BARI
Archivio della Basilica
pontificia di San Nicola di Bari. Complesso archivistico: Basilica Pontificia
di San Nicola di Bari - Periodo Angioino. Data: 1314/06/11 (Sec. XIV)
Precedente segnatura: P.A.II. Luogo: Bari. Scrittore / Rogatario:
Philippus de Philippo notarius. Lingua: Latina.
Palma figlia di Nicola Quattuor
oculi di Bari, con l'autorità e il
consenso di Vito diacono, figlio di Franco macellaio di Bari, suo mundoaldo
per il presente atto e alla presenza di due altri parenti tra i più prossimi,
richiamando le disposizioni del testamento di suo padre "1312 maggio 26"
per il quale era designata a succedere ad Alfarana
sua sorella, nel caso che quest'ultima fosse morta o il suo matrimonio si fosse
sciolto senza discendenti legittimi, e ad ottenere la restituzione della dote,
consistente in 6 once d'oro e nel corredo valutato quattordici once d'oro e
sei tarì concessa da suo padre a Giovanni Maionis di Bari, buccerius,
al tempo delle sue nozze con la suddetta Alfarana,
rilascia formale assicurazione al suddetto cognato ed ai suoi eredi di avere
ottenuto la restituzione della dote.
Descrizione: Dimensioni cm 36 x 31. Lieve aggrinzimento della
pergamena. Segno di tabellionato. Stato di conservazione buono.
Note: La Pergamena contiene inserto del 1312 maggio 26. Bibliografia associata:
Codice Diplomatico Barese, vol. XVI, n.33, pp.62-63
Archivio del Capitolo Metropolitano di Bari
Antonio Chipillino, canonico, procuratore del capitolo, dei canonici e dei chierici di seconda forma della chiesa madre di Bari, con il consenso di Giovanni, vescovo di Sarno e vicario generale del cardinale Landolfo, amminustratore della stessa, concede in locazione per ventinove anni a Giuliano de Quatuoroculis, di Bari una casa diroccata e bisognevole di riparazioni q.d. cellarium, ,di proprietà comune dei predetti, provvista di cisterna e stalla, sita nella città, in vicinio cordoaneriorum, al canone annuo di diciasette tarì, da pagarsi per metà al capitolo nel mese di agosto, alla vigilia della festa di S. Lorenzo, e per la restante metà, trimestralmente ai canonici e ai chierici. Anno Domini 31/08/1383 (Sec. XIV)
Le Pergamene del Duomo di Bari, 1343-1381
- Pagina 314
Maria Cannataro Cordasco, ?Pasquale Cordasco - 1985 -
...V. actor, iudex, ledere. ovvero Iulianus cler. 164, 165. Iulianus dictus
de Sancto presb.,(de) v. Angelus abb. "Iudex, lo stesso che Iulianus
de Quattuor Oculis iac." 165. Iulianus mag. 117. fil. v. Corellus
dom. can. Iulianus sire 119, 227. fil. v. Petrus.
Iulianus de Quatuor Oculis iac. ovvero Iulianus
cler. 164, 165. Iulianus dictus de Sancto presb., Iuliano (de) v. Angelus abb.,
Cic- ..Iudex. lo stesso che Iulianus de Quattuor Oculis
iac. 165... V. anche Iohannes Spinellus iuris civilis prof., Iohannes Symeonis
iudiois, Leo archydiac. Tranen- sis, Marinus ...
TARANTO
Il libro rosso della Università
di Trani - Taranto -
di Giovanni Beltrani, Gerardo Cioffari,
Mario Schiralli - 2000
Ioannes Quatuor Oculi
Stephanus de Quatuoroculi
Iudex Leo de
Quatuor Oculis
Petracca, frater eius Noarius Thomasius de Rogerio
de Quattuor Oculis.
nach 1231 – 1266 VI 30: iudex Tarent. 1231/1232: notarius publicus Tarent.
Russus. 1243 XII 17: taxator collector imperialis collecte ...
de
Quattuor Oculis s. Leo. R. "de Sancto Severino 160, 306
f." de Trentenaria 122 ......Iudex de Quattuor
Oculis, Nicolaus Patricius, Nicolaus de iudice ... Iudex Leo
de Quattuor Oculis: dixit se scire eccl.Tarentinam habuisse
a tempore Andree logothete quolibet anno de tinctoria Iudaice Tarenti decem
uncias auri de imperiali mandato, et si fuerit plus vendita de decem uncias
auri, imperialis curia percipiebat, ut audivit. Iudex Leo
de Quattuor Oculis: com ipse tempore d. imp. Frederici esset
not publicus in civitate Tarenti et iudex Rao et iudex Stephanus
tunc temporis iudices eiusdem terre recepissent per litteras in mandatis.
Studien zur Beamtenschaft Kaiser Friedrichs II. im Königreich Sizilien (1220–1250)Christian Friedl
Secolo XIII - Leo de Quattuor Oculis giudice in Taranto su nomina dell'imperatore Federico II
Studien zur Beamtenschaft Kaiser Friedrichs II. im ... - Pagina 550 Christian Friedl - 2005
Taranto Landulfiis de Aquino , de Franco , Pinctus
, Rogerius Laurentius de Monticino Leo , Bellus de Baro , Boni (Bos) , Castaldus
, Gallipolis , de la Greca , de Juvenatio , Mancius de Matera , de Mineo , Muscati
, Leo de Quattuor Oculis , Russus 1220 XII 15:
... Apulie) 1234 V: iudex des Sekreten Mattheus Marchafaba (Ostsizilien) 1242
V: advocatus Salerno 1235 VI 29: iudex Sorrento 1226 V ...
1249: "iudex Leo (un signore che giurò fedeltà a Federico
II) "Landulfiis de Aquino , de Franco , Pinctus , Rogerius Laurentius de
Monticino Leo , Bellus de Baro , Boni (Bos) , Castaldus , Gallipolis , de la
Greca , de Juvenatio , Mancius de Matera , de Mineo , Muscati , Leo
de Quattuor Oculis , Russus 1220 XII 15: ... Apulie) 1234 V: iudex des
Sekreten Mattheus Marchafaba (Ostsizilien) 1242 V: advocatus Salerno 1235 VI
29: iudex Sorrento 1226 V ...
https://www.google.it/search?q=Iudex+Leo+de+Quattuor+Oculis&rlz=1C1RNLH_enIT519IT563&oq=Iudex+Leo+de+Quattuor+Oculis&aqs=chrome..69i57.3313j0j8&sourceid=chrome&espv=210&es_sm=122&ie=UTF-8#q=Iudex+Leo+de+QuattuorOculis&tbm=bks Studi su Federico II nel Regno di Sicilia (1220-1250)
Studi su Federico II nel Regno di Sicilia (1220-1250)
Christian Friedl. Editore Austriaco. Acad of Sciences, 2005 -. 633 pages
1249: "iudex Leo (un signore che giurò fedeltà a Federico
II)
"Landulfiis de Aquino de Franco Pinctus Rogerius
Laurentius de Monticino Leo Bellus de Baro Boni (Bos) Castaldus
Gallipolis de la Greca de Juvenatio Mancius de Matera
de Mineo Muscati Leo de Quattuor
Oculis Russus 1220 XII 15: ... Apulie] 1234 V: iudex des Sekreten
Mattheus Marchafaba (Ostsizilien) 1242 V: advocatus Salerno 1235 VI 29: iudex
Sorrento 1226 V ...
Quellen und Forschungen Aus Italienischen Archiven und ...
lohannes de iudice Cretio (Creti), iudex, not. fundici, baiulus: IX 28; XIII (1252); XIII 3; XX 2; XX. ... Leo, contus, emptor proventuum buche - rie: XII 17; XIII 14. Leo, presb. ...Leo de Quattuor Oculis, tabellio: VI; iudex: IX 19; XIII (1252); XVI; XX 18.
La Politica Fiscale nel Principato
di Taranto alla metà del XV secolo
Università del Salento ... Testo curato da Simona
Pizzuto
I distretti fiscali e la riscossione dellimposta diretta nel principato di Taranto. La Politica Fiscale, nel Principato di Taranto, alla metà del XV secolo. Nel 1420, Giovanni Antonio del Balzo Orsini, era stato investito dalla regina Giovanna II del principato di Taranto, antica e importante formazione feudale nel regno di Napoli risalente alletà normanna. Al principato lOrsini aveva unito, nel 1446, la contea di Soleto e quella di Lecce, concentrando sotto il suo controllo una compagine territoriale di notevoli dimensioni, costituita da un blocco quasi compatto in Terra dOtranto e in Terra di Bari, con alcune propaggini in Capitanata, Basilicata, Terra di Lavoro e Principato Ultra. A Lecce, nel 1459 la curia principalis riscuoteva i diritti di bagliva, gli iura exiture, victualium et animalium, le gabelle affide, et diffide, degalatrorum, I proventi derivanti dalla locazione di immobili appartenenti alla curia, incamerando circa 354 once cui si aggiungevano circa 43 once delle condanne comminate dal capitano, dal camerario e dal catapano della città. A Bari, nel 1462 i diritti di dogana fruttarono allerario locale circa 290 once. Le imposte sul commercio non interessavano solo le località costiere, giacché lOrsini, almeno dal 1448, moltiplicò le sedi di fondaco in Terra dOtranto. Questi magazzini, de novo impositi per terram et intra terram, funzionavano come distaccamenti dei fondàci centrali, collocati nelle principali località che disponevano di un porto, ed erano gestiti da substituti fundicarii che controllavano il movimento di tutte le merci destinate alla commercializzazione. Fondaci furono creati ad Alessano, Ugento, San Pietro Galatina, Scorràno,Specchia, Racale, Gagliano, Alliste, Felline, che dipendevano dal fondaco centrale di Gallìpoli; a Oria e Grottaglie, dipendenti da quello di Taranto, a Mesagne, Francavilla e Ostuni, succursali del fondaco di Brindisi e poi ancora a Minervino,Cursi, Sanarica, Maglie, Bagnolo del Salento, Serrano, Muro leccese, Morigino, Carpignano salentino, Vanze, Poggiardo e Presicce. La loro istituzione doveva rispondere certamente alla necessità di aumentare la pressione fiscale, ma era anche indicativa di una certa vivacità dei traffici che interessava anche le località dellentroterra. Confrontando i proventi derivanti dallimposizione indiretta con quelli ricavati dallimposta diretta, possiamo notare come i primi fossero superiori. Taranto, versava per le funzioni fiscali 300 once, mentre i profitti legati agli oneri indiretti ammontavano a circa 390 once; Otranto, invece versava per limposta diretta poco più di 90 once, a fronte di 295 once riscosse tramite il prelievo indiretto, Lecce, versava 324 once per le collette e circa 400 per le imposte indirette. Chiaramente la situazione fiscale di questi centri non è estendibile a tutte le altre realtà del principato: alcune località presentavano certamente una maggiore vivacità economica, grazie al loro inserimento allinterno dei traffici commerciali; in altre la rendita era, invece, legata essenzialmente al prelievo signorile in natura e ai censi sulle produzioni agricole. Ad esempio, il caso di Soleto, capoluogo dellomonima contea, nel quale, nel 1459, gli introiti percepiti dallOrsini provenivano dalla tassazione decimale sui prodotti agricoli: 203 tòmoli di grano, 164 di orzo,18 di avena, 43 di fave, 234 ligature di lino; la gestione diretta di alcune vigne, di proprietà della curia, rendeva 73 barili di vino, venduti a regime di monopolio, nella taberna del principe. A queste entrate si aggiungevano 17 once della bagliva, e 3 once per i diritti di giustizia. Allo stesso modo nella terra di Ceglie de Gualdo, piccolo feudo del principato, negli stessi anni dal prelievo decimale si ricavavano 48 tòmoli di frumento, e 13 di orzo. Circa 70 botti di vino, provenienti dai vigneti principeschi erano destinati alla taberna locale. Lo ius platee, che doveva essere versato dai mercanti forestieri nella misura di 15 grani per ogni oncia di merce venduta, rese poco più di 2 once, testimoniando, dunque, la situazione di un centro che rimaneva ai margini dei flussi del commercio. Dal quadro delineato emerge limmagine di una fiscalità signorile pervasiva e stringente. Da una parte, il privilegio regio, di incamerare le imposte dirette aveva permesso allOrsini di rimpinguare le casse del principato per più di cinque lustri : si trattava di introiti importanti che il principe aveva cercato, d'accrescere ulteriormente, aggiungendo alle voci di imposta previste dal sistema fiscale del regno, ulteriori contributi, come la tassa aggiuntiva pro errori foculariorum, il versamento per il rinnovo del quaderno dellapprezzo e lacquisto forzoso di quantitativi di sale superiori al numero di fuochi censiti. Dallaltra il prelievo indiretto sembrava controllare ogni aspetto della vita civile ed economica delle comunità. Il ventaglio delle gabelle esigibili nei diversi centri del principato era estremamente variabile, alcune avevano carattere generale, essendo esatte in tutto il regno; altre, invece, avevano un carattere prettamente locale e tassavano le risorse proprie di un luogo. Alcuni di questi diritti spettavano al principe in base ai privilegi di concessione o ai patti di vendita siglati al momento dellacquisizione delle singole località, in altri casi lOrsini si era appropriato di competenze spettanti, invece, al re. In seguito alla morte del principe Orsini,(novembre 1463),avvenuta in circostanze poco chiare, nelle quali non si può escludere un coinvolgimento diretto di Ferrante, il sovrano aragonese si affrettò a raggiungere la Puglia, percorrendo i territori dello stato orsiniano e accogliendo lomaggio delle universitates. Loccasione si presentava favorevole per le comunità, che ritornando sotto il dominio diretto del re, ne approfittarono per presentare, attraverso i propri delegati, i capitoli di dedizione con i quali sollecitarono concessioni in materia fiscale e giurisdizionale e chiesero la conferma di vecchi privilegi. Ferrante, da subito, mise in moto una macchina amministrativa per prendere fattivamente «possessione de le fortezze et robe» di quello stato, e per riappropriarsi di quellinsieme di diritti, giurisdizioni, prerogative fiscali e beni patrimoniali di cui aveva goduto lOrsini sino a quel momento. Tre maestri razionali napoletani trasferirono i propri uffici nei territori del principato, prima a Taranto, e poi a Lecce, tra il 23 giugno 1464 e il 20 febbraio 1465, con il compito di vagliare e controllare i quaderni e i conti degli ufficiali e degli amministratori principeschi. I primi a essere convocati furono il tesoriere di Lecce, Gabriele Sensarisio, e lerario generale, il notaio Nucio Marinacio, invitati a presentarsi personalmente, presso la sede dellufficio a Taranto, portando con sé cautele, libri e scritture per rendere ragione, della loro amministrazione negli anni della X, XI e XII indizione (1461-1463). Lo stesso giorno, il 23 giugno del 1464, furono convocati i maestri razionali di Terra dOtranto e Terra di Bari, con lingiunzione di produrre i libri di conti non ancora esaminati, quelli già vagliati dopo la morte del principe e insieme cedolari e altre scritture necessarie. Nei giorni seguenti fu invitato a presentarsi anche il cancelliere Stefano de Caiazza, con i suoi quaderni, perché si potesse procedere al controllo della sua attività et signanter de administracione et assignacione stipendiorum gentium armigerarum. Un mese dopo fu convocato lerario generale di Terra di Bari, Ottaviano di Monopoli ad computandum, et ratione reddendum, de dicto erariatu. ; ancora nellagosto dello stesso anno, fu il turno di Polidoro de Quatuoroculis, Erario Generale, della Baronìa di Trevìco e Flumeri. Negli otto mesi di permanenza, furono invitati a presentarsi con i propri quaderni, i capitani, gli erari, i doganieri e i baiuli delle più importanti località della provincia. Linteresse primario dei razionali regi, era rivolto a verificare le scritture contabili e lattività amministrativa svolta dai funzionari principeschi responsabili della riscossione delle imposte indirette, dellimposta diretta e della gestione di tali risorse per il mantenimento della gente darme. I razionali regi non lasciarono, dunque, nulla in sospeso: controllarono i conti degli erari locali e dei doganieri, degli erari generali e dei razionali principeschi, operando gli opportuni raffronti con i dati registrati nelle loro scritture,e sollecitarono i pagamenti pendenti per lanno in corso almeno sino alla data di approvazione dei capitoli di dedizione, con i quali le università erano riuscite a ottenere numerose agevolazioni fiscali dal sovrano. Le lamentele nei confronti del fiscalismo oppressivo del principe e dei danni subiti durante la guerra degli ultimi anni furono ricorrenti nelle richieste presentate a Ferrante da tutte le comunità, dalle città più grandi sino ai piccoli centri. La città di Bari, ricordava al sovrano li molti danni passi per la università, nelli pròximi passati tempi ala guerra. ; Lecce, si lamentava per li excessivi et intollerabili pagamenti facti per luniversità, la gran fama et penuria de tucte cose et amplissima multitudine de pòpulo, tucti citatini et habitanti, sono reducti in grandissima et extrema pauperta. ; la città di Brindisi faceva presente, la extrema et incredibile povertà et la sua quasi finale ruyna et inhabitazione ; i cittadini tarantini, si lamentavano per le guerre paxate, in le quale so stati oppressi et damnificati de pagamenti, de loro robbe et beni, tanto per lo signore Ioanne Antonio, quanto per quilli che lui havìa per inimicizia. Ancora la comunità di Mesagne chiedeva recompensacione de tanti mali quali essa università patecte , considerati li excessivi pagamenti ha indebitamente extirpati, la serenità del principe. ; così come Castellaneta che informava Ferrante, come per li eccessivi oppressiune et pagamenti intollerabili del passato, tucti habitanti sono reducti ad extrema pauperta et gran parte reducti ad habitare quasi ne li boschi et exhabitarla. Oria, si dichiarava oppressa et affannata da molti pagamenti, come Gallìpoli che era stata gravata da gran pagamenti imposti per il principe di Taranto, per la guerra fatta e la gran povertà e penuria, Monopoli denunciava gli affanni patiti e le extorsione indebite per lo principe, Sternatia, infine, segnalava che li hòmini , càmpano de die in diem per li gran pagamenti hanno facto a lo dicto principe. Linsistenza da parte delle comunità sullo stato di indigenza e povertà che avrebbe interessato i propri abitanti, mirava a sostenere, la richiesta di agevolazioni fiscali; tuttavia quella fama di principe avido ed esoso, lamentata dai sudditi, probabilmente,non doveva discostarsi molto dalla realtà dei fatti, visto che,come è stato delineato, durante gli anni del suo dominio le comunità furono effettivamente sottoposte a una crescente pressione fiscale. Con il suo stato, le sue condotte militari e i suoi denari, il principe rappresentò, dunque, un temibile avversario per il re di Napoli, tanto da mettere in discussione la stessa autorità di Ferrante. «Il signor re , scriveva al suo duca lambasciatore milanese Antonio da Trezzo allindomani della morte dellOrsini , ad questo dì ha avuto tuto lo stato, gente darme, dinari et roba furono del principe, che è la mità de questo reame, che non è piccola novella ma talle che , come ogniuno pò comprendere , mo se pò dire, esso re Ferdinando, essere vero, et fermo re, de questo reame».
Politica Fiscale, nel Principato di Taranto
CORLETO GIA'CORNETO (ASCOLI SATRIANO)
QUATTROCCHI POLIDORO Ascolano. In un atto del 9 maggio 1489 che si conserva nell'Archivio del Monastero di Montevergine come regesto n. 4440, risulta che in tale data fece istanza al re di napoli di concedergli una "mezzana2 a Corneto per far pascolare i suoi sessanta buoi avendo dovuto lasciare an'altra "mezzana", dote di sua moglie, dove ora pascolano "le jumente" del Re. Il Re concede al Quattrocchi nel territorio di Corneto, in agro di Ascoli. REGESTO N.4440 - DELL'ANNO 1489 9 maggio 1489 Foggia. Avendo il Magnifico Polidoro Quattrocchi, di Ascoli, dovuto quasi lasciare una "mezzana", dotale di sua moglie "per uso et pasculo de li boi del suo campo", mezzana che ora si pascola "pro maiori parte per le jumente de la...Maestà; perciò egli supplica la Maestà del re che "li voglia concedere in detto terrirorio vostroper ristoro di quella", nel territorio di Corneto, "una mezzana comoda per uso et pasculo de boi sexanta...", affiché "esso supplicante possa fare industrie de campo per lo suo vivere secondo fanno li altri maxari de puglia". Accogliendosi tale supplica, si dà ordine dalla regia Camera a Nicola Caracciolo ("Caracziolo"), "regio dohanerio pecudum apuliae", in data 21 ottobre 1488, dopo accurate informazioni, concede al Quattrocchi una mezzana in Corneto (XV,75). N.B. Il documento in una copia autentica, si dice estratto in Napoli il 25 giugno 1547. Ind., dalla regia camera della Sommaria. CARACCIOLO NICOLA In un atto del 9 maggio 1489, conservato nell'Archivio del Monastero di Montevergine come regesto n.4440, risulta essere il funzionario della dogana delle pecore della Puglia per conto del re di Napoli ("regio dohanerio pecudum apuliae"), al quale la Regia Camera, in data 21 ottobre 1488, dà ordine di provvedere alla supplica dell'ascolano Quattrocchi Polidoro che aveva, precedentemente, chiesto al re di permettergli di far pascolare i suoi sessanta buoi in una "mezzana" di Corneto al posto della "mezzana", dotale di sua moglie, dove ora pascolano "le jumente de la ...Maestà". CORLETO, già CORNETO Antico villaggio fortificato medievale del territorio di Ascoli. Il territorio di Corneto è menzionato nel 1063; il casale è conosciuto a partire dal 1096. Sin da prima del 1105 i suoi abitanti godono di una consuetudine che regolamenta in particolare il versamento del diritto di pascolo e senza dubbio destinata ad attrarre verso questa fondazione, forse recente, molta popolazione. Tre quarti di secoli più tardi, sotto il regno del Re Guglielmo II, il Vescovo di Ascoli ha il privilegio di tenere bottega aperta a Corneto: segno certo dellimportanza economica acquisita dallabitato che, nel XIII secolo, è contornato di mura e fossati e fiancheggiato da un sobborgo. Tuttavia in questo periodo non è ancora che un casale, cioè un villaggio di un certo accentrato, ma in linea di massima poco protetto. Nel 1190 è saccheggiata e distrutta da Enrico Testa, inviato dallImperatore Enrico VI, e da Ruggero dAndria perché parteggia per Tancredi, Conte di Lecce, insieme con lAbate dellAbazia benedettina della SS.Trinità di Venosa e con lAbate cassinese Loffredo. Nel 1200 il suburbio di Corneto rinasce intorno alla Chiesa di S. Giuliano, ad opera dell Imperatore Federico II. Ospitò dal 1224 al 1232, quando morì il 27 giugno, il frate laico francescano Benvenuto da Gubbio. In questo luogo si occupò principalmente dellassistenza ai lebbrosi. La residenza di Benvenuto con altri frati, costituì il primo insediamento francescano nel territorio di Ascoli che si concretizzò negli anni successivi nella costruzione di un convento che fu attivo in Corneto fino al 1450. Quando fra Benvenuto morì le sue spoglie furono esposte per più giorni nella Chiesa di S. Pietro, dove si verificarono molti miracoli. Quattro anni dopo, nel 1236, il popolo di Corneto, tramite il diacono Balsamo e il giudice Giacomo, inviarono la supplica al Papa Gregorio IX affinché fra Benvenuto venisse canonizzato. Il Papa con la bolla Mirabilis Deus in sanctis suis, investì i Vescovi Richerio di Melfi, Risandro di Molfetta e Buono di Venosa di effettuare uninchiesta sui miracoli di Benvenuto. Linchiesta fu eseguita, ma il processo di canonizzazione non andò a buon fine per i torbidi politici dellepoca, imperante Federico II avversario politico del Papa. Comunque il Papa autorizzò il culto di Benvenuto nelle tre diocesi. Nel 1255 Manfredi passa da Corneto, dopo essesi fermato a Palazzo dAscoli, perché non poté entrare in Ascoli in quanto lanno prima era insorta contro lImperatore Corrado IV e nel 1255 era passata sotto il potere del legato papale Uberto degli Ubaldini. Nel 1268 Corneto era un villaggio fortificato fedele a Corradino. In quellanno chiama in aiuto i capitani angioini, che si trovano in Ascoli, i baroni ribelli i quali si recano a Corneto per organizzarvi lultima resistenza. I contadini cornetani filoangioini, tuttavia, tradiscono i filosvevi che vengono giustiziati. Gli abitanti di Corneto vengono passati a fil di spada, le mura vengono abbattute, il villaggio saccheggiato, incendiato e raso al suolo. Il 10 febbraio 1280 il Re Carlo dAngiò conferma al capitolo Cattedrale di Ascoli il diritto di riscuotere le decime nel territorio di Ascoli, candela e Corneto. Nel 1300, dal punto di vista ecclesiastico, assurge a ruolo di Arcipretura ed era meglio dotata delle stesso Capitolo Cattedrale di Ascoli. Papa Innocenzo XII (1691-1700), intorno al 1697 estese il culto del Beato Benvenuto da Gubbio. Corneto fu feudo dei Benedettini della Trinità di Venosa. Per aver parteggiato per la casa Sveva fu rasa al suolo da Carlo dAngiò nel 1268. Da allora Corneto non è stata più ricostruita. Un chilometro più a sud dal sito della vecchia città oggi esiste una grande masseria, centro di numerose aziende agricole. E stata masseria di campo e posta delle pecore nellambito della Dogana della Mena delle Pecore, fino alla soppressione napoleonica del 1806 e 1809. Nel centro della masseria esiste ed è funzionante la chiesa rurale dedicata a Maria SS., S.Giovanni Battista e Benvenuto da Gubbio che è sede della Parrocchia rurale. La Chiesa fu fatta costruire nel 1788 dal Priore del Baiulato della Trinità di Venosa, F. Alessandro Villani. Nel 1936 il Vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola Mons. Vittorio Consigliere (1932 1946) fece restaurare la Chiesa dedicata a Maria SS., S.Giovanni Battista e al Beato Benvenuto da Gubbio con le offerte dei signori Gentile, Pavoncelli, Ciampolillo, Chieffo, Cibelli, Pistacchio e DAgostino. Il Vescovo di Ascoli Satriano e Cerignola Mons. Mario Di Lieto (1957 1987) elevava la Chiesa a Parrocchia rurale. Laltare è in pietra calcarea con in rilievo la Croce dei Cavalieri di Malta. Le suppellettili sono sistemate in un armadio a muro. Sulla parete destra esiste una lapide del baiulo di Venosa, dei Cavalieri di Malta. Dirimpetto si trova una lapide che riporta i nomi di coloro che contribuirono al restauro nel 1935. La Chiesa è in ottime condizioni di conservazione e manutenzione. E una Chiesa attiva. Sullaltare esiste una tela ad olio. Il pavimento è in quadroni di argilla cotta. La facciata è decorata con lesene modanature. Il frontone è a traccia mistilinea e curva ellittica. Il campanile è spostato sul lato destro ed è zoppo. il Beato Benvenuto nacque a Gubbio nel 1190 da nobile famiglia. Si stabilisce a Corneto nel 1224. Dallinchiesta fatta su frate Benvenuto da Gubbio nelle 43 testimonianze raccolte, i miracoli sono stati vari: guarigioni da malattie, restituzione di parola, liberazione dei campi dai bruchi, guarigioni di indemoniati. I luoghi dove si sono verificati i miracoli sono stati: Corneto, Ordona, S. Agata, Salsola, Candela, Montemarano, Foggia, Melfi, Minervino e Pescopagano. Morì il 27 giugno 1232, Fu proclamato Beato da Papa Innocenzo XII nel 1697. E Patrono di Deliceto (FG).
FEDERICO II, IMPERATORE - Ricostruisce il suburbio di Corneto che si sviluppa intorno alla Chiesa di S.Giuliano nellanno 1200. La città di Corneto fu distrutta nel 1190. Nel 1216 concede ai Cavalieri Teutonici il Feudo di Bisciglieto in agro di Ascoli. Il 26 dicembre 1220, durante il governo della Diocesi da parte del Vescovo Giovanni Da Monte, conferma quanto stabilito dal re Guglielmo II, al Capitolo Cattedrale medievale di S. Maria in Principio di Ascoli il privilegio di riscuotere le decime nei territori di Ascoli, Candela e Corneto ed in un luogo assegnato per la vendita delle merci sulla piazza della città. Nel 1226 concede al Vescovo di Ascoli Giovanni da Monte il diritto di riscuotere le decime degli ebrei di Ascoli. L8 settembre 1231 concede allOrdine teutonico le terre presso Corneto, in località Acqualata. Hubert Houben L'Ordine religioso-militare dei Teutonici a Cerignola, Corneto e Torre Alemanna Kronos. Periodico del DBAS (Dipartimento Beni, arti, storia), Lecce 2 (2001) Convegno «Il territorio di Cerignola dall'età normanno-sveva all'epoca aragonese» (XIV Convegno «Cerignola Antica»), il 29 maggio 1999, i cui atti sono ancora in corso di stampa. La storia dell'Ordine teutonico nella così detta Terra di Capitanata, odierna provincia di Foggia, interessa quasi esclusivamente le aree di Cerignola, Corneto (a sud-est di Ascoli Satriano) e di Torre Alemanna. Terminus post quem di questa storia è la scelta di Federico, nel 1223, di fare della Terra di Capitanata la sua residenza preferita. Da allora, di fatti, vari documenti sia di tipo pubblico (Statuto sulla riparazione dei castelli del 1240-1245, il Quaternus de excadenciis Capitanate del 1248-1249, le donazioni di Federico II, per il tramite del suo consigliere Ermanno Salza, nel 1231 ai Teutonici di Corneto, le Rationes decimarum del 1231, etc.) sia di tipo privato (alcune donazioni, datate tra il 1224 ed il 1227 a Corrado di Basilea, commendatore teutonico in Barletta, da parte di abitanti di Cerignola, Corneto, Ascoli Satriano e Melfi; altre donazioni del 1231, del 1237 e fino al 1326 fatte questa volta al commendatore teutonico di Corneto) attestano in modo chiaro che l'ordine dapprima espande, per il tramite della sua commenda di Barletta, i suoi possedimenti nel territorio di Cerignola, Corneto e Melfi, e poi vede nascere, nel 1231, la nuova e da subito potente sede (commenda) di Corneto, ancora forte lungo i primi decenni del 1300 ed attiva, anche se con diversi problemi, almeno fino al 1349 (distruzione di Corneto a causa della guerra tra Giovanna I e Carlo III di Durazzo), quando lascia il suo primato alla vicina Torre Alemanna, con cui formerà un tutt'uno, attestata per la prima volta nel 1334 ma fiorente soprattutto durante il '400, al pari allora solo delle sedi teutoniche di Bari, Brindisi e Barletta, come confermano anche le testimonianze archeologiche. In un atto del 9 maggio 1489 conservato nell'Archivio del Monastero di Montevergine si legge che tale Quattrocchi Polidoro, di Ascoli, fa istanza al re di Napoli di concedergli una "mezzana" in Corneto per far pascolare e suoi sessanta buoi al posto di un'altra "mezzana", dote di sua moglie, dove ora pascolano "le jumente de la ...Maestà". Il re accoglie la supplica. "regio dohanerio pecudum apuliae", in data 21 ottobre 1488, dopo accurate informazioni, concede al Quattrocchi una mezzana in Corneto (XV,75). Testo del regesto n.4440: Foggia. In un atro atto risultano in Corneto ben tre parrocchie: S.Giovanni, S. Pietro e S.Maria oltre alla chiesa di S.Francesco. REGESTO DELL'ANNO 1455. Il Convento e la chiesa di San Giovanni Battista: il Convento diventa luogo francescano a partire dallanno 1455; il Convento e la chiesa di San Potito: La fondazione del convento e della chiesa nel 1623, segnò linsediamento in Ascoli del movimento francescano dei Frati Riformati. La chiesa fu consacrata nel 1765 dal vescovo Mons. Giuseppe Campanile; il Convento di Corneto: Questo luogo francescano è sicuramente il più antico. La sua origine è legata alla presenza in Corneto di frate Benvenuto da Gubbio nel 1224. La prima testimonianza ci parla di un frate Nicola, guardiano dei frati in Corneto. Tale frate forse è il fondatore della comunità francescana di Corneto. Altra figura francescana di notevole importanza fu il beato Ludovico da Corneto, dove nacque nel 1500; la Colonna crocifera Francescana: ai limiti del piazzale antistante il complesso religioso francescano ( chiesa e convento di San Potito ), è installata una colonna con in cima una scultura ad altorilievo di chiaro simbolismo francescano. La colonna è costituita da una breccia calcarea chiara a grosse scaglie non di origine locale. E quasi certamente una colonna di origine romana riutilizzata per apporvi il simbolo cristiano della croce. Installata su una base quadrata, ha in alto un accenno di capitello dorico, sul cui pulvino è sistemata una Croce di pietra grigia, scolpita ad altorilievo. Su un lato è scolpito un Cristo in Croce, sul lato opposto è scolpito la Madonna. Sul collo del capitello è inciso il simbolo francescano, dal lato opposto si legge lanno dellinstallazione: A.D. 1689.
MANDURIA
Quattrocchi da Lavello (PZ) con Scipione Quattrocchi (I metà XVII sec.), coniugato con Virginia De Vincentiis, di professione giureconsulto (UJD). Questa famiglia ebbe un prete e una monaca Benedettina. (LM,col.1783).
Iconografia Nicolaiana a Manduria - Fondazione Terra D'Otranto - Nel 1720 la famiglia Arnò Quattrocchi, devotissima di questo Santo, fece costruire a proprie spese un altare di marmo nella chiesa dei PP. (o il Santo in Trasferta)
Morte di San Nicola. Scritto da Nicola Morrone. (04/02/2013 fondazione terradotranto)
San Nicola di Bari,
si sa, è il patrono di Uggiano Montefusco.
Nella frazione di Manduria esiste infatti la cappella del sec. XVIII dedicata
al Santo, corredata della statua di cartapesta dipinta del sec. XIX e del relativo
reliquiario.E sarebbe interessante che i ricercatori locali precisassero, nei
limiti consentiti dalla documentazione disponibile, quando è stato introdotto
a Uggiano il culto del Santo. Ma esistono tracce di una devozione per San Nicola
anche nella vicina Manduria. Le abbiamo recentemente rintracciate e ricostruite,
anche sulla scorta di un interessante documento manoscritto a firma di don Salvatore
Greco (1842-1922), arciprete di Manduria dal 1898 alla morte. Tale documento
si trova nel Fondo Manoscritti della Biblioteca Comunale di Manduria, recentemente
riordinato dallo studioso Elio Dimitri e cortesemente messo a disposizione dei
ricercatori di patrie memorie dalla Dott.ssa Carmelina Greco. Il foglio manoscritto,
collocato MS-A-XVII-13, può ben rappresentare, per le notizie in esso
contenute, un ragguaglio storico sulliconografia nicolaiana a Manduria.
Lo abbiamo verificato ed approfondito, per avere unidea complessiva delle
tracce superstiti del culto del vescovo di Myra nella città messapica.
Di cosa si tratta? Di una lettera, che don Salvatore Greco inviò il 25
Settembre 1898, su richiesta dal vescovo di Oria, fornendo alcune indicazioni
storiche sul culto di San Nicola nella nostra città, poco prima che Leonardo
Tarentini pubblicasse la sua Manduria Sacra, uscita per i tipi della
DErrico nel 1899. Siamo portati ad immaginare che il Greco si sia consultato
con il Tarentini per le notizie storiche da fornire al vescovo: il Tarentini
era infatti a quellepoca il miglior conoscitore delle vicende storiche
della chiesa mandurina, nelle sue varie articolazioni. Morte di San Nicola.
Larciprete della chiesa matrice afferma di essersi comunque documentato
soprattutto nellArchivio della Collegiata, che allepoca del Tarentini
rappresentava una vera miniera di notizie, prima delle dispersioni di documenti
che ebbero luogo nel sec. XX. Orbene, nella sua notizia il Greco afferma testualmente
che nellanno 1300 esisteva in questa Collegiata un altare dedicato
a San Nicola, di cui si ignora lorigine. Nel 1555 lo stesso altare fu
demolito e rifatto immediatamente .Nel 1755 fu assolutamente distrutto per le
modifiche avvenute nella chiesa, ma il Capitolo per conservare la memoria del
Santo fece scolpire una statua in pietra di Lecce, dorata, che tuttora esiste
in una nicchia nellabside dellaltare maggiore. Nel 1640 esisteva
fuori dalle mura di questa città una chiesolina dedicata al Santo, e
propriamente sita alla metà di quel viottolo che comincia poco più
in là del convento dei Padri Passionisti, e avea detta chiesa un altare
ed un affresco rappresentante il Santo Vescovo fra un coro di angeli.[
.]
Nel 1737 la detta cappella era quasi cadente, tanto che il Capitolo medesimo
ne ordino la demolizione, e fino a questi ultimi tempi si vedevano gli
ultimi avanzi. Nel 1720 la famiglia Arnò
Quattrocchi, devotissima di questo Santo, fece costruire a proprie spese
un altare di marmo nella chiesa dei PP. delle Scuole Pie in Manduria, ed ora
la Congrega del Carmine, con un quadro di tela rappresentante la preziosa morte
del Santo Vescovo. Il bozzetto di detto quadro trovasi nella Chiesa degli ex
Cappuccini di Manduria, ora i frati minori di San Francesco, regalato dal sig.
Felice Sala. Nella Chiesa dellImmacolata anche in Manduria nel 1737 esisteva
un altare, dedicato al detto Santo fin dal 1667, con un affresco rappresentante
il Santo in atto di pregare. In conclusione, lunico elemento superstite
di una vera e propria devozione per il Santo Vescovo di Myra a Manduria è
attualmente la cappella collocata nella chiesa dei SS. Apostoli (comunemente
detta delle Scuole Pie), sul lato destro dellunica navata. Si tratta di
una notevole testimonianza darte, di marca schiettamente barocca, costituita
da un insieme organico e ben strutturato di elementi architettonici, plastici
e pittorici. Essa documenta la presenza di una devozione di segno aristocratico
(di cui non possiamo valutare lattecchimento nella popolazione, per mancanza
di testimonianze): liniziativa della costruzione della cappella si deve
infatti alla famiglia patrizia degli Arnò
Quattrocchi, che nel 1710 (secondo il Tarentini) o nel 1720 (secondo
Don Salvatore Greco) vollero finanziare la realizzazione dellopera, come
documentano, tra laltro, gli stemmi nobiliari posti nei cantonali della
macchina daltare. La cappella è caratterizzata dalla presenza di
un sobrio altare, un commesso marmoreo ad intarsio (verosimilmente opera di
artefici napoletani), e da una cona poco aggettante , che occupa lintera
parete della cappella, e che è qualificata dalla tela centrale, un dipinto
di ambito pugliese raffigurante la Morte del Santo, risalente, secondo la recente
catalogazione effettuata da M. Guastella (2002) alla metà del 700. Ai
lati della tela, due interessanti inserti plastici: due putti alati su mensole,
che reggono gli attributi iconografici di San Nicola, denotanti la sua dignità
episcopale, cioè la mitra e il pastorale (questultimo perduto).
Manduria
è attualmente la Cappella collocata nella
Chiesa dei SS. Apostoli (comunemente detta delle
Scuole Pie). Dedicata a
Arnò Quattrocchi. Nel 1720 la
famiglia Patrizia Arnò Quattrocchi, devotissima
di questo Santo, fece costruire a proprie spese un altare di marmo nella chiesa
dei PP.
Iconografia Nicolaiana a Manduria (o il Santo in Traferta)
SLAVIA - Bari e la Russia, da un Millennio Uniti nel Culto di San Nicola. Un Pezzo di Russia nel Cuore di Bari
Se Bari è la città più
russa dEuropa cè un luogo al suo interno che è più
russo di altri. Il tutto, grazie a san Nicola.
Oltre alla rinomata basilica, che svetta maestosa nella zona vecchia, il quartiere
Carrassi custodisce infatti un altro gioiello architettonico: la chiesa russa,
anchessa dedicata al santo, che racconta la storia di un legame profondo
tra Bari e la Russia
che dura da oltre un millennio. Costruito nel 1913,
il complesso è stato poi acquistato dal Comune
di Bari nel 1937 e riconsegnato nel 2007 al Patriarca
Russo in seguito alle richieste del presidente Vladimir
Putin, in visita di Stato nel capoluogo pugliese. Due luoghi simbolici,
che rendono omaggio ad una figura cosmopolita, celebrata dai baresi e dai cristiani
ortodossi dellEuropa dellest, fino ad arrivare alle porte del Cremlino.
Bari è per i russi il terzo luogo di pellegrinaggio
dopo Roma e Gerusalemme.
In Russia Mikula è
patrono nazionale, venerato con il nome di isapostolos, simile agli apostoli.
Si pensi anche che al santo era particolarmente devota la casata imperiale dei
Romanov, che allinizio del 1800 impose il
nome di Nicola ai successori del trono degli zar. Ma per i baresi cè
soprattutto una data che costituisce il cuore pulsante della propria storia
religiosa: il 1087, quando 62 marinai trafugarono le reliquie del santo dalla
città di Mira, in Licia
(lodierna Turchia meridionale). Le ossa arrivarono in città tre
settimane dopo, il 9 maggio. Da allora Bari è
meta di pellegrinaggio e la festa di San Nicola,
che si celebra il 6 dicembre, è sinonimo di un rito collettivo che marca
il calendario di tanti altri Paesi. Dai Balcani
agli Urali, è tutto un tripudio di cappelle,
chiese e monasteri a lui dedicati.
Il santo viaggiatore Della vita di Nicola non sappiamo
molto, anche perché quasi tutte le fonti sono posteriori alla sua morte.
Nato a Patara nel III secolo d.C. da una famiglia benestante, Nicola visse in
un contesto storico molto delicato, che va dalletà dei Tetrarchi
al periodo dellimperatore Costantino, autore dellEditto di Milano
del 313 che sancì la libertà di culto per i cristiani. Rimasto
orfano si trasferì a Mira, antica città greca sulla costa licia
dellAsia Minore, dove divenne vescovo e ricoprì lincarico
di defensor civitatis, riuscendo ad ottenere dallimperatore un abbassamento
delle imposte per la sua città. Secondo lo storico dellarte Michele
Bacci, autore di una recente biografia del santo, anche se Nicola si schierò
a fianco dei più deboli (celebri i suoi interventi a favore degli innocenti
ingiustamente condannati a morte) le sue gesta non furono prodigiose, sebbene
gli siano attribuiti molti miracoli. In realtà, come spiega lo studioso
barese Nino Lavermicocca, si tratta di gesti che
si inseriscono nel sostrato culturale di quel tempo, anche con lapporto
di specifiche leggi. Per fare un esempio, i pesatori del miracolo del grano
(che arrivava a Costantinopoli dallEgitto con apposito scalo delle navi
a Mira) erano in realtà i mensores, gli addetti alla distribuzione ai
forni pubblici. La fama dei miracoli di Nicola si diffuse comunque rapidamente.
Alla sua morte, avvenuta nella prima metà del IV secolo, il culto si
diffuse ben oltre i confini della città di Mira, arrivando fino alla
capitale Bisanzio, per poi spopolare in tutta larea orientale. Alcune
fonti ci dicono anche che Nicola avrebbe partecipato al Concilio di Nicea del
325, presieduto da Costantino. Un evento epocale, allorigine del canone
testamentario della dottrina cattolica. Infatti, fu allora che vennero scelti
i quattro vangeli sinottici, poi separati dagli apocrifi. Il ruolo di Nicola
sarebbe stato però marginale. Pare infatti si sia limitato a convertire
il filosofo pagàno Teògnide. Sempre stando ad alcune fonti, la
sua vita sarebbe stata anche ricca di pellegrinaggi in vari Paesi del Vicino
oriente, anche se molti sono ammantati di unaura di leggenda. Tra questi
la sua presunta tappa a Bari, della quale parla lo storico barese del XVI secolo
Antonio Beatillo. Loccupazione Normanna
e limpresa dei marinai baresi Durante lalto medioevo i pellegrinaggi
alla tomba di Nicola a Mira aumentarono a dismisura. Limpero bizantino,
culla della cristianità, era in profonda crisi a causa delle incursioni
di alcune popolazioni come i Normanni di Roberto il Guiscardo, che in pochi
anni sottomisero lItalia meridionale. Bari, conquistata nel 1071, perse
la sua centralità nel Mediterraneo a vantaggio di Palermo. Limperatore
bizantino Alessio I Comneno doveva fronteggiare
anche lattacco dei Turchi Selgiuchidi che nel 1085, dopo essersi impossessati
di gran parte dellAnatolia, presero anche la città di Antiochia
e lintera Cilicia. È forse in quel
momento che i baresi pensarono di trafugare le ossa del santo da Mira, temendo
che potessero essere conquistate dai musulmani. Lintento forse era quello
di ridare dignità ad un sentimento religioso di matrice bizantina al
quale lestablishment barese si sentiva ancora profondamente legato nonostante
loccupazione normanna. Alcuni storici ipotizzàno che si trattò
di un colpo di mano deciso in accordo con le autorità bizantine. NellAlessiade
la storia dellimperatore Alessio scritta dalla figlia Anna non si accenna
nemmeno allimpresa. La spedizione, alla quale erano interessati anche
i veneziani, probabilmente fu resa possibile grazie al nulla osta, dietro corrispettivo,
dellemiro Mansur, che reggeva la città di Antiochia. Tra laltro,
uno dei luoghi comuni entrati a far parte della tradizione vuole anche che i
62 marinai baresi siano salpati a bordo di tre caravelle di proprietà
degli armatori Dottula. Un falso storico ormai ampiamente documentato, visto
che quel tipo di imbarcazione apparve più di tre secoli dopo. Secondo
la Legenda Gerosolimitana il viaggio sarebbe durato tre settimane. Il 9 maggio
le reliquie arrivarono a Bari e furono ospitate prima nel Monastero di San Benedetto,
e poi nella chiesa di SantEustazio. La basilica fu costruita poco tempo
dopo, utilizzando un terreno della corte del Catapano (sede dellantico
governatore bizantino). Due anni dopo, nel 1089, Papa
Urbano II pose le reliquie sotto laltare della cripta. La diffusione
del culto e il legame con i russi Dopo la morte di Nicola, il mito delle sue
gesta si diffuse in tutti i Paesi di rito ortodosso. Secondo Mariagraziella
Belloli, autrice di un piccolo saggio sulla chiesa ortodossa barese,
il suo Culto cominciò a diffondersi in Russia dove è soprannominato
Ruskij Bog (il Dio Russo)
intorno al 988, sotto il regno di Vladimiro
il Grande. Il contesto storico era alquanto propizio, perché Vladimiro
aveva favorito la conversione della nazione al cristianesimo. Come ricorda Lavermicocca,
la città di Bari era nota ai russi sin dal X secolo grazie al reggimento
di Rus, un corpo di guardie scelte dei bizantini, ma anche per via di una serie
di contatti di matrice religiosa. Uno degli eventi più drammatici di
quegli anni, lo scisma del 1054 che aveva portato alla separazione tra chiesa
greca e latina, fu difatti oggetto di un concilio tenuto proprio a Bari nel
1098. E pochi anni prima, nel 1091, Papa Urbano II aveva fatto dono al principe
di Kiev di una parte delle ossa del santo contenute in una cassetta lignea.
Uno dei primi Pellegrini Russi che resero omaggio alle reliquie di san
Nicola fu il monaco Barlaam, noto come il
pellegrino di Rostov, che visitò la città di Bari tra il 1459
e il 1460. Un Manoscritto Russo del 1700
riporta anche la storia avventurosa del quale sarebbe stato protagonista. Arrivato
nella città pugliese, gli sarebbe apparso proprio san Nicola, intimandogli
di andare in un mercato vicino dove un mercante gli avrebbe poi venduto unicona
al prezzo di tre denari dargento. Sulla via del ritorno il santo gli sarebbe
nuovamente apparso nei pressi del fiume Ulejma, a pochi chilometri da Rostov,
ordinandogli di fermàrvisi. La notizia dellapparizione e si diffuse
in poco tempo, così da indurre gli abitanti di Dubrovskoe a costruire
una cappelletta nella quale venerare licona sacra di Nicola. Successivamente,
su richiesta del principe di Uglic, Andrei Vasilievic, furono avviati i lavori
di edificazione di un monastero. Lepisodio è solo un esempio delluniversalità
del mito di san Nicola, che continuò ad attirare per secoli migliaia
di pellegrini a Bari. Fu per questo motivo che nel XIX secolo lo zar Nicola
Secondo dopo una serie di vicissitudini decise di far costruire a Bari un edificio
di culto che potesse ospitare i pellegrini russi, molto spesso alle prese con
problemi legati al viaggio e a improvvide difficoltà di tipo linguistico.
La città di Bari fu in realtà una soluzione di ripiego. Fin dal
1849 i russi avevano cercato di riportare le reliquie del santo a Mira, con
lintento di costruirvi una basilica, ma la cosa non andò in porto
a causa dello scoppio della Guerra Russo Turca
(1876-78) e seguito di altre scaramucce diplomatiche.
Si decise allora di puntare su Bari, anche se le
motivazioni non sarebbero molto onorevoli. La Società
Russo-Ortodossa di Palestina, che aveva
finanziato limpresa su impulso dello zar, volle acquistare lì un
terreno soprattutto per proteggere i pellegrini russi dalle continue truffe
perpetrate dai baresi ai loro danni. La costruzione della chiesa fu affidata
allarchitetto Alexej Victoriovich Schusev,
e la prima pietra apposta il 9 maggio del 1913, nellanniversario della
traslazione delle spoglie da Mira. Lo scoppio della
Grande Guerra diede un duro colpo al sogno dei russi di poter finalmente venerare
in pace il loro Santo. Durante il conflitto il complesso fu così utilizzato
dalla Croce Rossa Italiana per accogliere i profughi.
Nel 1937 il comune di Bari, attraverso alcune intricatissime
operazioni acquistò la chiesa russa dallo stato sovietico, scatenando
un contenzioso internazionale. Che rimase tale fino al 2007,
quando la chiesa fu restituita al Patriarcato Russo.
Un legame ancora profondo Oggi il legame dei russi con la città di Bari
continua ad essere forte. A parte le decine di migliaia di pellegrini che vengono
a presenziare il rito ortodosso, negli ultimi anni è cresciuto anche
un turismo di lusso che porta sempre più imprenditori e magnati russi
a scegliere Bari per fare shopping, comprando immobili e terreni. Una presenza
costante, che si attesterebbe intorno ai 12 mila lanno.
Per amore di San Nicola. E del Business made in
Puglia.
Giuseppe Di Matteo 1 maggio 2015
Famiglie_di_Manduria_dal_XV_secolo
Oronzo Guglielmo Arnò. Figlio del medico Francesco Antonio e di Giulia Sorano fu battezzato in Casalnuovo il 2 novembre 1662. Fu pubblico Lettore in medicina nell'Archiginnasio Romano e poeta arcade. Sebbene nati in Corigliano di Terra d'Otranto, possono considerarsi come cittadini di Casalnuovo, due altri distinti medici prozii del Dottor Fisico Oronzo Guglielmo Arnò. Furono questi il medico Filippo Arnò, che sposò in Manduria Donata Del Prete e morì il 28 maggio 1656 e suo fratello Arnò. Furono questi il medico Filippo Arnò, che sposò in Casalnuovo Donata Del Prete e morì il 28 maggio 1656 e suo fratello il medico Giacomo Arnò, che sposò Giuditta Corcioli e morì pure in Casalnuovo il 26 luglio 1678, entrambi figli del medico di Corigliano Francesco Arnò, capostipite del ramo di questa famiglia stabilitosi in Casalnuovo. Così li loda il Tasselli: e nell'eminenza di tal professione di medicina furono molto stimati altri medici di questa terra (Corigliano), come Giacomo Arnò e Filippo suo fratello, che era anche Astrologo.
FOGGIA
I Nostri Antenati a cura di Alberto Mangano www.manganofoggia.it
Da documenti risalenti al periodo della presenza di Federico II a Foggia, si possono estrapolare alcuni nominativi riportati: essi rappresentavano coloro che avevano a che fare con i beni della corona e che venivano riportati come Fittuari. Dalla loro analisi si può verificare se esistono ancora alcuni cognomi e stabilire se oggi esistono famiglie foggiane che vantano antenati di circa 8 secoli fa. Riporto fedelmente quello che riporta un prezioso testo del 1933 di Benedetto Biagi che si intitola Foggia Imperiale che fa proprio un elenco di queste persone. La popolazione della sede imperiale. Al tempo della dominazione Sveva la popolazione di Foggia dovette essere considerevole. Solo nello Scadenziere abbiamo la indicazione di oltre duecento famiglie. Non vha dubbio che queste rappresentarono una piccolissima parte del complesso dei cittadini di questo centro abitato. Noi le troviamo nominate nello Scadenziere solo per il fatto che ebbero in affitto dei beni della corona. Però molte altre dovettero popolare le numerose strade e contrade della città di Foggia Imperiale! E degno di nota vedere che la popolazione è varia, di diversa condizione sociale e dedita a numerose arti ed a svariati mestieri. Sono pastori, agricoltori, macellai, fabbri, fornai, ortolani, calzolai, affittuari, mercanti, orefici, ecc. rimasti a rappresentare il complesso dei cittadini che vivevano nella città, resa splendida da Federico II. Ciò denota il grande impulso commerciale, agricolo, industriale avuto da Foggia nel medioevo. Nellesame dei cognomi, registrati nello Scadenziere, sorprende il vedere che molti di coloro che sono nominati portano il casato di numerose famiglie inscritte nei registri della popolazione attuale. Non è questa la prova più evidente dellattaccamento dei cittadini al natio loco, non è questa la testimonianza più bella delle floride condizioni della città, non è questa la dimostrazione più sicura che essa offriva un ambiente ricco ed igienico alla massa della popolazione? Per curiosità storica, ed anche perché molti dei cittadini attuali possano vedere quanto remota sia lorigine della loro stirpe, riportiamo lelenco delle persone nominate nelle Scadenziere. (Forse sarebbe stato più esatto riprodurre questi nomi e cognomi nel testo originale latino. Comunque avvertiamo che non sempre è possibile avere la certezza che quello che segue il nome sia il cognome, potendo esso corrispondere al nome del padre, o del paese dorigine, di colui che venne registrato nellelenco). Esse sono: Leone Russo. Nicolò di Barbato. Giacomo di Falco. Bartolomeo Giov. DAmato. Giovanni di Bivaldo. Tomaso di Tancredi. Mattia di Leone. Orso di Fabbrica. Leonardo di Vergenetta. Berardo Giov. Di Ruggero. Simone de Bona. Bartolomeo di Sonetto. Pietro Giovanni Greci. Guglielmo di Gualtieri. Riccardo di Massaro. Guarisco di Bisancia. Nicolò de Caro. Giovanni. Benedetto di Trotta. Nicolò di Petricca. Roberto di Sione. Robertino di Palermo. Palmeri Daltina. Berardo Jacono. Roberto Casalfani. Leone Castaldi. Ambrogio di Troia. Donadio de Greci. Riccardo da Lima. Nicolò di Pascale. Riccardo Maraldo. Rainaldo di Civitella. Grimaldo di Bulgaro. Roberto de Melchia. Pietro Maraldo. Marino di Camera. Bernardo di Guerra. Roberto di Gualtieri. Bartolomeo di Grisanto. Giovanni de Serena. Vasacco de Camera. Berteraimo di Bulgaro. Giovanni Biccarosa. Calmieri Giovanni di Bruna. Tommaso di Sulmona. Giovanni dAndria. Leone di Sergio Rossi. Macario de Silvestro. Giovanni di Bernardo. Bartolomeo di Giuliana. Ruggero di Pellegrino. Leone Grassi. Riccardo da Lima. Enrico di Pietrafitta. Giovanni di Gallo. Giovanni dAndrea. Roberto di Milone. Benedetto di Origina. Giovanni di Petracca. Pietro Sicco. Gualtieri di Madio. Giovanni Ricci. Pietro di Troia. Pellegrino di Nicolò. Alessandro di Banca. Roberto di Melchia. Nicolò Calochuro. Giovanni Carazzo. Nicolò di Pietrafitta. Tommaso di Arrenda. Giovanni di Biccari. Pellegrino di Petracca. Nicolò Coppola. Roberto del Cervo. Roberto di Mineiro. Nicolò di Luscogna. Gualtiero di Cosenza. Andrea di Cassidonio. Ruggero di Tancredi. Leone Castaldo. Bernardo di Guerrieri. Girualdo di Rambaldo. Roberto di Sione. Bartolomeo di Poto. Giovanni dAmbrosio. Baliano di Moraldo. Roberto di Marchia. Ippolito di Bona. Giorgio Pizzulo. Marco de Ruggeri. Giovanni della Torre. Alessandro Palmenterio. Roberto di Pulsano. Ruggero di Giordano. Diletta di Sulmona. Pietro di Bianca. Lorenzo di Bitulo. Alfierana de Giorgio. Gregorio dAncona. Trotta Captano. Matteo di Carramano. Giovanni Canapino. Maria Lombarda. Matteo di Serra. Tommaso di Mulone. Iacono Alfieri. Pagano di Todina. Nicola Forti. Roberto di Ariano. Risa Giovanni Forti. Nicolò Russo. Giovanni de Gregorio. Giovanni Russo. Roberto de Luca. Paolo de Rosaria. Nicolò Apporta. Giovanni di Todora Matteo di Barbapietro. Pietro di Montecalvo. Sancto Pietro di Coppa. Porpora de Simeone. Silvestro de Maiore. Giovanni di Contorione. Pietro di Sebastiano. Giovanni Cumini. Giordano di Giardina. Guglielmo dAlberto. Giovanni Ricci. Riccardo di Maraldo. Jacono Elia. Nicolò di Mattaglione. Pietro di Bisancia. Gualtiero Spaciano. Giovanni Greco. Nicolò di Nicolesio. Vitale di Giardina. Pietro di Giacomo. Giovanna de Filippo. Gemma de Grimaldo. Cristoforo di Abbamonte. Giovanni di Matteo. Palma di Bibino Pietro Russo. Giacoma de Luca. Vincenzo di Monopoli. Giovanni di Berardo. Bonaccorso de Rosa. Clemente de Filippo. Nicolò di Salvia. Leonardo Marchesano. Ruggero di Barbamadio. Giovanni dAlfieri. Pellegrino di S.Erasmo. Giovanni di Melchiano. Guglielmo dAlberto. Angelo di Maiorava. Gregorio di Moscato. Nicolò dAlbadocia. Bartolomeo di Silvestro. Riccardo di Bilancio. Terretta di Bonomo. Calmieri Iacono di Giov. Bartolomeo di Giacobbe. Giovanni Quattrocoglioni. Giovanni di Axletino. Guglielmo di Venula. Giovanni Caironi. Mariacita de Tirenzio. Stefano di Caratenuta. Maria di Alferana. Gaito di Pietro. Roberto Pagani. Roberto di Sperveria. Giovanni di Morena. Giovanni Quattrocchi. Marco di Massara. Giovanni Lombardi. Ippolito Giovanni. Bella di Filippo. Giovanni di Ariano. Matteo di Palmeri. Tancredi di Aspilla. Matteo di Noe. Pietro di Abioso. Alberto di Pace. Giardina de Gentile. Pietro di Padule. Lorenzo di Montecalvo. Bartolomeo di Lapagio. Bella di Gaudiano. Jacono Bernardo. Goffredo di Zacheo. Ruggiero di Giuseppe. Guglielmo Scamoso. Alfieri di Cecilia. Matteo di Sprevera. Leonardo di Amelina. Nicolò di Troia. Andrea di Migliorato. Guglielmo di Pietro. Riccardo di Lima. Nicolò di Pietrasecca. Racadino di Camera. Palmeri di Corvo. Giovanni Patrizio. Alessandro di Bancia. Giovanni di Madio. Gemma di Alto. Ambrogio di Troia. Ruggero di Pellegrino. Jeronimo di Roberto. Giovanni dAndrea. Riccardo di Maraldo. Tommaso dArsenda Ambrogio di Giacomina. Taffuro di Enrico. Giovanni Ladrone. Pietro de Riso. Alessandro di Banzia. Roberto di Sione. Roberto de Milo. Goffredo Corbiseri. Berardo di Grisanto. Alessandro di Corvo. Bernardo de Leone. Giraldo de Bulgaro. Napoleone dAmbrosio, Giovanni dAmbrosio, Matteo di Commestabile. Basacco di Camera. Giovanni di Guglielmo. Nicolò de Radulfo. Pietro Maraldo. Calmieri Giovanni di Bruno. Guglielmo dIppolito. Leone di Benfatta. Giovanni dAndrea. Palmiero da Lima. Carsidonio Biccarese. Riccardo di Maraldo. Pellegrino di Calmieri. Taffuro dAmbrogio. Matteo di Mazzone. Ruggero di Maddaloni. Simone di Petracca. Pietro di Sica .Pellegrino di Nicolò. Matteo di Meglio .Alessandro di Corvo .Tommaso di Milone
La Lingua Francoprovenzale in Italia
Il francoprovenzale appartiene, con il francese (lingua d'oil) e l'occitano (lingua d'oc), al gruppo delle lingue galloromanze, a loro volta sottogruppo delle lingue romanze di derivazione latina. Il glottologo Graziadio Isaia Ascoli, con la definizione «francoprovenzale» classificò per la prima volta nel 1873 quella che per lui era una lingua autonoma. Sotto questa definizione potevano stare tutti i dialetti galloromanzi che, pur avendo caratteristiche in comune sia con il francese, sia con il provenzale, contavano fenomeni linguistici specifici, e che li differenziavano da queste due lingue. Il francoprovenzale infatti, lungi dall'essere una mescolanza di francese e occitano, è oggi riconosciuta come una delle principali lingue galloromanze. Le popolazioni alpine che lo parlavano non avevano però alcuna consapevolezza che i loro dialetti, i loro «patois» potessero avere dignità di lingua. La gente delle valli chiamava l'idioma familiare semplicemente «parlà a nosta mòda» o «parlà da nous-aouti». Oggi spesso ci si riferisce al francoprovenzale con il termine «arpitano», neologismo coniato nel ventesimo secolo, nato dal connubio tra la radice «arp», che significa pascolo, e una terminazione che ricalca quella della parola occitano. Si preferisce in questa sede chiamare questa lingua francoprovenzale, seguendo la definizione dell'Ascoli, perché è con questo nome che la legge 482/1999 la riconosce ufficialmente come lingua minoritaria. Nato dalla sovrapposizione del latino alla lingua parlata dalle popolazioni che subirono l'occupazione dei Romani, il francoprovenzale ha conservato traccia del celtico parlato dalle tribù galliche, traccia che ricorre con una certa frequenza soprattutto nella toponomastica. A questo sostrato celtico, presente nel latino parlato dalle popolazioni alpine alla fine dell'impero romano, si è sovrapposta la lingua delle popolazioni germaniche stanziate nella Gallia a partire dal V secolo. Gli studiosi fanno due ipotesi rispetto alle origini del francoprovenzale. Una scuola ritiene che si tratti di una forma arcaica del francese, meno soggetta alle innovazioni per la lontananza del territorio alpino dal centro del paese e da Parigi. Un'altra scuola sostiene che le marcate differenze tra francoprovenzale e francese siano da ricondurre alle diverse lingue parlate dalle popolazioni germaniche insediate nei territori dell'impero romano. I franchi, stanziati nel centro e nel Nord del paese avrebbero dato origine al francese moderno. I burgundi, che fondarono il regno di Borgogna nella parte orientale del paese, generarono la parlata francoprovenzale. Tutte parlate derivate dal latino, beninteso, che acquisirono caratteristiche specifiche per influenza dalle lingue germaniche dei nuovi padroni.
La Lingua Francoprovenzale nelle Puglie
Laltro posto del mondo dove si parla il francoprovenzale, che adesso viene chiamato più spesso arpitano, è distante circa 800km, ed è larea comprendente la Francia centrorientale, nei pressi del confine con lItalia, la Valle DAosta, la parte nordoccidentale del Piemonte e la Svizzera occidentale. Si tratta di una delle tre lingue galloromanze insieme al francese e alloccitano, che si parla nella Francia meridionale. limmagine della mappa che illustra dove si parla il francoprovenzale, dove figurano incredibilmente separati i due Comuni di Faeto e Celle di San Vito. Lesistenza di questa peculiarità allinterno della Puglia non è ancora chiara per tutti gli studiosi. Lunico fatto che mette tutti daccordo è che tra il Duecento e il Quattrocento alcune persone parlanti una lingua galloromanza hanno fondato lisola linguistica in Puglia.Con tutta probabilità il fatto che si siano materializzati a un certo punto delle persone che parlavano una lingua a circa 800km di distanza è da collegarsi con larrivo di Carlo I DAngiò. La superstar capetingia, e ricordiamo che i Capetingi non sono altro che una famiglia aristocratica dei Franchi, che non sono altro a loro volta che una tribù germanica e tra i più numerosi progenitori dei francesi e dei centroeuropei (mitteleuropei, a essere raffinati), scese nel Sud Italia nel 1266 dopo che Papa Clemente IV gli offrì la Corona del Regno di Sicilia in cambio della rinuncia ad almeno la Lombardia e la Toscana. I vari Papi, intimoriti da un sovrano che mirasse a tutta lItalia, e verosimilmente alla fine anche a Roma, si presero la briga di offrire la Corona del Regno di Sicilia a chiunque promettesse loro di non cominciare poi a conquistare tutta la penisola, cosa che stavano cercando di fare Federico II, il puer Apuliae, e poi suo figlio Manfredi, allora Re di Sicilia.
FAETO - CELLE (SAN VITO) - LUCERA E LA LINGUA FRANCOPROVENZALE
"Atti del Congresso internazionale di scienze storiche (Roma, 1-9 aprile 1903)"
A questi signori devo io l'aver potuto spigolare le poche
notizie di cui intratterrò ora i miei gentili uditori. Ma devo pure riconoscenza
al più caro amico e collega che avessi io allora in Foggia, il defunto
prof. Quattrocchi, napoletano, uomo dotto,
filologo profondo, noto anche in Inghilterra e negli Stati Uniti di America.
Fu egli che mi fece sapere che, nel libro pubblicato dal Papanti qualche anno
prima (erasi allora nel 1898) in occasione del 6" centenario del boccaccio,
trovavasi la versione, nell' idioma di Faeto e Celle, della novella IX. P giornata
del Decameron. Se la notizia avuta dall'amico diletto mi fece piacere, essa
aveva" smorzato" alquanto i miei ardori di scoprire che sta per esclamare
Eureka! Ma l'ottimo collega massicurava che ben pochi in Italia, malgrado la
pubblicazione del Papanti, conoscevano l'esistenza di Faeto e Celle(di Sa Vito).
0 sapevano che il loro linguaggio era Provenzale. Ed io pure maccorgevo che
il Quattrocchi diceva il vero, che parecchi
miei articoli su questo argomento pubblicati sulla centenaria Gazzetta di Venezia,
sul Vol. di Avignone. Sul Pensiero di Nizza (Marittima), sulla Geografia per
tutti, di Milano, ecc. ecc., destavano l'universale meraviglia. I Foggiani stessi,
per la maggior parte ignoravano che nel loro circondario vi fossero seimila
persone che parlassero provenzale. Mi decisi allora di, fare un lavoruccio su
queste colonie provenzali. Dedicai la modesta opera mia a quel grande letterato
e uomo politico che fu Ruggero Bonghi, nato da famiglia lucerina. Egli ne "'gradì
la dedica e parlò" del mio libretto nella sua Cultura. Mi aiutò
assai col consiglio del barone L. De Berluc-Perussis, il forbito scrittore franco-provenzale,
il brioso poeta che ora piangiamo per la troppo presto dipartita, di un così
alto studioso della Filologia di cui era antica e salda colonna. Questo illustre
discendente delle nobili famiglie Berlucchi, di Milano, e Peruzzi, di Firenze,
mi incoraggiò" e mi diede ottimi suggerimenti. Se il parroco di
Faeto mi favoriva preziosi manoscritti e buone note completanti la troppo breve
storia di Faeto e Celle del prof. P. Gallucci, il mio illustre e diletto amico
De Berluc mi prodigava preziosissime note storiche e filologiche sulle colonie
provenzali, specie sul decreto emanato l'anno 1273 da re Carlo I d'Angiò,
per invitare i Provenzali a venire a ripopolare le terre di Lucera, dopo lo
Sterminio da parte dei Saraceni.
Mio incoraggiatore e protettore fu pure l'onorevole Eugenio Maury, deputato
di Foggia, il quale mi promise persino di farmi dare dal Ministero di Istruzione
Pubblica qualche sussidio per i miei umili studi. L'on. Maury mi scriveva, a
questo proposito, nell'aprile del 1894:. Lodo grandemente il suo desiderio di
mantenere vive le tradizioni storiche delle Puglie, e vorrei che Ella, con l'amore
alle origini della coltura provenzale che tutti le riconoscono, intraprendesse
una raccolta, dei vocaboli della lingua ancora parlata a Faeto e Celle. Fra
dieci anni, l'istruzione obbligatoria, livellatrice di tutto, ne avrà
disperse forse le traccie. Della grande fonte originaria della coltura provenzale
rimane forse ancora, in quelle due cittadine, qualche fresca rimembranza sia
nelle leggende, sia nei dictons. Avevo in animo di promuovere ricerca siffatta
dal Minist. I. P. Potendo farle dare incoraggiamento a compierla, accetterebbe
lei l'incarico? Nè incarico nè sussidi io mi ebbi mai. Feci uscire
ugualmente il mio lavoro, e la sola soddisfazione ch'io provai fu di sentire
che la stampa d'Italia e di Provenza, rappresentata dai giornali più
seri e più importanti, dalla Gcu:;. di Venezia, al , e W. Aioli di Avignone,
"Dalla Opinione di Roma, dalla Sem di Milano, all'Università di
Bukarest, al Secolo, di Lisbona, ne parlarono favorevolmente. Ed ancora ultimamente
il Corriere d' Italia, di Parigi, riportava, colla mia poesia al Vecchio Castel
Saraceno, di Lucera, dei cenni sul mio povero libruccio delle Colonie Provenzali.
Dire ora, il più brevemente che mi sarà possibile, come i Provenzali
fondarono Faeto e Celle. Tutti sanno che Lucera, la graziosa cittadella che,
sulle prime alture dei contrafforti dell'Appennino Napoletano o meglio Sannitico.
getta il suo sguardo sull'immenso Tavoliere delle Puglie, il vasto e ricco piano
che misura 60 Km. di lungh. (per 40 Km. di largh. circa), Lucera che sembra
voler proteggere quasi naturale custode, da secoli parecchi, la Capitanata Daunia
" tutti sanno, ripeto, che Lucera " un'antichissima e illustre città,
antica come Arpi, la Foggia dell'epoca romana, antica come Siracusa, come Roma.
La città, ora sede dei più alti Tribunali è uno dei più
rinomati Collegi nazionali dell'Italia meridionale, vuolsi fondata da Diomede
uno dei principi greci che pugnarono più strenuamente durante la guerra
di Troia. Durante le guerre sannitiche. Lucera rimase fedele ai Romani, il che
le valse una terribile punizione da parte dei Sanniti, vincitori, le forche
Caudine. Nell'anno 430 dopo la fondazione di Roma, Lucera è ricevuta
come colonia Romana. Vi si inviarono da Roma 500 cittadini per ripopolare la
città, per conservare la conquista ed avere una piazza forte che tenesse
in soggezione Apulia. Lucera dinenne una colonia togata. Da Lucera furono coniate
delle monete, fra cui quella detta Rumeliu e sotto Traiano fu edificata Alba
Julia . E forse dai Lucerini, dai Dauni, i nostri fratelli Rumeni hanno ricevuto
quel suono strano, speciale che s'avvicina un po' a quello deì You deir,
semimuta dei Francesi, suono che troviamo nel loro stesso nome Rumeni o Romàni.
Questo suono trovasi in tutto il Tavoliere ancora oggidì. Si attribuiscono
pure a Diomede le fondazioni di Sipontino. di Canosa e di Argyrippa, o Arpi.
Certo " che Lucera " la più antica delle città della
Daunia. Strabone l'appella la Città dei Dauni, ed Orazio la nobile. Il
suo nome vuolsi far derivare da Lux e cosi i"t'r indicare ch'essa era la
luce delle Puglie, che allora si chiamavano Calabria. Altra possibile etimologia
della parola Lucera: Luce nel bosco. Seguendo la digressione svolta dallAmoruso,
si può notare come anche in tedesco i termini licht e lichtung presentano
nessi etimologici e affinità morfologiche. In particolare, lichtung,
radura, corrisponde allantico tedesco loh, bosco sacro, parola ancora
in uso nel tedesco dialettale e riconoscibile persino nelle denominazioni Waterloo
e Oslo. La radice di questa parola la si ritrova nellindoeuropeo loka
(bosco sacro), dalla quale discendono sia il termine greco leux, sia gli affini
etrusco e latino lucus. Dunque, anche per la parola Lucera si può richiamare
una sua derivazione etimologica da lucus, che, a sua volta, discende da lux,
in quanto bosco (sacro) non così fitto da impedire il penetrare della
luce al suo interno. Probabilmente, la sacralità del posto viene evocata
proprio dal manifestarsi del divino attraverso il fascio luminoso che irrompe
nellombra della vegetazione. Pompeo l'anno 49 a. C., ebbe dai Lucerini
17,500 soldati. Ottaviano Augusto creò Lucera colonia militare. Anche
sotto Costantino, anche sotto l'impero bizantino Lucera fu considerata la prima
città delle Puglie. Non fu che più tardi sotto i Longobardi ch'essa
cedette il primato a Bari. Sotto l'imperatore Federico II di Svevia, Lucera
sembra riprendere l'antico splendore, splendore che però non dura che
durante il regno del grande monarca svevo. Lui caduto, cade anch'essa, e invano
tentano di farla risorgere Carlo I e suo tiglio Carlo II d'Angiò, il
quale ultimo le cambiò persino il nome, facendola chiamare, durante il
suo regno, Santa Maria della Vittoria , mal sonandogli all'orecchio quel nome
di Lucera Saracenorum che i Guelfi avavan dato in ispregio alla città
che era sempre stata fedele a Federico II. Pel vecchio castello che aveva albergato,
al dire di alcuni storici, oltre ventimila Arabi fatti venire dalla nativa Sicilia
da re Federico, era ormai sonata l'ora della fine ; la giornata di Benevento,
in cui era caduto il biondo e bello Manfredi, doveva essere fatale a due città
: a Lucera, la città fedele agli Svevi e a Manfredonia, la città
che il figlio di Federico faceva sorgere, destinandola a degna capitale delle
Puglie. Carlo I volle finirla coll'assedio di Lucera che, già da sei
mesi, durava. Nell'agosto del 1269 i Saraceni finalmente si arresero. I superstiti
furono sparsi per tutte le provincie del Regno di Napoli, ma i Cristiani che
vi si trovarono non furono risparmiati dai vincitori, e li passarono a fil di
spada. Dopo allora si pensò a ripopolare Lucera e i suoi dintorni e re
Carlo pensa di farvi venire dei Provenzali. Celle di San Vito e Faeto sono due
Comuni del Subappennino Dauno. Celle (m. 735 s.l.m., 310 ab.) sorge su uno splendido
cocuzzolo roccioso e dista 46 chilometri da Foggia. Faeto (m. 866s.l.m., 995
ab.) è il più alto comune della Puglia, dista 47 chilometri da
Foggia e circa 4 chilometri dalla Campanina; è adagiato su un grembo
montuoso, da dove sembra sorridere e proteggere Celle, che è più
piccolo. Essi distano fra loro 2 chilometri in linea daria. I due paesi
sono circondati da verdi montagne, tra cui il M. Cornacchia (m. 1151 s.l.m.)
che è il tetto della Puglia. Sul territorio alita un perenne venticello,
per cui il clima è fresco, asciutto e salutare. Numerose sono le fresche
e cristalline sorgenti che rendono la flora rigogliosa, varia e profumata. Una
caratteristica di Faeto e Celle, che li contraddistingue dagli altri centri
meridionali, è che, quasi come se la lingua fosse stata ibernata, si
continua a parlare il Francoprovenzale. Lorigine del dialetto è
da far risalire alla venuta di Carlo I dAngiò, in Italia.
OTRANTO
13 maggio 2013. Il Papa Canonizza gli 800 Martiri Trucidati dagli Islamici nel 1483
Mentre veneriamo i martiri di Otranto, chiediamo a Dio che sostenga tanti cristiani che ancora soffrono violenze e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene. E magari, non limitiamoci a chiedere a Dio, ma pensiamo a qualche reazione più pratica. Lo ha detto in piazza San Pietro Papa Francesco, durante la canonizzazione degli 800 martiri di Otranto. Oggi ha spiegato il Santo Padre la Chiesa propone alla nostra venerazione una schiera di martiri, che furono chiamati insieme alla suprema testimonianza del Vangelo, nel 1480?. Circa ottocento persone sopravvissute allassedio e allinvasione islamica di Otranto da parte degli Ottomani, furono decapitate nei pressi di quella città. Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, limpero ottomano mirava allespansione nellItalia meridionale spiega il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi il 28 luglio 1480, una flotta di circa 140 navi con 15mila uomini apparve al largo della città di Otranto, che allora contava non più di 6mila abitanti. Prendere la penisola salentina per conquistare lItalia meridionale. In quel momento la difesa della città era sguarnita, perché il presidio era impegnato in Toscana. Ma alla richiesta di resa, gli abitanti rifiutarono, così La città fu bombardata fino al 12 agosto, quando fu conquistata dagli ottomani, che la saccheggiarono, profanarono la cattedrale uccidendo larcivescovo Stefano, i canonici e tutti i sacerdoti e i fedeli che si erano rifugiati in essa, il giorno dopo il comandante della flotta Gedik Achmed Pascià, rinnegato cristiano di origini albanesi convertitosi allislam, ordinò che tutti gli uomini superstiti fossero condotti presso laccampamento turco e costretti a rinnegare la loro fede. Ma gli Italiani non sono Albanesi, e davanti alla minaccia, la loro riposta fu come quella di Quattrocchi. La espresse, per tutti, Antonio Primaldo, un artigiano: Noi crediamo in Gesù Cristo Figlio di Dio, nel quale siamo salvati. Preferiamo mille volte morire che rinnegarlo e farci musulmani. Oggi non solo rinneghiamo, ma regaliamo loro pezzi interi di territorio dove edificare le loro moschee. Dove trovarono la forza per rimanere fedeli? Si chiede il Santo Padre. Gli 800 martiri di Otranto hanno salvato lItalia nella sua identità cattolica e cristiana, ricorda ancora il Cardinale Amato, spiegando come il loro sacrificio contribuì ad arrestare lespansione musulmana in Europa, prima ancora della battaglia di Lepanto (1571) e dellassedio di Vienna (1683). Oggi invece, non cè neanche bisogno dassedio, i politici corrono già con le chiavi della città in mare aperto.
LECCE
AMILCARE FOSCARINI,
Lecce d'altri tempi, in Japigia
ECCLESIA S. JOANNIS QUATTROCCHI
Un Atto del 1596 del notar Paolo Schipa da Lecce
è particolarmente, interessante per la topografia e per la storia religiosa
della nostra città.
Questo atto registra un Breve Apostolico di Clemente III col quale visto che
25 cappelle della città di Lecce come era stato esposto dal Vescovo Scipione
Spina erano dirute ed indecenti, senza rendite e prive di rettori, si ordinava
di sconsacrarle e di ridurle ad usi profani. Si ordinava inoltre di venderle,
o di verderne l'area, e di devolverne il ricavato nell'acquisto di beni stabili
le cui rendite andassero a beneficio della Mensa Capitolare di Lecce. Le Cappelle
(Chiese) erano, come ho detto, 25, che io elenco ordinate per portaggio, come
le trovo notate
Portaggio di S. Giusto
1. Ecclesiae 8. fusti extra moenia intus iardenus quondam magnifici
Paduani Guarini extra portam S. Iusti.
2. Ecclesia S. Viti de tarsi nuncupata (8).
3. Ecclesia S. Marci Calavite.
4. Ecclesia S. Joannis Quattrocchi
(9).
S. Joannis Quattrocchi. La Cappella omonima che dava nome all'Isola, diversa da un'altra Capp. denominata "il Quattrocchi" esistente, nel sec. XVIII, e sita fuori le mura presso quella di S. Giusto che dava nome alla Porta, nel 1508 doveva essere diruta o già demolita, giacchè non è menzionata nella S. Visita del 1544 e nella "Lecce sacra" dell'Infantino. Nell'attuale via Leonardo Prato che facea parte dell'Isola, sorgeva il bello e artistico Palazzo Guarino dove abitava Paduano de Guarino dei Baroni di Acquarica con la famiglia, compreso quel Ludovico suo figlio, poeta e cosmografo che, nel 1570, ne era il possessore......
(I) ARCHIVIO DI STATO m LUCE, Schede notarili,
Atti del Notar Paolo Schipa da Lecce, Anno 1596, pagg. 94 e segg., Atto del
28 maggio. Mi è stato comunicato gentilmente dal direttore dell'Archivio
dottor Giovanni Cota.
(8) L'INFANTINO op. cit., p. 86,-scrive: « Oltre un'altra cappella dedicata
al glorioso S. Vito, invitto soldato di Cristo, della quale s'è parlato
nella Parrocchia della Cattedrale, vi è quest'altra alla quale si unì
gli anni passati un'altra piccola cappella sotto il titolo di S. Nicolò
Vescovo di Mira, si che di due cappelle se ne fè una sola. Questa di
S. Vito possedeva anticamente un piccolo feudo, nominato il Tasso come si trova
notato in una visita antica a tempo di Mons. Tolomei dell'anno del Signore 1480.
(9) Cfr.: FOSCARINI, op. cit., p. 437. AMILCARE FOSCARINI, Lecce d'altri tempi,
in Japigia, VI, p. 435.
Appunti e note Lecce nel '600: rilievi topografici
e demografici I gonfaloni del quattro " pittagi " che componevano
la città. viene riportato: S.
Joannis nuncupata (dedicata) Quattrocchi.
PUTIGNANO
CONTRADA QUATTROCCHI - PUTIGNANO - BARI -PUGLIA
VASTO
CONTRADA QUATTROCCHI - VASTO -FOGGIA- PUGLIA
SAN GIOVANNI ROTONDO
Bollettino ufficiale del Ministero di Grazia, Giustizia e dei Culti
1902 - 16 e 17 del Bollettino ufficiale, riguardanti i signori: Ottolenghi Vittorio, Castagna Riccardo, Quattrocchi Mariano è stato nominato Vicecancelliere alla pretura di San Giovanni Rotondo con lauto stipendio di Lire 1.300. In seguito l'incarico viene tramutato alla Pretura di Termoli. Provincia di Campobasso Molise, conservando la medesima indennità. 1901
sito a cura di Gilberto Quattrocchio e Patrizia Prodan
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