiori perché abitavano in
città e superiori i guelfi che risiedevano nella parte alta, gli uni
gli altri, a seconda se erano sconfitti ed espulsi, si appellavano a turno come
banditi, o come vincitori, che avevano il predominio ed il governo della città.
E... come se ciò non bastasse gruppi di masnadieri, residui sbandati,
disertori di compagnie di ventura, aggredivano, devastavano campagne e paesi
minacciando anche le città; arabi e pirati infestavano impunemente con
scorrerie le coste della penisola razziando cose e persone trascinate in schiavitù;
le frequenti carestie e pestilenze immiserivano paesi e regioni in guisa tale
da rendere inefficaci le opere predisposte a protezione e difesa delle popolazioni.
La palese inefficienza degli interventi d'Oltralpe aggravata dall'inevitabile
decadenza del Comune, indusse un ristretto numero di famiglie a costituire un
ordine di cittadini cui spettasse di diritto la metà delle cariche che
presiedevano al governo della città e distretto, e l'altra metà
al popolo con l'intento di riorganizzare le difese, promuovere istituzioni,
emanare nuove leggi, incrementare opportunamente l'agricoltura, dar assetto
insomma a quanto preesisteva da tempo nella desolata terra dertonense: e si
istitui un corpo denominato de numero militum. Già in precedenza nel
consiglio generale del 5 Gennaio 1246, cittadini tortonesi, atti a reggere i
pubblici poteri, vennero ripartiti in due classi denominate appunto l'una de
numero militum e l'altra de numero popoli; con atto consolare del 15 Maggio
1327, il comune di Tortona sancisce ufficialmente mediante consoni decreti,
pubblicati a pag. 44 degli Statuti Tortonesi, il predetto ordinamento. Assoggettandosi
spontaneamente Tortona ai signori di Milano, la struttura comunale, è
ovvio s'incrinasse perché da guelfa assunse colori ghibellini, ed il
ceto "de numero militum", composto prevalentemente dalle famiglie
signorili di antica nobiltà, volle riunirsi in gruppi denominati Casati
per espletare una più ordinata amministrazione del popolo e attribuirsi,
nel tempo stesso, le più importanti cariche della comunità in
analogia agli Alberghi istituiti in Genova agli inizi del XIV secolo, in sostituzione
delle otto Compagnie (associazioni rionali) che fino dal 1135, assumendo carattere
politico-economico, legalmente riconosciuto, davano i consoli alla repubblica
genovese; nonché alle logge, portici, ospizi, bussole, urne, sedili,
seggi, tocchi, così denominati altrove. Ai sette Casati costituiti dopo
la prima metà del XIV secolo, l'imperatore Venceslao nel 1396 aggiunse
l'ottavo; inizialmente vi era ammesso chi provasse vita civile del padre, avo
e bisàvolo, che cioè non avessero esercitata alcuna arte meccanica
(piccoli commerci); in seguito, restringendo l'ascrizione, doveva provare che
detti ascendenti avessero vissuto nobilmente e, in tempi meno lontani, pur essendo
nobili fossero di antico lignaggio. I Casati si denominarono di: Casa Montemerlo
Gentile, Casa Busseti Guidobona, Casa Soprana, Casa Costantina, Casa Tre Case,
Casa Bonvicina, Casa Prina, Casa Nova (1394). Vuolsi che nel 1547 questi Casati
fossero Dodici. Le famiglie ascrìtte ad essi , di cui si trascrivono
i nominativi, sono desunte dagli elenchi del De Ferrari di Brignano, in "Nobità
Tortonese", nonché da segnalazioni reperite in Testi, e documenti
vari, dei quali ne è sempre citata la fonte.
Famiglie Ascrìtte al Decurionato Tortonese, furono : ACCATAPANI, ALIPRANDI,
AVOLASCA, BAGNARA, BALBI, BELEGNANO, BERNABOVI, BIGURRA, BONVICINO, BRAGHERI,
BRENASI, BRIONTE, BUSCHI, BUSSETI, BUTTERI, CACCIA DI ROMENTINO, CALCINARA,
CALVINO, CARNEVALE, CASELLA, CATTANEO, CELIARDI, COLOMBASSI, DELLA CROTTA, CROZZA,
CUPERIO, CUROLI, FALAVELLO, FERRARI, FRASCAROLI, FULCUIGNONE, GAROFOLI, GATTI,
GENTILE, GIULIA, GREMIASCO, GRASSI, GRONDONA, GUIDOBONO, GUAZZONI, LEGE', LEONE,
MALASPINA, MALOPERA, MALPASSUTI, MANDRINI, MARLIANI, MASSA, SALUZZO, MASSONE,
MERLASSINI, DA MILANO, MOMPERONE, MONGINI, MONGUALDONE, MONLEALE, MONTACUTO,
MONTEMARZINO, MONTEMERLO, DE OCHEDA, OPIZZONI, OSMERI, PALENZONA, PASSALACQUA,
PERNIGOTTI, POCASALE, POMODORO, PRINA, PUBLETO, RAMPINI, RATI, RATI OPIZZONI,
RIBROCCHI, RICCI, DELLA ROCCA, ROERO DI SETTIME, ROMAGNANO, ROSANO, ROVEDI,
SAREZZANO, SCHIAVI, SELVATICO, SIGNORIS DI BURONZO, SOPRANI, SORDI, TONSO, DELLA
TORRE, TORTI, TREVISI, VACHINI, VAIRANA, VALENZIANO, VILLA, VIOLA, ZENONE, In
seguito alla revisione ordinata da Carlo Emanuele III nel 1752 ed il mancato
riconoscimento del Decurionato Tortonese, accordato invece al corpo decurionale
di Novara ed Alessandria, le famiglie Gatti, Caccia di Romentino, Ricci e Signoris
di Buronzo furono ascrìtte per benemerenze, al Decurionato Tortonese.
senz'alcuna aggregazione ai Casati. Sono pure qui illustrati i grandi feudatari
del Tortonese ove lasciarono impronte di storia del feudalismo medioevale, rinascimentale
ossia nell'arco compreso tra il XII secolo e la fine del XVIII (1797); le imprese
che li distinsero sono esposte senza reticenze e con l'intento di smantellare
luoghi Comuni e Falsi Idoli. Infatuato dal rivèrbero di un crisma nobiliare,
sovente protetto dall'oscurità dei tempi, il feudatario di ogni contrada
si avvolgeva in un manto di pretesa superiorità che lo esimeva da ogni
scrupolo, per opprimere la Gleba, e Tassarli, spogliare Mercanti e Viandanti,
allungare le mani sui possessi del Vicino, sempre all'erta nello spiegar le
vele a favor di vento, Guelfo o Ghibellino, Repubblicano o Dinastico, che meglio
potesse proteggere, i propri domini, e interessi... talora inconfessabili .
I Feudi, erano in prevalenza "Viscontili",
affidati dal vescovo, di Tortona, Conte di Voghera indi di Stazzano, cui era
soggetto il territorio della Mensa Vescovile, detto "Vescovato", ed
anche "15 Terre", a fiduciari di provata fedeltà, denominati
appunto Visconti. "Comunali", attribuiti
dal Comune a cittadini benemèriti e facoltosi che disponevano delle loro
sostanze per alleviare l'amministrazione della collettività. "Marchionali",
concessi dagli Aleramici, dai Paleologo, dai Gonzaga. "Ducali",
conferiti dai Signori, poi Duchi, di Milano." Regi",
investiti da dinastie sovrane. "Imperiali",
sanzionati dall'autorità imperiale sotto la cui protezione i titolari
godevano piena immunità da ingerenze fiscali, politiche, militari della
regione in cui s'inserivano; però all'estinzione dell'ultimo feudatario
privo di eredi legittimi, o reo di tradimento, di ribellione, di gravi reati,
il feudo veniva incamerato dall'Erario e devoluto al miglior offerente. A tal
proposito riteniamo opportuno ricordare che non pochi Feudatari Lìguri,
consegnarono i loro vasti possedimenti all'impero, onde assicurarsene la tutela
dall'invadente erosione della repubblica genovese, che in preda a frenesia espansionistica,
aggrediva le riviere di Levante, di Ponente, ed il retroterra; annetteva i territori
conquistati che in parte riconsegnava, in feudo, ai legittimi possessori costretti
ad ascriversi alla Compagnia, e ad eleggere domicilio in città. Analogamente
si comportavano Alessandria, Asti, Tortona, risarcendo talvolta la sottomissione
delle povere vittime, con qualche sovvenzione. Una pletora di concessioni, ebbe
luogo nel XVI secolo, quando le casse dello Stato lombardo, sempre esauste,
per sostenere i numerosi fronti di guerra, di Carlo V, richiedevano continue
trasfusioni mediante la creazione di nuovi nobili, le cui dovizie tradivano
non di rado origini abbarbicate ad attività agresti, ai commerci, all'usura,
all'alcova, al servilismo, alla connivenza, al banditismo, alla pirateria, per
citarne solo qualcuna. CASATI FEUDALI DEL TORTONESE
: DADDA, D'AVALOS, BACIOCCHI, DEL BOSCO, BUSSONE, CANE, CENTURIONE, DORIA,
ESTE, FIESCHI, FOGLIANI, GAVI E PARODI, LANGOSCO, MALSPINA, DE MARINI, MELI
LUPI, MONFERRATO,PALLAVICINI, SANSEVERINO, SAULI, SFONDRATI, SPINOLA, TRIVULZIO,
DAL VERME. A tanta messe, fanno degna corona le 140 monografie del settimo ed
ultimo libro, i cui titolari non godono minor prestigio per natali, meriti,
cariche, benemerenze, opere, onori, censo, di quelli illustrati nei sei volumi
precedenti.
AUDIO
LA PACE DI SAN GERMANO TRA IL PAPA FEDERICO II E LA LEGA LOMBARDA 23 LUGLIO 1230
Neanche con la Pace firmata a San Germano (del 23 luglio del 1230) tra il Pontefice e Federico II, e la partecipazione per la Prima volta delle Città della Lega Lombarda, si era riusciti a scongiurare la Guerra. Le Guerre Fratricide, che tanto Danno continueranno a causare, per la mancanza di Spirito di Unità, che solo nel 1860 si tenterà di mettere in opera con risultati poco convincenti e non duraturi. Insomma il nuovo sistema di governo non riuscì a mettere salde radici né arrecare quindi, nel momento decisivo, quel vantaggio, che il suo creatore e rappresentante, nel concepirlo, si era prefisso di ottenere. Con la Pace firmata a San Germano, pareva che un'era nuova dovesse aprirsi per l'Italia poiché i tre grandi contendenti - Papa, Imperatore e Comuni - avevano posato le armi ed erano venuti agli accordi; ma quella di San Germano non era stata una pace vera, con questa carta non aveva eliminato in un giorno le cause del dissidio. Queste permanevano ed erano profonde e soltanto le armi avrebbero potuto risolvere la situazione. I tre contendenti stavano sempre di fronte; ma in posizioni nettamente distinte come al tempo di Alessandro III, di Barbarossa, e dei Comuni. E tutti palesavano nell'agire delle profonde contraddizioni. Il Pontefice aspirava, non meno di prima, al predominio della Santa Sede. E se anche, costretto dalle necessità del momento, stipulava un trattato con l'eterno rivale, poi più tardi ne accettava gli aiuti (come a Viterbo). Si teneva in intimo contatto con la Lega Lombarda, i cui Comuni potevano se manovrati bene costituire potenziali alleati contro l'impero, e nello stesso tempo stroncava a Roma quelle stesse aspirazioni che tenevano vivi i comuni settentrionali. Federico II era più che mai deciso a ridurre all'obbedienza i comuni lombardi e come mezzo per attuare i suoi propositi non disponeva soltanto delle sue forze del regno di Sicilia, di Germania e delle città italiane del nord a lui fedeli, ma anche di quelle che le erano nemiche ma che avevano all'interno suoi partigiani i Ghibellini che sostenevano la causa imperiale e lottavano contro quelli a favore della causa papale. E i Comuni, fedeli o nemici, alla fine, erano fermamente tutti risoluti a non perdere i diritti sanciti nel trattato di Costanza; ma spesso la risolutezza, la volontà e la loro forza erano insidiate e indebolite dalle discordie interne dei due grandi partiti, il GUELFO e il GHIBELLINO, e dalle guerre municipali che in quel tempo mettevano Cremona contro Milano e Màntova, Bologna contro Modena, Parma contro Piacenza e Reggio, Padova contro Verona, Verona o Padova contro Vicenza, Venezia contro Ferrara, senza contare quelle che imperversavano tra Pistoia e Lucca e tra Firenze e Siena. Le città erano sempre divise apparentemente in due, ma spesso erano come quelle clessidre, travasata una parte, basta un tocco, si capovolgono e inizia lentamente un altro travaso. Così nelle città, bastava un nulla, e subito ricominciava il trasformismo; si svuotavano di sostenitori imperiali e all'improvviso si riempivano di partigiani papali, oppure arrogantemente volevano essere autonome, ma in quest'ultimo caso appena sorgevano contrasti interni, o una o l'altra fazione era pronta a chiamare il papa o l'imperatore per farsi aiutare a sconfiggere gli avversari; e questo fino al prossimo capovolgimento. Stando così le cose la Pace di San Germano non poteva considerarsi che come una tregua, e come tale certamente la consideravano il Papa, l'Imperatore e le Città, che aspettavano solo il momento propizio per romperla. "In mezzo a tanti interessi in contrasto e a tante lotte, coloro che pensavano ad una pace vera e duratura erano i due ordini di San DOMENICO e di San FRANCESCO, i primi più dei secondi, che si servirono di eloquenti e persuasivi predicatori per "disarmare, atterrire gli spiriti" (moderni) delle popolazioni. Notissimi fra questi predicatori furono, San PIETRO MARTIRE, San ANTONIO di PADOVA, fra ROLANDO di CREMONA, FRA LEONE che pacificò i cittadini di Piacenza, FRA GHERARDO che mise la concordia fra gli abitanti di Modena e fece sì che a Parma fossero richiamati i fuorusciti e si riformasse, lo statuto municipale. Ma colui che si acquistò notorietà maggiore fu il domenicano fra GIOVANNI DA SCHIO, conosciuto col nome di fra GIOVANNI DA VICENZA. "Iniziò - scrive il Sismondi - le sue prediche a Bologna l'anno 1233; e ben presto i cittadini, gli abitanti delle vicine campagne e soprattutto le persone addette ai piccoli impieghi e all'artigianato, attratti dalla sua eloquenza, gli si accalcarono attorno, portando croci e bandiere in mano e, disposti non solo ad ubbidire alla voce dell'apòstolo di pace, ma ancora ad eseguirne i suoi ordini. In mezzo a questa folla così profondamente commossa dai suoi sermoni si vedevano tutti coloro che a Bologna nutrivano antiche animosità, odi e rancori, andare a deporli ai suoi piedi e giurare pace verso i loro acerrimi nemici. Gli stessi magistrati gli presentavano gli statuti della città affinché li riformasse come meglio credeva togliendo tutto quanto poteva essere la causa di nuovi contrasti, liti, rivolte. "Frate Giovanni si recò in seguito a Padova, preceduto dalla sua fama. Andarono a incontrarlo fino a Monselice i magistrati con il carroccio; e fatto salire il predicatore su questo sacro carro, lo accompagnarono in trionfo nella loro città, che a quel tempo era la più potente della Marca Trivigiana. Tutto il popolo, si riversò nel grande Prato della Valle, ascoltò la predica della pace, applaudì agli inviti della riconciliazioni, che cancellarono all'istante le passate inimicizia, e poi chiesero a frate Giovanni di riformare i loro statuti; quello che poi lui fece in moltissime altre città; si recò infatti, a Treviso, a Feltre, a Belluno, ed ottenne gli stessi successi a Camino, Conegliano, Romano di San Bonifacio; ed i signori, come le città, lo scelsero arbitro delle loro contese; le repubbliche di Vicenza, Verona, Màntova e Brescia, dove si recò, gli diedero questo privilegio; in ogni luogo fu pregato di riformare gli statuti municipali, di mutarli a suo giudizio, aggiungendo o togliendo tutto quello che lui riteneva giusto: finalmente gli fu in ogni luogo chiesto d'intervenire alla solenne assemblea dei popoli lombardi, che lui convocò per il giorno 27 agosto 1233 nella campagna della Paquara, in riva all'Adige, tre miglia distante da Verona. "Mai era stata tentata un'impresa così nobile ed alta come era quella di pacificare 20 popolazioni nemiche con il solo suscitare i sentimenti religiosi, con i soli motivi del cristianesimo, con il solo uso della favella; un così grande spettacolo non si era mai visto agli occhi degli uomini. Le intere popolazioni di Verona, Màntova, Brescia, Padova e Vicenza si trovarono radunate nella campagna di Paquara, ed i cittadini di queste repubbliche avevano alla loro testa i propri magistrati con il Carroccio. Gli abitanti di Treviso, Venezia, Ferrara, Modena, Reggio, Parma e Bologna vi erano giunti con i loro stendardi; i vescovi di Verona, Brescia, Màntova, Bologna, Modena, Reggio, Treviso, Padova, il patriarca d'Aquileia, il marchese d'Este, i signori da Romano e quelli della Venezia vi erano pure loro intervenuti con i loro vassalli. "Frate Giovanni si era fatto preparare in mezzo alla piazza un pulpito altissimo dal quale, se crediamo agli storici contemporanei, la rimbombante sua voce, che sembrava venire dal cielo, fu si disse miracolosamente udita da tutti i presenti. Prese per testo le parole della scrittura, "io vi dono la mia pace, io vi lascio la mia pace"; e dopo avere con eloquenza fino allora mai udita, fatto uno spaventoso quadro dei mali della guerra, dopo avere dimostrato che lo spirito del Cristianesimo era uno spirito di pace, facendo valere l'autorità della Santa Sede di cui era investito, in nome di Dio e della Chiesa ordinò ai Lombardi di deporre le loro animosità; dettò un trattato di pacificazione universale, per assicurare la cui esecuzione fece sposare al marchese d'Este una figlia d'Alberico da Romano; invocò l'eterna maledizione per i sovvertitori di questa pace; invocò le distruttive pestilenze sulle loro greggi e dannò i loro mercati, i loro raccolti, i loro vigneti ad una perpetua sterilità. "Fin qui i comportamenti di frate Giovanni andavano esenti da ogni sospetto, né si poteva ancora accusarlo di cupide od ambiziose mire; pareva che il suo zelo non mirasse ad altro che alla gloria di Dio e all'amore degli uomini; ma l'assemblea pose fine alla gloriosa sua carriera. L'entusiasmo da lui eccitato, la pace universale che aveva concluso, gli fecero concepire troppo alta opinione di se stesso; si credeva nato non solo per pacificare, ma anche per governare gli uomini. Tornato in Vicenza subito dopo l'assemblea, entrò nel Consiglio del comune, e chiese che gli fosse affidato un illimitato potere nella repubblica, con i titoli di duca e di conte. Intanto si spargeva la voce in giro (chissà da chi lo possiamo solo immaginare) che questo sant'uomo aveva con le sue preghiere fatto tornare in vita i morti, che aveva guarito moltissimi infermi; ed il popolo analfabeta e credulone, lontano dal nutrire sospetti intorno alle intenzioni del santo, gli affidò tutta la sua autorità sperando di vedere diviso tra tutti i cittadini le cariche e gli onori, la giustizia e la perfetta eguaglianza. Fra Giovanni prese a riformare gli statuti della città, ma la sua opera non è che soddisfaceva molto. Poi da Vicenza si recò pure a Verona, e anche qui chiese ed ottenne la suprema signoria, in forza della quale fece tornare in città il conte di San Bonifacio, allora esiliato; chiese ostaggi alle fazioni nemiche; mise guarnigioni nei castelli di San Bonifacio, d'Illasio e di Astiglia; accusò che erano eretici sessanta cittadini delle principali famiglie di Verona e li condannò lui stesso facendoli bruciare sulla pubblica piazza; poi pubblicò molte leggi e statuti. "Intanto i Vicentini non tardarono ad accorgersi che il nuovo signore, invece di, accrescere i privilegi del popolo, si stava creando, e accrescendo una propria signoria; a questi dubbi si aggiunsero i timori dei Padovani, che consigliavano di scuotersi da dosso un così vergognoso giogo. Mentre fra Giovanni si trovava a Verona, il podestà di Vicenza, UGUZIO PILIO, introdusse in città i nemici dei signori da Romano e le milizie padovane per fortificarsi contro il nuovo sovrano. Un altro monaco, frate GIORDANO, priore di San Benedetto a Padova, che anche lui con lo stesso sistema aveva nel governo di questa città ottenuto dei poteri, geloso forse della gloria o della potenza del suo confratello, incoraggiava malumori a Vicenza. Frate Giovanni messo sull'avviso, accorse con alcuni soldati per reprimere i sediziosi, si era impadronito del palazzo del podestà e già era in preda al saccheggio, quando giunsero a Vicenza le milizie padovane, scacciarono i soldati di frate Giovanni, e lui fatto prigioniero. Per intercessione del Papa fu ben presto rimesso in libertà, ma la sua prigionia aveva ormai distrutto il suo predominio sia a Verona come in Vicenza, fu costretto a restituire gli ostaggi che aveva ricevuto e le fortezze dove aveva creato dei presidi. Si ritirò a Bologna, dopo aver perso ogni gloria, ma purtroppo dopo avere innescato nelle città della Lega tante guerre; più di quante la laceravano prima che desse inizio alle sue predicazioni". Ma a Roma è quello che volevano! La pace di San Germano - come si è detto - non era stata che una tregua: l'anno prima i deputati di dodici città, riunitisi il 2 dicembre a Milano, avevano dichiarato nemiche Modena, Parma e Cremona che parteggiavano per l'impero; e l'anno dopo la pace, la Lega Lombarda, convocato un parlamento a Bologna, stabiliva di armare un esercito di diecimila fanti, tremila cavalli e millecinquecento balestrieri, di vietare ai comuni che si nominassero podestà ghibellini, di chiudere ai Tedeschi i valichi delle Alpi e di respingere ad ogni costo qualsiasi attacco degli imperiali. Questo dimostrava chiaramente come i Lombardi non credevano alle promesse della pace del 23 luglio 1230, dubitavano non a torto, delle intenzioni pacifiche dell'imperatore. Se non ci fossero stati altri motivi, le decisioni prese nel convegno di Bologna sarebbero state sufficienti a provocare lo scoppio delle ostilità tra la Lega e Federico, perché l'imperatore fin d'allora avrebbe mosso guerra ai comuni.
AUDIO
ALDO BERRUTI - TORTONA INSIGNE, UN MILLENNIO DI STORIA DELLE FAMIGLIE TORTONESI - E CASATI GENTILIZI CASTELNUOVO SCRIVIA - 1978
Le sorti di Casteinuovo erano rette, e lo furono per tre secoli dal 1000 al 1300, da un consortile predominato dai Bandello e dai Della Torre, coadiuvati dai casati gentilizi illustrati in altrettante monografie, e di cui elenchiamo i nominativi: ACERBI, ANTICO, ASCHERI, BAGNARA, BALBI, BANDELLO, BASSI, BUTTERI, CALCIATI, CAMPEGGI, CANEVARI, CATTANEO, COLOMBASSI, FRAMBAGLIA, GRASSI, GUERRA, LAZARA, MONZA, PREVIDI, QUATTROCCHIO, RICCI, SCARABELLI, SELVATICO, STRADA, TORRE (DELLA), TORTI.
Cenni storici Castelnuovo Scrivia - Patriota Quattrocchio 1848-1866
Alla causa dell'independenza
d'Italia negli anni 1848-1849-1859-1860-1866 diede Castelnuovo un ragguardevole
contingente di soldati, dieci dei quali morirono, chi sui campi di battaglia,
chi negli ospedali in seguito a ferite riportate combattendo. Di essi sono:
Accerbi, Anversa, Buffa, Cairo, Castellotti, Grassi, Martinelli, Quattrocchio,
Ricci e Bersani.
Collegiata dei SS Pietro e Paolo in Castelnuovo Scrivia - Chiesa di S.Rocco
I parroci di allora annotavano solo a queste sette famiglie "sposati sull'altar maggiore"dai cognomi CURONE- SCARABELLI DELLA MIRANDOLA- GATTI- QUATTROCCHIO- MAGGI- GRASSI- STELLA ( solo adesso scrivendoli ho trovato un forse filo conduttore : sono i cognomi delle mie ave per ramo paterno) la chiesa in questione (Insigne Collegiata dei SS Pietro e Paolo in Castelnuovo Scrivia) vanta al suo interno ben 8 altari laterali (di cui uno della confraternita de li nobili), delle varie corporazioni e una cappella gentilizia della Famiglia CENTURIONE SCOTTO. Esiste tuttora la Reale Arciconfraternita dei Nobili con una sua chiesa ( quella di S.Rocco) dove i miei antenati ed il sottoscritto sono stati aggregati in qualita' di confratelli, camerlenghi, priori nel corso dei secoli . All'interno della quale venivano, vengono celebrati solo i funerali dei confratelli e le cerimonie religiose interne (ancora oggi ai confratelli viene concesso l'onore del feretro appoggiato al terreno). Insistono nel paese altre 5 chiese ognuna con prerogative sue proprie, pero' i maggiorenti del paese solitamente si sposavavno nella "Chiesa Grande". Fabio Gaspare Curone .
Castelnuovo Scrivia, alla ricerca dei contatti tra Alessandro Berri, pittore che nel 1500 dipinse una copia de "L'Ultima Cena" di Leonardo presso la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo, ed il più antico dei Berri di cui io abbia notizia certificata da documenti in mio possesso (Carlo Giuseppe Berri nato probabilmente intorno al 1690). Ho pubblicato la genealogia della mia famiglia su vari siti, partendo da Ancestry (che pertanto è il più completo): all'interno di questo albero ovviamente compare anche il Carlo Quattrocchio di cui così poco sappiamo, a parte il matrimonio intorno all'anno 1842 con Agostina Berri. Da Giorgio Berri. - Berri. Consultando vecchi documenti si può dire senza il rischio di andare troppo lontano, che questa famiglia è uno dei più antichi e onorati in diverse regioni francesi. Si trova in tempi diversi in varie località e c'erano molti personaggi famosi di quel nome. La sua anzianità ben riconosciuto, le sue alleanze con case privilegiati, i carichi cui è stato rivestito, e la reputazione di integrità indiscutibile, gli avevano assicurato lungo reverenza che si attacca ai nomi storici e che è il premio più glorioso , mentre è il più durevole. la più spiccata personalità di questa famiglia è Nicolas, ottiene il dottorato di lettere nel 1681. Un Antonio della primaria nobiltà di Pavia si trasferì in Roma nel principio del secolo XVII ove stante la sua profonda conoscenza in materia legale divenne Avvocato Concistoriale. Una serie non interrotta d'individui di questa famiglia, si distinsero nelle scienze e nelle lettere, tra cui, Carlo creato Cardinale nel 1669 e che divenne legato di Urbino e poi vescovo di Ferrara, ed Antonio che fu Conservatore di Roma più volte e specialmente nel 1689, nel quale anno con Flaminio Pietri e Mariano Vecchiarelli ebbe la dignità senatoriale in seguito della morte del marchese Cesare Negrelli. Urbem Romam.
Battesimo Pietro Angelo Gabriele figlio di Carlo Maria Quattrocchio figlio del fu Pietro 1835 - Francesca Cernelli Figlia di Stefano - Battesimo Maria Aloysia Magdalena Bersani - febbraio 1830 - Carlo Bersani
Matrimonio Gabriele Quattrocchio anni 27 figlio di Pietro e Bersani Maddalena anni 28 figlia di Carlo - 4 febbraio 1858 - Parrocchia di Pietro e Paolo Sacerdote Ignazio Bersani - Testimone Giovanni Curone
Marchesi di Pomaro 1734 - Conti di Olivola;
Consignori di Lazzarone, Ottiglio.
Blasonatura: Interzato in fascia:al 1°dell'Impero;d'Azzurro
al Castello d'Argento, addestrato da una Rosa dello stesso, bottonato d'oro
sinistrato da una mezza Luna,d'argento;al 3°Bandato d'Argento e di Rosso.
Tratto da "Biografia degli uomini illustri
tortonesi" di Giacomo Carnevale -1838: Curone Eustorgio, uomo molto facoltoso
del Borgo di Ponte Curone, con suo testamento anno 1210, istituiva in erede
delle di lui case e possessioni li RR.PP. di San Pietro dell'Ordine di San Basilio
con l'obbligo di erigere in quel borgo un ospizio per ricovero degli infermi
e dei viandanti.
Curone Guido, De Merlasino Gandulfus, Bernardus Abellus, Ianonus Malaparabola
e Obertus de Opyzo furono destinati Consoli per l'anno 1191. Fecero restaurare
il Palazzo del Comune e si occuparono del riadattamento delle pubbliche strade,
in special modo della Via Emilia e della Via Postumia.
Curone Valentino - Castelnuovo Scrivia - fioriva nel 1356 ed esercitò
per molti anni la medicina, con ottimo successo, in Tortona.
Blasonatura: d'oro, alla banda d'azzurro, ondata,
carica di tre gatti d'argento macchiati di nero.
Tratto da "Biografia degli uomini illustri
tortonesi" di Giacomo Carnevale -1838: Gatti
Antonio, nato da famiglia assai distinta del luogo di Garbagna della provincia
tortonese. Fu professore nell'Università di Pavia De Actionibus: autore
dell'Historia Gymnasii ticinensis mediolani 1704. Morì in Pavia nel 1721
ed è citato nelle memorie storiche della città di Pavia del Capsoni
- vol. 2 - pag. 19.
Blasonatura: d'azzurro a tre stelle d'argento
(Patriziato Subalpino To)
Tratto da "Biografia degli uomini illustri
tortonesi" di Giacomo Carnevale -1838: Maggi Giovanni Battista, arciprete
di Ponte Curone, che fioriva sul finire del secolo XVIII, lasciò un trattato
dei feudi scritto con molta diligenza e pieno di osservazioni importanti e di
soda dottrina avvalorata da vasta erudizione (V.Marliano).
Blasonatura: d'argento a tre stelle d'oro. (Patriziato
Subalpino)
La famiglia Stella è una delle più
antiche di Sicilia e del Regno di Napoli. Nelle note delle "Centurie"
di Fr. Estevan de Barallas e Giayme Marquilles annoverano tra i cavalieri armati
dell'Imperatore Carlo Magno, in Barcellona, quando guerreggiava contro i mori
di Spagna, Guglielmo Stella, uno dei primi Baroni di quella provincia e lo scrive
parimenti Giovanne Vespertillo nella sua "Cronica di Catalogna" al
foglio 328. In seguito passò con la Regina Costanza, figlia del Re d'Aragona,
casata con Re Federico I che poi fu Imperatore detto Federico II in Sicilia
dove procreò Guerao, Guglielmo, Abertino, Incerano, Pietro e Girolamo.
Conti di Vonzo; signori di Castelnuovo Bormida;
Consignori di Castelnuovo Scrivia, Lazzarone.
Tratto da "Biografia degli uomini illustri
tortonesi" di Giacomo Carnevale -1838: Giovanni Grassi, professore di diritto
civile all'Università di Pavia, veniva nel 1427 eletto Consigliere ducale:
onorato dal suo Principe, venerato da tutti, morì nel 1440. Luca Grassi
- figlio di Giovanni - era lettore di diritto civile nella insubrica Università
dal 1460 al 1466.
Pietro Grassi professore di giurisprudenza nell'Università ticinese per
30 anni.
Pietro Giovanni Grassi dell'Ordine dei Domenicani lesse nei sacri canoni dal
1494 al 1499.
Blasonatura: secondo Berruti, in Tortona Insigne, i Grassi consignori di Castelnuovo
Scrivia, portavano:Scaccato di nero e d'argento, con il capo d'oro, carico di
un'aquila coronata, di nero "...anche nel
Basso Piemonte insistono diverse famiglie Grassi, un ramo di questi estinto
nella famiglia di mia nonna paterna "Scarabelli" ha lasciato diversa
documentazione storica dal 1400 fino ai primi dell 1800 epoca in cui si estinse.
(Fabio Gaspare Curone)
Tratto da "Biografia degli uomini illustri
tortonesi" di Giacomo Carnevale -1838: Luigi
Sacarabelli, nato a Castelnuovo Scrivia il 5 ottobre 1775. Tenuto dai religiosi
suoi fratelli in conto d'uomo di raro ingegno, di maturo consiglio e di santa
vita. Fu nominato alle prime cariche di quell'Ordine. Da S.M. Vittorio Emanuele
- 1802 - fu incaricato di riordinare i conventi del suo istituto aboliti dal
precedente governo (legge 4 ottobre 1802), quindi lo elesse Vescovo di Sarzana
e Brugnato e fu consacrato in Genova il 17 dicembre 1820. Rinunciò quel
vescovdo il 26 aprile 1836 e si ritirò presso i suoi confratelli in Sarzana.
Il Rev. P. Pio Vincenzo Scarabelli - figlio di Cristoforo - fu per quaranta
e più anni professore di teologia nel Collegio di Tortona, Prefetto di
quelle regie scuole, pendente il ministero del Conte Graneri, venne proposto
a professore di dogmatica nel regio Ateneo di Torino. Morì il 6 marzo
1826 all'età di 86 anni e fu tumulato nella chiesa di S. Maria de' Canali
in Tortona. Non era solo profondo teologo, ma anche dotto filologo, assai perito
nella musica, nella pittura e nella poesia. Paolo Francesco Scarabelli - da
Castelnuovo Scrivia - dottore di medicina era già lettore della sua Facoltà
in Pavia quando il 16 giugno del 1666 gli venne accresciuto quasi del doppio
lo stipendio. Nel 1669 il Comune di Castelnuovo gli accordava l'esenzione da
carichi reali e personali per i di lui meriti in data 25 novembre.
Definizione Antica famiglia Piemontese - Arma
in uso alla famiglia attuale :nel 1° d'azzurro alla stella (6) d'oro, nel
2° scaccato di nero e d'argento col capo d'oro carico di un'aquila coronata
di nero (Marozzi, Raccolta Franchi Verney : da sigilli e pastorali di Mons.
Luigi Scarabelli, vescovo di Sarzana). Altre fonti: Giornale Araldico Genealogico
1898-900, 214; Julia Dertona, marzo 1907; Cartari di Rivalta (I257 e II116)risalenti
al 7 agosto 1194; Cartario Alessandrino II, 320 e Rigestum Comunis Albe II,41;
Tortona Insigne del Prof. Aldo Berruti, pubblicato nel 1978 dalla Cassa di Risparmio
di Tortona (Volume Rarissimo )
Blasonatura: d'azzurro, alla banda d'argento,
orlata e cucita d'oro. (Patriziato Subalpino)
Secondo le mie ricerche Bersani deriva da Berzano.
Dalla "Biografia degli uomini illustri tortonesi" di Giacomo Carnevale
-1838 trovo Berzano tra i benefattori insigni delle opere pie: Berzano Ramondo,
dicendente da famiglia la quale venne di Grecia in Modona, ed indi in Tortona,
ove prese stanza e fermò la famiglia sua (vedi Scaglioso, pag. 27). Berzano
Ramondo fu quegli che con testamento 9 giugno 1188 - indizione VI rogato Fulchino
notaio imperiale - ordinò che con le sue sostanze si erigesse uno spedale
vicino al Monastero di San Simone, ove i poveri venissero ricevuti e nutriti,
non meno che i pellegrini.
DOCUMENTO PER GENTILE CONCESSIONE DEL SIGNOR HERMES QUATTROCCHIO
PARROCCHIA DI SS. PIETRO E PAOLO DIOCESI DI TORTONA (AL) CASTELNUOVO SCRIVIA
Quattrocchio Pietro Angelo
Gabriele nato 25 marzo 1835 da Carlo Maria
fu Pietro e da Francesca Cermelli fu Stefano padrino: Pietro Stringa
Bersani Maria Aloisia Maddalena nata 10.02.1830
da Carlo e Giuseppa Ortelli - padrino: Carlo de Angelis
Bersani Maria Magdalena nata 21 aprile 1831 da Carlo e Giuseppa Ortelli - padrino:
Lorenzo Torti
Quattrocchio Ernesto
Luigi Pietro Carlo nato 8 gennaio 1859 da
Gabriele e Bersani Maddalena padrino: Bersani Paolo
e Stringa Margherita
La Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro
e Paolo risale al XII secolo, ricostruita tra il XVI ed il XVII secolo,
ha subito numerosi restauri e rifacimenti, alcuni di grande importanza. Originariamente
era a croce latina e aveva la facciata rivolta verso via DAzeglio; al
tempo di Federico Barbarossa il vecchio edificio fu ampliato, la pianta fu modificata
e la facciata rivolta verso la piazza. La chiesa assunse lattuale aspetto
nel 1588, con ogni probabilità su progetto di Pellegrino Tibaldi; nel
1621 il Papa le concesse il titolo di Insigne Collegiata.
Dellantica pieve si ha testimonianza a partire dal 1184, ma le attività
del cantiere si possono circoscrivere tra il 1165 ed il 1183. Appartengono a
questo periodo i pilastri occidentali del quadrato dincrocio fra il corpo
longitudinale ed il transetto, la navata minore meridionale e parte del muro
della facciata sud del transetto, dietro lorgano, decorata da un fregio
di archetti pensili a pieno centro. La facciata, mai completata, conserva il
portale originario, datato 1183 e firmato da magister Albertus. Nella lunetta
sono scolpite le scene di Sansone che smascella il leone e di "Davide
che salva il gregge assalito dal leone. I capitelli di sinistra riproducono
una serie di grifoni, mentre quelli di destra rappresentano scene di vita nelle
diverse stagioni dellanno. La chiesa presenta una pianta a cinque navate,
quella centrale è sorretta da dieci grandi colonnati di granito, quelle
esterne si configurano come cappelle laterali rialzate e delimitate da balaustre.
La zona presbiteriale ha terminazione semicircolare. Al suo interno sono presenti
tele di artisti locali (Pietro Grassi, Tirsi Capitini, Francesco Mensi). Di
grande interesse artistico la cappella del SS. Sacramento, detta anche capella
lunga. Particolare attenzione merita poi lUltima cena del castelnovese
Alessandro Berri, nipote di Vincenzo Bandello, custodita nella cappella in fondo
alla navata sinistra. In controfacciata si segnala un affresco del XV secolo,
rappresentante la Madonna della Misericordia, attribuito a Quirico Boxilio da
Tortona.
DIZIONARIO TOPOGRAFICO DEI
COMUNI COMPRESI ENTRO I CONFINI NATURALI D'ITALIA
di Attilio Zuccagni-Orlandini - 1861
Castellinovi Scrivia: (Piemonte). Prov. di Alessandria ; circond. di Tortona; mand. di Castelnuovo Scrivia. In amena pianura presso le sponde dello Scrivia giace questo Castelnuovo col distintivo preso dal fiume. Fino dal quinto secolo questo castello era stato fortificato con ordine di Teodorico: più tardi lo munirono di nuove difese i Tortonesi perché servisse loro di antemurale contro gli abitanti di Pavia. Popolazione. 6920.
Partigiani - Castelnuovo Bormida
La tabella che segue si basa sulla ricerca Partigianato
piemontese e società civile realizzata dagli Istituti piemontesi
della resistenza e della società contemporanea. La ricerca ha preso in
considerazione le schede di smobilitazione dei partigiani delle formazioni che
hanno operato nella zona di Castelnuovo Bormida, i dati si riferiscono quindi
a tutti coloro che hanno avuto la qualifica di: PARTIGIANO ossia coloro
che hanno partecipato a pieno titolo per almeno tre mesi alla vita di distaccamento
- PATRIOTA e BENEMERITO qualifica riservata a coloro che con continuità
hanno collaborato con le formazioni ... Palmas
(nome partigiano) Quattrocchio Giuseppe - nato
22/09/1925 a Alessandria residente in Castelnuovo Bormida - Brigata Candida
- partigiano - scuola navale studente - matr.VC08665
Ruoli Matricolari - Distretto di Torino - Archivio di Stato di Torino
QUATTROCCHIO DOMENICO
- classe 1882 - matricola 14302, registro 68
QUATTROCCHIO DOMENICO - classe 1904 - matricola
21889, registro 425
QUATTROCCHIO DOMENICO - classe 1904 - matricola 62436, registro 437
QUATTROCCHIO GIACOMO - classe 1890 - matricola
17911, registro 181
QUATTROCCHIO GIACOMO - classe 1890 - matricola 45830, registro 190
QUATTROCCHIO GIOVANNI - classe 1879 - matricola 14079BIS, registro 43
QUATTROCCHIO GIOVANNI BATTISTA - classe 1892 -
matricola 55403, registro 231
QUATTROCCHIO GIOV. BATT. - classe 1892 - matricola 21091, registro 220
QUATTROCCHIO GIUSEPPE - classe 1891 - matricola
19417, registro 200
QUATTROCCHIO GIUSEPPE - classe 1895 - matricola 2295, registro 275
QUATTROCCHIO GIUSEPPE - classe 1895 - matricola 2615, registro 276
QUATTROCCHIO MATTEO - classe 1909 - matricola 25208,
registro 504 - Padre: PIO BATTISTA QUATTROCCHIO
Madre: ANNA BURZIO Luogo nascita: località CARMAGNOLA provincia (attuale)
TORINO .Nato 30 dicembre 1909
QUATTROCCHIO MELCHIORRE - classe 1907 - matricola
12331, registro 467
Aeronautica Militare - Difesa - Elenco Nominativo dei Militari di A.M. decorati V.M. nel periodo 1929 1945 dalla M - Z
QUATTROCCHIO Teresio Capitano Pilota di Alessandria guerra di Libia Medaglia d' Argento 1928 disperso 8
Provincia di Torino. Il Comune di Poirino è confinante
con i seguenti Comuni: Villanova d'Asti, Isolabella, Cellarengo d'Asti, Pralormo,
Ceresole d'Alba, Carmagnola, Villastellone, Santena, Chieri e Riva presso Chieri.
Antichi statuti di Poirino. Quali fossero i primi compilatori
statuti di Poirino non è ben noto; ma siccome i primieri codici municipali
altro non furono se non se la prudente raccolta delle consuetudtni, secondo
le quali si governava il popolo, così ci sembra probabile, che i poirinesi
non cercassero fuori della loro patria gli uomini capaci di raccogliere le medesime.
Si vuole osservare che nelle copie più antiche degli statuti che conservansi
in Poirino si dice che le prime edizioni ne furono fatte a lode e ad onore del
marchese di Monferrato; dal che si può dedurre che questo municipio ebbe
i proprii statuti sin dal secolo XIV.
POIRINO, capo luogo di mandamento nella provincia di Torino, secondo la cronaca di Francesco Arpino Poirincse ha prodotto le seguenti famiglie, cioè gli Aymeri, gli Alfaci, i Deabate, gli Ansaldi, gli Appendini , gli Arpini, i Boschi, i Boelli, i Boglioni, i Brosso, i Burzi, i Cernititi, i Colli, i Cornalia, gli Elia, i Faberii, i Falchetli, i Ferreri, i Garigliani, i Gorretla, i Loyra, i Lomelli, i Lupi, i Majna, i Marucchi, i Meinaldi, i Monlafìa, i Quattrocchi, i Ripa, i Santi, gli Sclaverani, i Serafini, gli Stuerda, i Tacchi, i Vernoni, i Valienghi, ed i Zappatla. Queste famiglie trasferirono il loro domicilio in altre terre, e in varie città del Piemonte, e conseguirono titoli di nobiltà. I Maina ebbero il feudo della Cassa, e diedero onorati capitani, e dottori di leggi: di essi furono: Olivero, capitano di Ludovico li re di Francia : Francesco auditore nella camera dei conti, di cui fu poscia secondo presidente: Filiberto signore della Cassa, e consignor di Canale, luogo tenente di cavalleria, e capitano di milizia : Girolamo dottore di leggi, il quale fu giudice d'Asti e di Vercelli , e successivamente auditore della Ruota Luchese, vicario di Chieri nel 1370, capitano di giustizia, e senatore in Torino: il suo figliuolo Giorgio cavaliere dell'ordine mauriziano, fu colonnello delle torinesi milizie: I Santi già sin dall'anno 1200 possedevano alcune decime feudali nel territorio di Poirino, e venivan chiamati col titolo di signori: di essi un Giuliano ed un Matteo fratelli, che si erano procacciato la grazia del duca Carlo Emmanuele di Savoja, stabilirono due rami della loro prosapia in Piemonte, cioè uno in Saluzzo, che ebbe con titolo comitale il feudo di Melle, e quel di Frassino nella valle di Varaita, e l'altro in Pinerolo, che investito di una parte del feudo di Castiglioni, Fallelto. La famiglia Bolla già signora del castello di Osasco, circa il 1500, venne dalla città d'Asti ad abitare in questo luogo. I Loyra di Poirino ebbero il feudo di Mongrado, una porzione di Giaveno, e giurisdizione su altri luoghi. Di questa prosapia fu Giovanni Paolo Antonio conte di Mongrande signore di Mongiovetto, consignore di Cenone, Netro, Cossato: ebbe la carica di prefetto di Pinerolo, e poi quella di senatore in Torino: venne insignito delle divise dell'ordine dei Santissimi Maurizio e Lazzaro; morì nel 1656. I Quattrocchi di Roma. V. Blioul in nota. Sono stati Conservatori al Campidoglio e Capi Rioni come Pietro, Domenico, Agostino, Papirio e Gometio Quattrocchio, Cubicolari come Flaminio: morì nel 1644 e sepolto nella chiesa della S.S. Trinità dei Pellegrini.(di cui fu Benefattore).
Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. di Vittorio Angius 1847 - Antichi Distinti Casati di Poirino
"Antichi distinti Casati di Poirino"... Il cronista ne rammenta parecchi: gli Aymeri, gli Alfaci, i Deabate, gli Ansaldi, gli Appendini, gli Arpini, i Boschi, i Boetti, i Boglioni, i Brosso, i Burzi, i Cerrutti, i Colli, i Cornalia, gli Elia, i Faberii, i Flachetti, i Ferreri, i Garigliani , i Gorretta, i Loyra, i Lomelli, i Lupi, i Majna , i Marucchi, i Meinaldi, i Montafia, i Quattrocchio, i Ripa, i Santi, gli Sclaverani, i Serafini, gli Stuerda, i Tacchi, i Vernoni, i Vaglienghi, ed i Zappatta. Queste famiglie trasferirono il loro domicilio in altre terre, e in varie città del Piemonte e conseguirono titoli di nobiltà.... come i Quattrocchio/Quattrocchi che si trasferirono a Roma, dove erano gia presenti .
DIZIONARIO TOPOGRAFICO DEI
COMUNI COMPRESI ENTRO I CONFINI NATURALI D'ITALIA
di Attilio Zuccagni-Orlandini - 1861
Poirino (Piem ) Prov. di Torino; circond. di Torino ; mand. di Poirino. Della sua antichità non vedonsi che gli avanzi di castelli ed un' alta torre quadrata. Vuolsi fondato dai romani ; fu preso dai francesi nel 1537 e nel 1639. Incontrasi questo capoluogo sulla strada reale ed è bagnato dal torrente Banna. Popol. 6391.
POIRINO AI PRODI SUOI FIGLI CADUTI NEL NOME E PER LA GRANDEZZA DITALIA 1915-1918 1940-1945
(Nomi lato sinistro) TENENTI BONGIOVANNI ANTONIO, MAINA BALDASSARRE, MAINA DOTTOR TOMMASO, MAROCCO ANTONIO. SOTTO TENENTE ALISIO DONATO, ASPIRANTI UFF. APPENDINO ENRICO, MAROCCO CESARE, SERGENTI GIODA PIETRO, MAROCCO GIOVANNI, RONCO GIOVANNI, CAPORALI MAGG. BROSSA GIACOMO, GASTALDI DOMENICO, GORGELLINO LUIGI, QUATTROCOLO GIACOMO, QUATTROCOLO GIOVANNI, RICCA ALESSANDRO, RICCA MATTEO, STUARDI FRANCESCO, VICO FRANCESCO, VILLATA SEVERINO, CAPORALI CHIAUDANO GIUSEPPE, ELIA GIOVANNI, GIODA FILIPPO, MAROCCO GIOVANNI, MAROCCO GIUSEPPE, RONCO GIUSEPPE, RIETTO GIUSEPPE, SMERIGLIO GIOVANNI, CARABINIERE TORTA FRANCESCO, SOLDATI ANSALDI GIOV.BATTISTA, APPENDINO ANTONIO, APPENDINO TOMASO, AVATANEO ANTONIO, AVATANEO GIUSEPPE, BECHIS MICHELE, BERRINO MATTIA, BERTERO FRANCESCO, BESUZZO ANTONIO, BOASSO ANTONIO, BOLLEA FRANC. DI FRANC. BOLLEA FRANC. FU TOMMASO, BOSCO GIUSEPPE, BOSCO MICHELE, BOSCO VINCENZO, BROSSA ANTONIO, BROSSA GIUSEPPE, AVATANEO LUIGI, BERTERO AGOSTINO, BROSSA GIOVANNI ELIA GIOVANNI BATTISTA, VISCONTI PIETRO, FABARO GIUSEPPE, SERRA GIUSEPPE (Nomi lato destro) BROSSA GEROLAMO, BURZIO DOMENICO, BURZIO GIUSEPPE, BURZIO MICHELE ,CAVAGLIA PIETRO, CAVAGLIATO GIOVANNI, CICERI FRANCESCO, CICERI GIUSEPPE, DELBOSCO ANTONIO, DELBOSCO MATTEO, DELBOSCO PIETRO, DONDERI ANTONIO, FASANO GIUSEPPE, FOGLIATO GIUSEPPE, GAMBINO FRANCESCO FU ANTONIO, GAMBINO FRANC. DI G.B., GARIGLIANO ANTONIO, GARIGLIO GIO.BATTISTA, GROSSO LUIGI, LANFRANCO CARLO, MAROCCO AGOSTINO, MAROCCO FRANCESCO, MAROCCO GIO.BATTISTA, MAROCCO GIACOMO, MAROCCO MICHELE, MAROCCO TOMASO, MINA GIACOMO, MINCHIANTE FILIPPO MINCHIANTE GASPARE MINELLI EMANUELE NAVONE FELICE NOVARINO GIO.BATTISTA PALMA EUGENIO PAVESIO ANTONIO PIOVANO DOMENICO PIOVANO FRANCESCO QUATTROCOLO DOMENICO, QUATTROCOLO TOMASO RICCIO VINCENZO RICHETTA GIOVANNI RIETTO GIUSEPPE RONCO FRANCESCO RONCO GAETANO RONCO STEFANO SERRA MATTEO SERRA VINCENZO SIBONA FRANCESCO SODERO PIETRO STELLA GIUSEPPE STUARDI DON GIO.BATT. STUARDI MICHELE DI A. STUARDI MICHELE TACHIS MASSIMO, TAMIATTO CARLO, TORTA GIUSEPPE, VASCHETTO MAURIZIO, VIRANO ANTONIO, VIRANO DOMENICO, ZAPPINO MICHELE, GIRAUDO ANTONIO, QUATTROCOLO CLAUDIO, VIRANO PIETRO DI GIOVANNI, MAROCCO MARTINO, MAINA GUGLIELMO, FOGLIATO SEBASTIANO, GOLA LUIGI, ALBERTI GIACOMO, ALLADI GIUSEPPE, AVATANEO ANTONIO. Simboli: Il simbolo principale del monumento è la figura del fante, senza alcun armamento, con il pastrano aperto sul petto nudo, che tiene accanto a se un fanciullo. Sopra di essi è presente lo stemma del Comune di Poirino.
ARCHIVIO DI SAN COLOMBANO - BOBBIO LISTA NOBILI FAMIGLIE 1553 - 1611
Ed in conferma delle eloquenti parole del sig.
marchese Senatore circa quelle nobili emigrazioni in Bobbio, daremo qui l'elenco
alfabetico delle antiche famiglie estinte o vigenti, che trovansi descritte
in una pergamena dell'anno 1611, la quale si rinvenne nell'Archivio di San Colombano
qual prova evidente dell'italianità dei casati che fino a quei tempi
formavano la popolazione bobbiese
1 Albedi - 2 Alpegiani - 3 Alveraldi - 4 Amici
- 5 Aurigi (De) - 6 Buccarini - 7 Baccigalupi - 8 Budelli 9 Ballerini- 10 Barba
vari - 11 Barbarini- 12 Bellocchi -13 Berni -14 Berni da Villori -15 Bertolasii
-16 Bensì -17 Berni -18 Bertoni -19 Borgo Deli -20 Boccatii -21 Boioli
-22 Boriotti -23 Borelli -24 Bozzelli 25 Brugnatelli -26 Brugnoni -27 Brugnelli
-28 Burcellarif -29 Caccia -30 Callegarii -31 Calamarii 32 Cambiagli -33 Cariiseli
-34 Caldini -35 Castelpelu -36 Castelli -37 Cavatina -38 Caviglioni -39 Cella
-40 Cerri -41 Campiani -42 Cicardi -43 Cicutis -44 Cigali -45 Cirgnali -46 Civardii
-47 Chiesa -48 Chiodi -49 Colleri -50 Colombii -51 Corti de RiillHtis -52 Correni
-53 Cozzii -54 Crovetti -55 Delborghi -56 Dellomo -57 Donati -58 Draghi -59
Farinii -60 Flegarii -61 Folidonii 62 Follinii 63 Fraschetti -64 Frassinelli
-65 Galli -66 Gallacii -67 Garbarmi -68 Gentili -69 Ghigliani -70 Giorgii -71
Giuliani -72 Grassi -73 Gravani -74 Guglielmetti -75 Lavagnini -76 Liseli -77
Lopez -78 Losina -79 Losii -80 Lusardi -81 Luschis 82 Machiavelli - 83 Maggi
-84 Malaspina -85 Malchiodi -86 Manni -87 Megliorini -88 Maschii -89 Massa -90
Monfasano -91 Montebruno -92 Monti -93 Monticelii -94 Morelli -95 Mozzi 96 Nicelli
-97 Nigrino -98 Oddoni -99 Opizzo -100 Oltramonti -101 Palmarini -102 Patentini
-103 Pasquali -104 Perotti -105 Petranigra -106 Peveri -107 Pianelli -108 Piazzoli
-109 Piccoli -110 Pergni -111 Quattrocchii
-112 Respiggi -113 Bozzoni -114 Scaccalardo 115 Scaglioni -116 Scrocchii -117
Sbarbori -118 Spaggi -119 Spiritelli -120 Spissia -121 Silva -122 Tagliaferri
-123 Taffirelli -124 Tidone -125 Torri -126 Ulmelini -127 Ulmionus -128 Vagoli
-129 Valdelerba -130 Verme (Del) -131 Vintrii -132 Zarubianchi -133 Zandalasini
-134 Zanacchii.
Tutte queste famiglie erano già stabilite
in Bobbio fino dal 1533, e molte di esse erano già doppie, cioè
divise per rami, cosicchè 60 delle medesime pagavano il canone enfiteutico
al monastero di S. Colombano, ed altre si erano già in parte liberate
di tale servitù.
Bobbio illustrato - di Benedetto Rossetti - 1795
Tutti i nomi segnati colla croce sono di famiglie estinte. In data 1795 viene riportata la Famiglia Quattrocchi.
Archivio di Stato di TORINO - Super Fondo Materie Ecclesiastiche - Fondo Abbazie Serie Bobbio San Colombano
mazzo 15, fasc. 58 - 1324/11/04 - Bobium
super pontile monast. S. Columbani [Bobbio, Piacenza, Emilia Romagna,
Italia] Pergamenaceo
Nazione Italia Soggetto Conservatore: Archivio di Stato di TORINO Super Fondo
Materie Ecclesiastiche (272476) Fondo Abbazie (272934) Serie Bobbio San Colombano
(275650) Sottoserie Priorati rettorie etc. (003) Unità Documentale Giacomo
Quattrocchi, ( Jacobo ) Priore
della chiesa di San Martino, concede in enfiteusi a ... (UD39001519)
Denominazione
Data Topica Bobium in claustro monast. S. Columbani [Bobbio, Piacenza, Emilia
Romagna, Italia] . Estremi Cronologici 1316/01/19
Regesto Giacomo Quattrocchi, Priore della chiesa
di San Martino e membro del monastero di San Colombano di Bobbio, concede in
affitto per venticinque anni a Pasquale
de Ambrosio diversi beni stabili posti nel territorio di Isola
di San Martino, dietro il pagamento di un canone annuo pari ad un quarto dei
frutti.
Denominazione
Data Topica Bobium super pontile monast. S. Columbani [Bobbio, Piacenza, Emilia
Romagna, Italia] . Estremi Cronologici 1324/11/04
Regesto Giacomo Quattrocchi, Priore della chiesa
di San Martino, concede in enfiteusi a Colombo de Pontremullo
due appezzamenti di terreno posti in località Cavana, dietro il pagamento
di un canone annuo pari a due stai di frumento ed il laudemio di due galline.
Denominazione
Data Topica Bobium in monast. S. Columbani [Bobbio, Piacenza, Emilia Romagna,
Italia] . Estremi Cronologici 1325/09/16
Regesto Jacobo Quattrocchi, Priore della chiesa
di San Martino, concede in enfiteusi a Pasquale de Ambrosio
un appezzamento di terreno posto al di là della Val Trebbia, in località
Isola di San Martino, dietro il pagamento di un canone annuo pari a due staia
di vino ed il laudemio di due capponi.
Denominazione
Data Topica Bobium [Bobbio, Piacenza, Emilia Romagna, Italia] . Estremi Cronologici
1328/01/24
Regesto Jacobo Quattrocchi, Priore della chiesa
di San Martino, concede in enfiteusi per anni ventinove a Giovannino
de Coquis per una metà, e a Simone di Calzadona
per l'altra metà, due appezzamenti di terreno posti rispettivamente in
Campo Porcario e Cavana,
territorio di San Martino, dietro il pagamento di un canone annuo pari ad un
emina ed un terzario di frumento ed il laudemio di dieci soldi di moneta imperiale.
Note - il documento riporta la data del 1327 gennaio 24, considerando l'utilizzo
dello stile dell'incarnazione si attribuisce criticamente l'anno 1328
BOBBIO
- è un centro noto per il suo passato culturale e i suoi monumenti, oggi
è nei fatti, oltre ad ambita meta turistica, il centro di riferimento
per tutto il bacino della valle e zone limitrofe, la sua posizione in riva sinistra
del fiume Trebbia ne caratterizza l'impianto urbanistico, essendo il fiume arteria
di collegamento per le genti sin dall'antichità e luogo di confine tra
culture diverse ma con storie correlate, segnatamente: Piacentini, Liguri, Piemontesi
e Pavesi. La città e i suoi dintorni sono
da sempre oggetto di studio e ricerca sotto aspetti molteplici: geologici, culturali,
ambientali; in relazione,anche, con l'assetto del territorio appenninico, di
interesse culturale e filologico la storia passata, motivi tutti che concorrono
a rendere la città un vero e proprio angolo di interesse internazionale.
Fondata intorno al IV secolo dai romani, si sviluppò
grazie a San Colombano, agli abati e ai monaci colombaniani a partire dal VII
secolo. Il monaco irlandese S. Colombano presentavasi in Milano al Re Longobardo
Agilulfo verso il 595, ed otteneva la facoltà di fondare un cenobio nella
vallicella irrigata dal Bobbio. Dai primi che ivi si consacrarono a vita eremitica,
furono attirati i circonvicini montanari a dissodare gli incolti terreni. Frattanto
il Monastero arricchivasi, e presto nacque la smania di promiscuare la loro
giurisdizione ecclesiastica col dominio temporale. Lunghi contrasti sostennero
quei monaci per tal ragione ; sembra poi che verso
il 1076 conservassero tuttora il titolo di Domnus.
Fu per tutto il Medioevo un importante centro monastico,
facendone una Montecassino dell'Italia settentrionale e d'Europa.
Historiae patriae monumenta - 1895
... Arcus Quatuor oculi, Petrus Pizinus de ...
Doc. vogheresi dell'archivio di Milano
A Voghera i Quattrocchio sono presenti almeno due anni prima ove Giovanni è teste in istrumento del 13 febbraio 1153 con cui i fratelli Richizano vendono beni ivi al monastero di S. Maria Teodota di Pavia (Doc. vogheresi dell'archivio di Milano, 99);
Arco Quattrocchi è teste in atto del 28 maggio 1183 con cui i Ponticelli, padre e figlio, cedono al monastero del Salvalore beni nell'omonimo luogo di Monticelli (Doc. di Pavia relat. a Voghera, 72);
Giovannone è teste in atto dell'8 gennaio 1231 con cui l'abate di S. Marziano di Tortona revoca l'elezione di Rollario Cetta a console di Cagnano ed elegge Pietro Rossi (Doc. tortonesi relat. a Voghera, I, 115)
L'INDUSTRIA COTONIERA IN PIEMONTE NEL SECOLO XIX- Pagina 9 di Valerio Castronovo
Fratelli G. e M. Bordis 1788 Voghera G. Quattrocchio 1790 Breme CG Arrigo 1790 Oleggio D. Gola 1791 Cassine C. Pera '79' ...
BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ STORICA SUBALPINA Diretta da FERDINANDO GABOTTO XXXIX VOLUME PUBBLICATO SOTTO IL PATRONATO DELLA CITTA DI VOGHERA V. LEGÈ E F. GABOTTO DOCUMENTI DEGLI ARCHIVI TORTONESI RELATIVI ALLA STORIA DI VOGHERA AGGIUNTEVI LE Carte dell'Archivio della Cattedrale di Voghera Indici compilati da G. M. SARTORE PINEROLO TIPOGRAFIA GIÀ CHIANTORE-MASCARELLI 1908 Corpus Chart. Italiae, XXV.
PREFAZIONE Il presente volume doveva essere in origine il
XXXI della Biblioteca della Società Storica Subalpina, di cui i volumi
XXIX e XXX contengono Le carte dell'Archivio Capitolare di Tortona fino al 1313,
e fu preparato e cominciato a stampare contemporaneamente ai medesimi, quando,
in occasione dell'VIII Congresso storico subalpino che si doveva tenere e si
tenne poi effettivamente in Tortona nel settembre del 1905 , si era pensato
ad una seduta in Voghera, nella quale sarebbe stato offerto il volume stesso
ai congressisti. In realtà, questa seduta non ebbe luogo, essendosi stabilito
di consacrare invece a Voghera il Congresso, con una grande publicazione documentaria,
di cui questo volume viene quindi a far parte, senza perdere perciò il
carattere derivantegli dalla sua origine e le attinenze strettissime coi volumi
XXIX e XXX della Biblioteca. La storia di Voghera, posta fra Tortona e Pavia,
come fra Pavia e Piacenza, e Pavia e Genova, è naturalmente connessa
con quella di tutte le città circostanti ; ma rispetto alle due prime
i rapporti appaiono molto più vivi e di maggiore importanza. Infatti
Voghera, mentre dipendeva ecclesiasticamente da Tortona, di cui il vescovo accampava
diritti comitali su di essa, forse appunto per questa circostanza medesima volgeva
ogni sua simpatia verso la nemica naturale di Tortona, ch'era precisamente Pavia.
Non è questo il luogo di accennare, anche solo di sfuggita, l'intreccio
di diritti, di pretese e di tatti, per cui da lotte ecclesiastiche fra il vescovo
di Tortona e monasteri pavesi aventi possessi in Voghera e nel suo territorio
venne sorgendo e svolgendosi l'ostilità fra Voghera stessa, appoggiata
da Pavia, ed il vescovo e poi anche il Comune di Tortona. Ma di qui certo, col
rilievo speciale di quanto riguarda le relazioni di Voghera con Tortona, la
connessione dei fondi documentari, per cui carte degli archivi vogheresi gettano
grande luce sulla storia di Tortona, e negli archivi tortonesi, reciprocamente,
abbondano gli atti che interessano Voghera. I documenti compresi nel presente
volume sono tali da potersi mal separare da quelli publicati nei volumi XXIX
e XXX, mentre, d'altra parte, senza di essi la storia vogherese rimarrebbe monca,
incompleta e talvolta poco chiara, se non a di- rittura incomprensibile. Sono
tra essi, in primo luogo, tutte le carte dell'Archivio Capitolare di Tortona
fino al 1313, appositamente omesse nei volumi XXIX e XXX perchè relative
a Voghera od a luoghi del Vogherese, per quanto concernenti anche la Chiesa
di Tortona. Frammisti cronologicamente sono altri documenti dei due Archivi
Vescovili, cioè della Mensa e della Curia, ai quali vanno uniti, sempre
secondo l'ordine cro- nologico, gli atti del monastero di Sant'Eufemia di Tortona
non tutti, s'intende, ma quanti direttamente o indirettamente toccano la storia
vogherese , conservati in special modo (oltre i pochi ora nell'Archivio Capitolare)
nell'Archivio Notarile di Tortona, dove però, mancando d'indici e di
qualsiasi ordinamento sorgendo e svolgendosi l'ostilità fra Voghera stessa,
(appoggiata da Pavia), ed il vescovo e poi anche il Comune di Tortona. Ma di
qui certo, col rilievo speciale di quanto riguarda le relazioni di Voghera con
Tortona, la connessione dei fondi documentari, per cui carte degli archivi vogheresi
gettano grande luce sulla storia di Tortona, e negli archivi tortonesi, reciprocamente,
abbondano gli atti che interessano Voghera. I documenti compresi nel presente
volume sono tali da potersi mal separare da quelli publicati nei volumi XXIX
e XXX, mentre, d'altra parte, senza di essi la storia vogherese rimarrebbe monca,
incompleta e talvolta poco chiara, se non addirittura incomprensibile. Dove
però, mancando d'indici e di qualsiasi ordinamento, non si potrebbe escludere
che qualche documento sia sfuggito alle ricerche - pur diligenti, al possibile
- degli editori del presente volume. Uno di questi, poi, il canonico Vincenzo
Legè, ha aggiunto altro materiale di sua proprietà privata,
sia proveniente dall'eredità Manfredi, sia a lui venuto per doni ed acquisti
personali, e l'altro, cioè lo scrivente, ha collazionato sugli originali
o su copie migliori dell'Archivio di Stato di Torino dell'Archivio dell'Economato
dei benefizi vacanti, nella stessa città, quelle carte di cui in archivi
tortonesi erano solo copie, talvolta cattive o molto recenti. Finalmente, nel
riordinamento dell'Archivio Comunale di Tortona, essendo venuto fuori tutto
un gruppo di documenti relativi a Bagnolo ed alla Bagnolasca, complemento indispensabile
di quelli esistenti nell'Archivio Comunale di Voghera , che vengono ad un tempo
publicati dal cav. Armando Tallone, con tutti gli atti del fondo civico vogherese
fino al 1300, in un volume della Biblioteca ,, parve opportuno inserirli in
Appendice senz'attendere la publicazione di un volume di Documenti sulla storia
del Comune di Tortona, che in quel momento pareva ancora assai lontano, sebbene
oggi sia lieto di annunziarlo omai in preparazione per il Congresso di Voghera
(o, al più tardi, per il successivo), grazie al munifico contributo della
nobile signora Faustina Leardi vedova Bellingeri,
d'illustre e patriottica famiglia tortonese . Appendice, in un raccogli atti
dell'Archivio Civico di Tortona riguardanti Bagnolo
e la Bagnolasca, furono raccolti documenti trovati
qua e là in vari fóndi (fra cui l'Archivio del conte Emanuele
Morozzo della Rocca, testi originali o copie migliori di documenti tortonesi
relativi a Voghera e territorio), dopo la stampa dei fogli precedenti: ed in
più, altri particolarmente notevoli dal 1314 al 1380. In tutto, sono
190 documenti,, la maggior parte inediti, che sono raccolti nella prima parte
di questo volume: la seconda, di cui si rende breve conto innanzi ad essa, ne
contiene altri 25, che costituiscono l'Archivio della Cattedrale di Voghera
fino al 1304, cogli Statuti capitolari della pieve di San Lorenzo di Voghera
del; 1358 ; in tutto,. 221. Rimane cosi integrata la publicazione dei volumi
XXIX e XXX, e viene fornito alla storia vogherese un contributo prezioso, e
oserei dire indispensabile, di. bolle pontificie, diplomi regi ed imperiali,
atti di legati dell'Impero, deliberazioni dei Comuni di Pavia, Voghera, Tortona
ed altri minori; carte di podestà e di consoli, di abati e di badesse,
di vescovi e di signori ; documenti di varia importanza politica,, giuridica,
economica, sociale. La publicazime è fatta col metodo consueto. Queste
brevi note non potrebbero esser chiuse senza un caloroso ringraziamento degli
editori e della Società Storica Subalpina, sia a tutti coloro che ne
agevolarono in qualche modo l'opera scientifica colla comunicazione di originali
o copie antiche, o facilitazioni nella consultazione archivistica (tra i primi,
specialmente il conte Emanuele Morozzo della Rocca),
(1) Questo volume, che sarà il XXXI della Biblioteca, conterrà,
oltre una nuova edizione più corretta del Chartarium dertonense, senza
le manipolazioni del Costa (d'altronde al suo tempo scusabili), moltissimi documenti
degli archivi di Torino, Tortona, Genova, Milano, etc. Antonio Cavagna Sangiuliani,
il cav. Carlo Giulietti ; tra gli altri, Mons. Bandi vescovo di Tortona, il
Rev. Capitolo di detta città, il parroco di San Lorenzo Voghera, il personale
dell' Archivio Notarile di Tortona e dell'Archivio di Stato di Torino, il signor
Ghigo dell'Economato dei Benefìzi vacanti), sia in modo precipuo al Municipio
ed alla Cassa di Risparmio di Voghera, che stabilirono di sopperire alle spese
di stampa del presente volume prima ancora che fosse decisa la riunione di un
Congresso storico subalpino in Voghera stessa, e la formazione di un completo
corpo documentario vogherese, che resterà certo monumento perenne dell'intelligente
amore di quella città e dei suoi amministratori per la propria storia
gloriosa. A tutti il plauso e la riconoscenza degli amatori dei patrii studi.
Torino, febbraio 1908.
Ferdinando Gabotto.
Tortona, cassa l'elezione dì Rollarlo Getta
in console dì Cagnano ed elegge Pietro
Rossi (8 gennaio 1231).
(S. T.) (1) Anno Domini Nativitatis. MCCXXXI. octavo die intrante Januario Indictione III. in Cagnano dominus Rodulfus Abbatis Monasterij Sancti Martiani Terdonensis. cassavit electionem factam ab eo de Rollano Cepte quem in Consulem dicti loci elegerat et ipsum de Sacramento Consulatus ex iusta causa absoluit et Petrum Rubeum in Consulem dicti loci Cagnani elegit. Et ibidem dictus Petrus Rubeus ìuravit facere consolariam dicti loci bona Me et sine fraudo in voluntate dicti domini Abbatis ad honorem et utilitatem suprascripti . Monasterij Sancti Martiani Interfuerunt Testes Gennarius Grasus, et Joannonus Quatuoroculi et Rufinus de Monte. Ego Albertus de Roxano notarius sacri Palatij iussu suprascripti Domini Abbatis liane cartam scripsi .Quatuoroculi Joannonus, Tortona,1231/71.
VOGHERA - I primi insediamenti sul territorio ora occupato da Voghera risalgono al Neolitico e sono dovuti, probabilmente, al clima mite e alla presenza di corsi d'acqua. L'antica Voghera viene riconosciuta nella romana Iria, erede di un precedente villaggio abitato da popolazioni iberiche, celtiche e da Liguri Iriati (da cui ebbe origine il toponimo). Nel corso degli anni è probabile che l'insediamento venne ripetutamente devastato dal passaggio di vari eserciti, tra i quali quelli di Massimo Magno Clemente (387 d.C.), di Attila (452), dei Borgognoni e dei Rugi (fine IV secolo), e più volte ricostruito. Alla fine del VI secolo Iria ritorna ad essere un villaggio, un vicus per l'appunto, ed è in questo periodo che il nome si modifica, dando origine a quello attuale: Vicus Iriae poi volgarizzato in Vicus Eira e quindi Viqueria. Il borgo medioevale viene edificato sui resti dell'antica colonia romana. Con l'occupazione francese (1796) Voghera, come capoluogo di circondario, appartiene prima al dipartimento di Marengo e poi a quello di Genova. Il 22 giugno 1815, a seguito della restaurazione sabauda, ritorna al Piemonte (nuovamente come Provincia)dopo l'annessione della Lombardia al Piemonte (1859), la Provincia di Voghera, insieme alle vicine di Lomellina e di Bobbio, entra a far parte (come circondario) dei territori con i quali viene costituita la provincia di Pavia. Venne duramente colpita dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, a causa della sua posizione "strategica" all'incrocio tra le direttrici Milano-Genova e Torino-Bologna.
GALLIATE - Novara
La chiesa del Varallino di Galliate: storia e arte di un Sacro Monte in pianura
Archivio parrocchiale di Galliate,
cartella I, sezione II, fascicolo 6 (1757-1778) Pittore Lorenzo Peracino:
cupola, cappella maggiore, coro, sacrestie DOC. I
Necessitando di ristaurazione la Cappella Maggiore di San Pietro Campestre di Galliate per formarvi secondo gli Ordini la residua rappresentazione de Gloriosi Misteri, ed abbisognando per tal effetto ad altra Cappella trasferirne interinalmente il suo Altare per la Santa Messa li presentanei Sindici e Fabbricieri Sacerdote Giovanni Battista Diana, Sacerdote Giovanni Bonaga e Nicola Polastro Umilissimi servi di Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima bramosi di procurarne la perfezzione della sodetta per la maggior gloria di Dio alla medesima ne ricorrono. Umilmente supplicandola per le opportune facoltà, quali ossequiosamente ne vanno sperando che della grazia. Attentis expositis, et accedente consensu Reverendorum Parrochorum petitam concedimus facultatem, servata tamen instructione Fabricae Ecclesiasticae Datum ex Palatio Episcopali Novariae die 10 Maii 1758 Signatum Canonicus Enricus Vicarius et Locus Tenens Episcopali Subscrittum Canonicus Ioannes Antonius Quattrocchi Cancellarius Episcopalis
Ringrazio con affetto la famiglia di Francesca M. Quattrocchio figlia del Comandante Francesco Quattrocchio per le informazioni fornitemi che riporto fedelmente. Agostino Quattrocchio ( mio nonno) nato a Motta dei Conti - Vercelli - ( nato nel 1890 morto nel 1971 ), figlio di Francesco Quattrocchio e Rosa Prati - Le sorelle del nonno Agostino erano tre, Linda, Virginia e l'altra non si sa. Mio nonno si e' sposato due volte. La prima con Vincenza Perucca. Ha avuto da lei una figlia, Maddalena (mia zia) nata nel 1923 e deceduta nel 2000. La prima moglie di mio nonno e' morta molto giovane e lui si e' risposato con Margherita Delrito (mia nonna). Da lei, nel 1930 e' nato mio padre, Francesco Quattrocchio. (Colonnello dell'Aeronautica Militare, passato all'Alitalia divenuto Comandante di Jumbo fino alla pensione). Il nonno Agostino e la nonna Margherita hanno avuto per tanti anni una latteria/gelateria nel quartiere di Torino Barriera di Milano. Mio padre Francesco si ricorda poi un cugino del nonno: Carlo Quattrocchio di Alessandria titolare della fabbrica di biciclette a suo nome. Una discendente di questi Quattrocchio e' Nanda ( forse Fernanda ) nata 1930 figlia di Teresio Quattrocchio. Teresio era Capitano Pilota dell'Aeronautica militare (all'inizio della storia dell'Aviazione Italiana ). Teresio e' morto allAeroporto di Ciampino ( Roma) nel 1930. Nanda si e' sposata con Ezio Bellino (sindaco di Ticineto Po') e ha avuto un figlio - Roberto Quattrocchio.
MONCALIERI
DOLORE E CORDOGLIO PER LA MORTE DI VINCENZO QUATTROCCHI, UN UOMO CHE SI E' FATTO ONORE A MONCALIERI (T0) DOVE E' STATO SINDACO PER DUE ANNI, AMATO E RISPETTATO DA TUTTI.
ASTI
SPECIALE
Quando il Papa visitò la Casa della sua Famiglia in Piemonte
Giuseppe Quattrocchio vive
nella casa che un tempo apparteneva alla famiglia del nuovo Papa
Francesco . Si trova in comune di Asti,
sopra la frazione di Portacomaro stazione,
in località Bricco Marmorito.
"Nel 2000 - racconta - è venuto a trovarci. Io ero nell'orto, era
accompagnato dai suoi cugini. Ha voluto visitare anche la cantina. Era emozionato"
14 marzo 2013 di Francesco Gilioli
VIDEO
Intervista a Giuseppe Quattrocchio
FABBRICA DI BICICLETTE QUATTROCCHIO - ORA ZERO-SYSTEM-DESIGN
Nel 2008 si celebra lazienda Quattrocchio che aprì nel 1918 producendo biciclette : un imprenditore, Carlo Quattrocchio appunto, che si distinse da subito per la sua apertura e creatività registrando anche un marchio altamente artistico. Sarà poi il nipote Carlo Poggio, amante del design, e che rivisitando e ampliando ultreriormente lattività punta ad un mercato di nicchia e attraverso la collaborazione con designers famosi iniziò a produrre mobili e complementi darredo dautore. Nuovi prodotti, altamente impegnati di creatività ed emotività: una linea a cui viene dato il nome di i sogni di Zerodisegno frutto dellintensa collaborazione con grandi designer come De Pas, DUrbino, Lo Mazzi, Lupi, Santachiara, Ferreri, Raschid. Da qui la mostra Zerodisegno che ripercorre la storia dellazienda partendo dalla bicicletta, dal marchio e dal design raffinato della Quattrocchio, per arrivare a Mimmo Rotella con cui Carlo Poggio ha collaborato nella creazione della linea di arredamento anchessa esposta in gran parte. Elena Bormida.
Quattrocchio: Profilo Aziendale La Società fu fondata negli anni '20 da Carlo Quattrocchio per la produzione di biciclette e tricicli di alta qualità. Questi prodotti divennero così conosciuti anche a livello internazionale che il fondatore decise di aprire una succursale a Rosario di Santa Fe (Argentina), per una migliore distribuzione nell'America Latina.
Sotto la direzione e con l'intuizione di Pino Poggio, qualche decennio più tardi, alle biciclette venne applicato un piccolo motore, denominato Mosquito, dando vita così ad una delle prime produzioni di motorini. Carlo Poggio nasce acquario nella Villa delle Rose ad Alessandria ed i genitori Olga e Pino lo amano subito, ricambiati, e lo fotografano adagiato su un cuscino, sul tavolo in giardino. Fin dalla più tenera età prova interesse per la vita dellazienda, attratto dai racconti del nonno Carlo Quattrocchio. Alletà di quattro anni il nonno gli fa confezionare una tuta da operaio e Carlo entra in azienda. Il nonno costruisce un Triciclo/Furgone Quattrocchio, su misura per lui, col quale il piccolo Carlo, insieme alla mamma ed alla sorella, si mette in mostra sulla riviera italiana, diventando testimonial dellazienda. Mamma e Papà portano spesso il piccolo Carlo in Toscana ed egli, pur dando segni di insofferenza alla visita di tante chiese, torri e musei, ne rimarrà poi profondamente segnato. Carlo Poggio si laurea in Giurisprudenza con tesi di economia politica nellUniversità di Genova ed anche per reazione alla noia provata, si butta a lavorare a capofitto nellazienda insieme al papà Pino. Attraversando una notte Place Vendome decide che vuole realizzare qualcosa che metta a frutto il know-how dellazienda, combinato col ricordo delle architetture pisane e con lemozione dei primi viaggi a New York. Insieme con Beppe Gallini e con i designers De Pas, DUrbino, Lomazzi, mette a punto un prodotto unico nel suo genere, una sorta di sistema architettonico, rivisto in chiave industriale, un meccano per adulti ed architetti col quale progettare e costruire spazi di lavoro, di esposizione e di vita modulabili allinfinito. Negli anni '60 Pino Poggio iniziò una nuova produzione di espositori pubblicitari e display per negozi e grandi magazzini, mantenendo alta la reputazione dell'azienda ed il know-how tecnologico acquisito nelle lavorazioni meccaniche. Speciali strutture per l'esposizione e per la pubblicità su punti vendita sono state create per le principali industrie europee. Sotto la direzione di Carlo Poggio è iniziata negli anni '80 la collaborazione con gli architetti De Pas, D'Urbino, Lomazzi, che ha dato vita alla nascita di un prodotto denominato Sistema Zero, noto ai progettisti di tutto il mondo, adatto per realizzare architetture espositive e arredamenti effimeri o permanenti. Nel 1983 fonda il marchio ZERO. Nel 1988 apre la succursale Zero US Corp. nel Rhode Island. Nel 1992 apre lo showroom Zero Soho a New York ove riceverà il riconoscimento di essere stato uno degli uomini che hanno contribuito a migliorare culturalmente e con creatività la vita di New York. Diviene membro onorario dellArt Directors Club di New York. Nel 1995 crea il marchio ZERODISEGNO realizzando insieme a De Pas, DUrbino e Lomazzi, Santachiara, Pesce e Rashid collezioni di mobili e complementi di design che sfilano sulle passerelle del pret-à-porter insieme a modelle vestite Versace e Dolce & Gabbana. Nel 1990 viene fondata la succursale americana Zero U.S. Corporation, con sede in Rhode Island e l'anno successivo viene aperto lo show-room Zero a New York, in uno storico edificio di Soho. Nobodys Perfect Attualmente la Quattrocchio opera attraverso due divisioni: - ZERO SISTEMI, una collezione con grandi contenuti di design fatta di moduli mobili e sistemi destinati all'arredamento di spazi di lavoro e luoghi espositivi, dove l'immagine e la comunicazione visiva hanno la stessa importanza della funzione. ZERODISEGNO, una collezione innovativa di mobili e oggetti d'arredo destinati prevalentemente alla casa, disegnati da De Pas, D'Urbino, Lomazzi, Denis Santachiara, Karim Rashid e Gaetano Pesce. L'ultimo progetto sviluppato con Gaetano Pesce è una collezione di mobili in resina, unici e diversi fra di loro, denominata Nobodys Perfect. Nellanno 2000, Carlo Poggio con i suoi marchi è sponsor ufficiale dellarchitettura americana alla Biennale di Venezia e diventa subito dopo International Sponsor dei Guggenheim Museums. Nel 2001 crea il marchio Nobodys Perfect che contraddistingue la collezione realizzata con Gaetano Pesce. Nel 2002 parte il progetto Arte e Design che genera oggetti straordinari in edizione limitata, frutto della collaborazione con grandi creativi quali pesce, Alessandro Mendini, Ferreri, Mimmo Rotella. Nel 2008 fonda la Carlo Poggio Design. Nel 2010 il Ravello Festival dedica una delle quattro sezioni, quella del Design, interamente al lavoro svolto da Carlo Poggio e Zerodisegno, dal titolo Madness is freedom. Nel 2011 realizza la collezione LItalia ricomincia da ZERO con 10 Maestri del design internazionale, ove il design acquista una forte connotazione politica. Con Carlo Poggio lavorano ed hanno lavorato Giuliano, Alfredo, Giovanni, Giacomo, Italo, Hanna, Ornella, Maria ed unéquipe di collaboratori animati dallo stesso entusiasmo del capo che ha contagiato anche artisti, designers, grafici e fotografi famosi. Opere e prodotti realizzate da Carlo Poggio e Zerodisegno sono presenti nelle collezioni permanenti di molti fra i musei più importanti del mondo, fra i quali: Brooklyn Museum, Denver Museum, Die neue Sammlung, Munich, Museum of Modern Art, Philadelphia, Musée des Arts Decoratifs, Palais du Louvre, Wolfsonian Museum, Miami, Schirn Kunsthalle, Frankfurt, Design Museum London, Victoria and Albert Museum, London. Carlo Poggio dedica una parte del suo tempo alla formazione dei giovani, con frequenti lezioni e lectures nelle facoltà di architettura ed in master di design management sia in Italia che allestero. Carlo Poggio è un collezionista di emozioni fra le quali ricordiamo quelle date da: la prospettiva, i sorrisi enigmatici, le donne anfora, la corrente del golfo, il pesce luna, le affinità elettive, le scollature audaci, la Torre di Pisa, i temporali improvvisi. Carlo Poggio ha un figlio, Niccolò, di cui è orgoglioso ed una moglie indomita, Carla QUATTROCCHIO , che stampa la sua ombra su di un rosaio senese.
TORINO
SEGRE MELZI, IMPRENDITORI TRA DUE GUERRE di PIETRO SPIRITO
Guido Segre non fu un ebreo fortunato. Anni dopo la sua morte
il nipote giornalista Vittorio Dan Segre gli avrebbe dedicato più di
un ricordo in un libro dal titolo contrario ("Un ebreo fortunato"),
eppure la vita di questo imprenditore che rappresenta il capitolo triestino
di una saga familiare antica una saga che dalla Spagna del Cinquecento attraverso
la Torino sabauda arriva fino all'odierno Israele, fu segnata dal peggior destino
possa capitare a un uomo: la negazione della sua identità, l'umiliazione
del non riconoscimento delle proprie conquiste, morali prima ancora che materiali.
Guido Segre aveva lottato per l'Italia, e l'Italia lo aveva abbandonato. Aveva
creduto nel fascismo, e il fascismo lo aveva tradito. Aveva scommesso su potere
e ricchezza, e potere e ricchezza non gli erano serviti. Nelle discendenze di
una ricca famiglia ebraica fu quello che, alla fine, pagò forse più
degli altri il prezzo di chi - a dispetto di ogni potere - rimase stritolato
dagli ingranaggi della Storia. Come altre saghe familiari ebraiche, anche questa
inizia nel 1492, l'anno in cui Colombo scopre il Nuovo Mondo, quando Isabella
la Cattolica caccia gli ebrei dalla Spagna e dall'Italia meridionale. Molti
sefarditi si rifugiano nelle città-stato nel settentrione della penisola,
e fra questi ci sono gli Ovazza, originari della cittadina spagnola di Ovadia,
che trovano asilo nel Ducato di Savoia. Il piccolo regno accoglie a braccia
aperte i nuovi mercanti e banchieri, utili ad alimentare commerci e finanziare
campagne militari.
Ma l'antisemitismo è un vento che non smette di soffiare, e nel 1679
il Piemonte cede al volere del Papa aprendo un ghetto
a Torino. Dura meno di due secoli: a metà Ottocento la monarchia
piemontese in corsa verso il tricolore abbatte il ghetto e appoggia in pieno,
con decreto, l'emancipazione ebraica. Per i discendenti di Abramo unità
nazionale e libertà diventano sinonimi, là dove l'esercito piemontese
trionfa gli ebrei ottengono piena uguaglianza. Come molte altre famiglie semite
anche gli Ovazza seguono in battaglia Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II,
raccolgono fondi per i Mille di Garibaldi, arrivano pronti all'appuntamento
con il passaggio da un'economia feudale a quella capitalista. Quando si realizza
il sogno di un'Italia unita uno degli esponenti più intrapredenti degli
Ovazza, Vitta, realizza il suo sogno di libertà: nato povero nel ghetto
di Torino, quando morirà sarà uno degli uomini più ricchi
e rispettati della città. La discendenza di Vitta continua sulla stessa
strada: il figlio Ernesto veste la divisa da ufficiale dell'esercito italiano
e con lui i figli Alfredo, Vittorio ed Ettore. La figlia di Vitta, Enrichetta,
sposa invece Vittorio Emanuele Segre, amministratore delegato della banca degli
Ovazza. Dalla loro unione nascono Arturo, Guido e Ada.
Arturo studia legge, diventa avvocato e poi sindaco del Comune di Govone: il
più giovane sindaco dell'Italia di allora. Dal suo matrimonio con Tina
Mimigliano, rampolla di una delle più famose famiglie ebree dell'Alta
Italia, nasceranno Dedè, poi sposata a Lino
Quattrocchi, e Vittorio Dan Segre, giornalista
e docente universitario emigrato dal '39 in Palestina e sposato con Rosetta
Balducco. Nato a Torino nel 1881, Guido Segre dopo la prematura morte del padre
Vittorio Emanuele va a studiare in Germania, e quando torna in Piemonte, poco
più che ventenne, viene assunto prima al Credito italiano, poi alla Fiat,
dove diventa direttore amministrativo e quindi vicedirettore. Allo scoppio della
Prima guerra mondiale rifiuta l'esonero che gli era dovuto per la sua carica
alla Fiat e parte per il fronte con il grado di tenente di complemento del Genio.
Combatte gli austriaci sul fronte dell'Isonzo, colleziona medaglie una dietro
l'altra e quando l'Impero è sconfitto l'ormai tenente colonnello Guido
Segre entra vittorioso a Trieste al fianco del generale Carlo Petitti di Roreto.
Nella Trieste messa in ginocchio dalla guerra, Guido occupa il posto-chiave
ai vertici all'Ufficio Affari Economici del Governatorato, nelle cui stanze
passa il futuro economico della città. Futuro non facile, visto da ex
ricchissimo emporio dell'Impero, Trieste deve ora dimostrare di poter dare un
valido apporto al resto dell'Italia che tanto ha penato per averla. Segre è
l'uomo giusto al posto giusto: con abile manovra diplomatico-finanziaria realizza
un'operazione geniale, assicurando a Trieste il recupero di obbligazioni e titoli
creditizi che giacciono nelle principali banche austriache, favorendo inoltre
il concordato tra la Banca commerciale triestina e l'austriaca Credit Anstalt.
Non è l'unica alleanza che conduce con l'ex nemico di trincea: tra alcuni
anni Guido sposerà proprio un'austriaca, Gabriella Anna Metz, cattolica,
conosciuta a Portorose dove la giovane gestisce una boutique. Quando arriva
il momento del congedo dall'esercito Guido non ci pensa nemmeno a tornare a
Torino. In Trieste vede straordinarie opportunità di crescita, per lui
e per la città, e si butta a capofitto nell'avventura. In poco tempo
il suo nome è ovunque. È nel consiglio d'amministrazione della
Banca Commerciale Triestina, rivela le azioni dello Jutificio e del Pastifcio
Triestino, aziende che si aggiungono alla sua già lunga collezione: il
Pastificio moderno a Zara, un altro pastificio a Milano, l'Amideria Chiozza,
un'altra Amideria a Danzica, in Polonia, un catenificio a Lecco e il complesso
delle Acciaierie Weissenfels a Fusine. Nel volgere di pochi lustri Guido Segre
sarà, fra l'altro, presidente della Direzione di Borsa, delle Officine
Navali Triestine, dell'Ampelea, società di distillazione e d'industrie
chimiche, dell'Arsa, la società carbonifera in Istria, del Sindacato
Industrie estrattive per le Province di Trieste e di Pola e dalla Camera di
commercio italo-ungherese. Come il fratello Arturo, nella scia della tradizione
nazionalista e interventista della sua famiglia, Guido è anche un convinto
fascista della prima ora (tesserato nel '22), e nutre, ricambiato, enorme stima
e fiducia nei riguardi di Mussolini. L'imprenditore non è certo l'unico
ebreo in Italia ad essere iscritto al partito fascista, ma sicuramente è
uno dei più vicini al duce, che gli affida incarichi delicati e importanti.
Nel 1930 Guido Segre sposa con rito cattolico Gabriella Anna Metz. A officiare
il rito è il vescovo di Trieste Luigi Fogar, che allaccia uno stretto
legame di amicizia con i Segre (sarà lui, anni dopo, a celebrare a Roma
il matrimonio tra la figlia Etta e il marchese Alberto Carignani di Novoli).
E sarà proprio l'amicizia con il vescovo Fogar a procurare i primi guai
a Guido Segre. Quando nel '34 Fogar, deciso difensore degli sloveni, viene accusato
di essere un antinazionalista e antifascista, Guido Segre scende in campo in
sua difesa, attirandosi critiche e antipatie. Quattro anni dopo, alla proclamazione
delle leggi razziali, tutto ciò non sarà dimenticato. Guido, pur
essendo sempre stato esponente dell'ebraismo laico non osservante di Trieste
(a differenza ad esempio degli Stock), pur essendosi convertito al cattolicesimo,
pur avendo italianizzato il cognome della moglie Metz in Melzi, finisce nel
vortice della persecuzione razziale. In breve viene allontanato da tutto: cariche,
prestigio, potere. Invano implora di essere "discriminato", vale a
dire - con curiosa inversione del senso comune del termine - riottenere l'equiparazione
ai cittadini italiani non-ebrei. Invano bussa alla porta di Mussolini, che non
si fa più trovare. Invano si umilia davanti al governo fascista e ai
suoi variattaché, arrivando persino a rinunciare al suo cognome, Segre,
stabilendo per via legale che i figli Etta e Carlo portino quello della moglie,
Melzi. Invano si affida alle vecchie amicizie influenti, come quella, inossidabile,
con Rino Alessi, direttore del quotidiano "Il Piccolo". Guido Segre
è un ebreo, e a Trieste non deve contare più nulla. Per un nazionalista
come lui, un eroe del Carso, un uomo abituato a combattere in nome dell'Italia,
ma anche a credere nella libertà dell'azione e che tanto ha fatto per
Trieste e in nome di Trieste, è un colpo fortissimo. «Era distrutto,
privato della sua identità e della sua dignità», racconta
la figlia Etta Carignani che ha dedicato al padre il libro "Un imprenditore
tra due guerre" (Edizioni Lint, a cura di Patrizia Grandis). «Allo
scoppio della guerra - continua Etta - ce ne andammo da Trieste, e ci rifugiammo
prima a Fusine, poi a Roma, con documenti e nomi falsi». Distrutto nel
corpo e nell'animo, ammalato diangina pectoris, con il falso nome di Giovanni
Fabbri, Guido trova rifugio in Vaticano, sotto la fragile protezione di Pio
XII. Farà in tempo a vedere gli alleati entrare nella Roma liberata,
ma non potrà tornare a Trieste: muore il 12 aprile 1945. Fra le truppe
alleate dell'Ottava armata, che risalgono la Penisola, nelle fila della Brigata
Ebraica (quella cui si è liberamente ispirato Tarantino per il suo film
"Bastardi senza gloria") c'è il nipote di Guido, Vittorio Dan
Segre, figlio di Arturo, che oggi vive in Israele. Tornati nella villa di via
Murat, sequestrata dalle Ss durante la guerra e semidistrutta dai bombardamenti,
Gabriella "Ella" Melzi con i figli Etta e Carlo Emanuele riprendono
le redini di ciò che resta dell'impero di Guido Segre. Ella si dimostra
una capitana d'impresa ante litteram, e rimette in piedi quanto possibile del
patrimonio e delle aziende. In particolare con il figlio Carlo Melzi assume
la direzione delle Acciaierie Weissenfels (oggi passate ad imprenditori austriaci).
Carlo in seguito affiancherà al mestiere di industriale quello di editore
acquistando i quotidiani "Messaggero Veneto" e "Il Piccolo".
Morirà nell'agosto del 2000 senza lasciare eredi. Oggi le memorie della
saga dei Segre Melzi sono custodite e coltivate da Etta Carignani, dal figlio
Guido e dai nipoti Gabriella, Gregorio e Manfredi.
DUBBI SULLETÀ DELLA SINDONE. GLI ESPERTI RIAPRONO IL CASO
Nuovo studio critica lesame al carbonio 14 che data il Lino al Medioevo. Fedeli in fila per lOstensione della Sindone, nel 2015, nel duomo di Torino. A trentanni dalla datazione della Sindone con la tecnica del radiocarbonio, emergono nuovi dubbi sullaffidabilità di quel risultato, secondo il quale il lenzuolo che porta impressa limmagine del corpo di un uomo flagellato e crocifisso come Gesù sarebbe in realtà un tessuto risalente allepoca medioevale. Se ne parlerà allincontro annuale del comitato scientifico del Centro Internazionale di Sindonologia, il 5 e il 6 maggio a Chambéry, in Savoia, con medici, fisici, chimici, storici e biologi internazionali. Tra questi Paolo Di Lazzaro, dirigente di ricerca dellEnea di Frascati, che nel suo intervento ricorderà come «il calcolo che trasforma il numero di atomi C-14 nelletà di un tessuto» presenti «maggiori incertezze rispetto ad altri campioni solidi (ossa, manufatti, etc.) a causa della maggiore permeabilità del campione tessile agli agenti esterni (digestione batterica, muffe, sporcizia)». ... Un'indagine che evidenzia gli errori commessi nella prima analisi scientifica del sacro telo in cui fu avvolto il cadavere di Gesù Cristo dopo la crocefissione, e ci aiuta a ricostruire tutte le fasi della sua passione.
la Sindone e la Passione del Cristo
BUDAPEST
CIMITERO MILITARE ITALIANO di BUDAPEST CADUTI 1918
Quattrocchio Giuseppe Fila n.2 tomba n.10
Prodan Giuseppe
Fila n.50 tomba n.14
ITALIANI IN TAURIDE
La Tauride è la porta meridionale della Russia. La
attraversò nel 1786 il rivoluzionario spagnolo Francisco de Miranda,
uno dei fondatori della prima repubblica del Venezuela proveniente da Costantinopoli
e diretto a Pietroburgo. A Cherson conversò con il piemontese Vittorio
Amedeo Poggio, aiutante in campo di Aleksandr Nikolaevic Samojlov, comandante
del corpo dei cacciatori della Tauride: Miranda accusa Poggio di piaggeria e
di ignoranza, poichè costui approvava la deportazione di migliaia di
cristiani dalla Crimea nel governatorato di Ekaterinoslav, voluta da Caterina
Seconda. Poggio, medico dell'ultimo khan di Crimea Sagin Girej, dopo l'annessione
della penisola alla Russia, avvenuta nel 1783, era passato al servizio dell'impero.
Poggio in seguito si stabilì, assieme alla moglie Maddalena
Quattrocchio, a Nikolaev. Assieme a Langeron, Richeleu e De Ribas fu
uno dei fondatori di Odessa, di cui divenne in seguito presidente della Amministrazione
cittadina. Ha ragione N.Ja.Edel'man nel supporre che fosse il padre dei famosi
decabristi Aleksandr e Iosif Poggio. In Crimea il piemontese possedeva anche
un pastificio.
(www.mario-corti.com/press/)
La Lingua Occitana in Italia Lo Stato Italiano tutela la Lingua Occitana, Legge 482 della Repubblica Italiana
LOccitano, insieme al Francoprovenzale e al Francese, entrambe tutelate dallo Stato Italiano, appartiene al gruppo delle Lingue Galloromanze. La Lingua Occitana è conosciuta anche col nome di Lingua doc o Linguadoca dalla classificazione che Dante fece delle parlate romanze, distinguendo appunto tra Lingua doc, Lingua doïl e Lingua del sì. Alla base di tale ripartizione cè la particella che nei vari idiomi veniva utilizzata per esprimere laffermazione, cioè il sì. Pertanto, lOccitano venne definito Lingua doc perché derivava la propria particella affermativa dal latino hoc est, mentre il Francese, la Lingua doïl (oggi oui), da illud est, e la Lingua Italiana, cioè la Lingua del sì, da sic est. La Lingua doc è parlata in Occitania, un territorio di circa 200 mila kilometri quadrati dove risiedono circa 12 milioni di abitanti, diviso tra Francia, Italia e Spagna. Si calcola che lOccitano sia parlato correntemente da due milioni di persone. A nord lestensione di tale regione è delimitata grosso modo da una linea che da Bordeaux, passando per Limoges, Clermont-Ferrand e Valence, giunge sino a Briançon. Ma la comunità occitana non si ferma al confine francese, ma va oltre le Alpi per includere le dodici valli occitane del versante italiano e scende verso la costa mediterranea che da Mentone arriva sino alla Catalogna. Qui, dai Pirenei sfiora Euskadi per affacciarsi sullOceano Atlantico. Le valli occitane del versante italiano si trovano dunque sul territorio del Piemonte e della Liguria. In Provincia di Torino troviamo la val dOulx (Alta val Susa), la val Chisone, la val Germanasca (o San Martino), e la val Pellice. In Provincia di Cuneo ci sono: val Po, val Varaita, val Maira, val Grana, valle Stura, val Gesso, val Vermenagna, le valli della Bisalta, le valli del Quié e Briga Alta. In Provincia di Imperia troviamo invece i comuni di Triora e Olivetta. E da considerarsi occitana anche lisola linguistica di Guardia Piemontese in Calabria. LOccitano è conosciuto anche come Patois (patuà) che in Lingua Francese significa dialetto, parlata dei contadini, gergo. In realtà il termine patois indica una parlata dialettale diversa dal Francese e pertanto può indicare diverse varianti linguistiche francesi e galloromanze. In Valle dAosta e in Piemonte con il termine Patois (patouà, patuà, patoué) si indicano le varianti locali dellOccitano e della Lingua Francoprovenzale.
Blasonario delle Famiglie Subalpine
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Due codici cinquecenteschi conservati presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco ? il codice n. 270 Urbium Italiae septentrionalis: Insignia Nobilium Mediolanensium ? il codice n. 274 Insignia Veneta, Mantuana, Bononiensia, Anconitana, Urbinatia, Perugiensia Si tratta di codici miniati, databili intorno al 1550, fatti realizzare dai Fugger, probabilmente a Venezia, da un gruppo di miniatori sotto una regia unitaria. Anche se le Regioni a cui si riferiscono sono sostanzialmente esterne al perimetro geografico del Blasonario Subalpino, i due Codici, assai interessanti, in quanto registrano numerose casate nobili della Lombardia milanese e mantovana (incluse famiglie tortonesi e novaresi), della Liguria e dellEmilia, che ebbero feudi o significative presenze in Piemonte. Sono anche presenti le armi di alcune famiglie piemontesi (de Turino, Montisferrati) non identificate con esattezza. Questi e altri codici (come i codici 275 Insignia Ferrariensium, Patavinorum e 279 Insignia Genuensium)
FONTI
ANTICHE AGGIUNTE - BLASONARIO SUBALPINO
sito a cura di Gilberto Quattrocchio e Patrizia Prodan
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