SIMBOLOGIA

La simbologia è soprattutto linguaggio. Dobbiamo tener presente che il nostro linguaggio è composto da simboli, che combinati insieme danno origine ad altri simboli, le parole. I singoli movimenti del nostro corpo rappresentano simbolicamente stati d’animo e altri messaggi che inconsciamente inviamo agli altri: un semplice sorriso sta ad indicare un nostro gradimento o felicità, la smorfia rappresenta il nostro disprezzo, la carezza è un simbolo di affetto, e così via. I simboli sono universali e particolari. Simboli universali sono ad esempio il cuore simbolo di amore, o la spada simbolo di guerra. I simboli particolari sono quelli che hanno un significato particolare solo per una ristretta cerchia di persone o addirittura solo per un singolo individuo. Eppure conoscere il simbolismo, la storia dei simboli, il loro significato, sarebbe fondamentale per comprendere la realtà che ci circonda.

DIZIONARIO RAGIONATO DEI SIMBOLI - DI GIOVANNI CAIRO - FORNI EDITORE

OCCHIO - QUATTRO OCCHI

L'Occhio è naturalmente il protosingrafo della Vigilanza. Gli armeristi usano l'occhio per indicare giudizio retto e intelletto sveglio (Guelfi) La pupilla si trova spesso sui monumenti antichi, ed è l'emblema di Osiride, il Sole che getta gli sguardi su tutto il mondo (Plutarco). La pupilla mistica di Osiride - L'ouzait imbellettato - assicurava al morto la protezione e le virtù del Sole e della Luna. Quattro Occhi riuniti gli concedevano la facoltà di vedere nelle quattro cose del mondo e di esservi in sicurtà. (Cartiglio di Horus con 4 Occhi). Hieroglyphic texts from Egyptian Stelae in the British Museum 1914. Nell'antico Egitto l'Occhio di Horus era simbolo potentissimo di Regalità e di Protezione, chiamato anche UDJAT ossia "Occhio della Perfezione": esso raffigura, infatti, la totalità della conoscenza. 1/4 rappresenta la vista e la luce (pupilla).

(Tratto dal testo geroglifico egiziano dalla Stele al British Museum, V, 1914, p. 48). BM 275 - Nebre (regno di Ramses II )
Manubrio: Hr-wr nb p.t HQA psDtjw Horour (Horus il Vecchio), il Maestro del Cielo, il Principe dell'Enneade. 4 Occhi, Orecchie 2. jr (w) n n qd-sS jmn m st-Sa-Ra nb mAa.t sS-qd Pay Realizzato dal designer di Amon in Place de la verità Nebre, figlio di Pay.1 Testo: livello del giardino (.t) Mascella Rendere culto a Horour, annusare il terreno per colui che ascolta le preghiere. Possa egli mi conceda i miei occhi (occupato) a voir2  il modo in cui comincio a camminare, 3 per il Ka del progettista in Place de la verità Nebre giusto di voce, figlio del progettista Pay giusto di voce. 1  "Made by scriba-di-contorni" participio passivo, può anche essere inteso come una forma relativo verbale con la storia zero (nel testo stesso) .
2  Grafica di H16 Hawk Eye: MAA (vedi indice di caratteri). Segno insolito, lavoro specifico (apparentemente til) di pietà e funerari testi personali del periodo ramesside (l'Hawk Eye si trova nella decorazione simbolica di sarcofagi). 3  L'obiettivo futuro gm = it SDM / mk sw r MDS ha più valore in questo momento "deontica", che il caratterizzato dal Regno di Mezzo, dove la traduzione appropriata "comincio a camminare" (io ti go / a piedi); tj: marcatore circostanziale nel suo valore di tempo ", quando / dove". Commento Gli occhi e le orecchie dietro Horus posizionati nel gancio non legge. L'occhio D6 corrisponde al segno e l'orecchio segno D18 (vedere i segni di indice) sono metaforico qui la sollecitudine di Dio per vedere e sentire chi si rivolge a lui. Il Simbolismo di Quattro Occh
i possono fare riferimento ai quattro punti Cardinali (il Dio Vede Tutto), ma è soprattutto un modo per forzare magicamente visualizzare beneficio della persona che prega. Il Simbolismo di Due Orecchie si riferisce alla proiezione di dio antropomorfo per forzare magicamente ascolto. Il numero di coppie di orecchie varia da stele votiva all'altro, e sulla strada per forzare la benevolenza divina con 188 orecchie 4 Ma la rappresentazione degli occhi meno comune. Il carattere è connu. 5 Nebre  Suo figlio era a letto alle porte della morte, aveva impegno per il dio Amon che ascolta la preghiera di realizzare un monumento in suo nome, se guarigione. Per esprimere la sua fiducia in Dio, Nebre le ha dato una svolta proverbiale (MTY mty BTA jr.t Bak r r HTP nb): Come si riconosce che il servo incline al peccato, così (si riconosce che) il comandante è incline al perdono. 6 La questione è se Nebre affrontare il Dio che ascolta le preghiere se stesso è stato colpito Cecità fisica o se richiede una visione metafisica dei percorsi dell'aldilà? Questo questione dibattuta vedere il simposio Louvre il "Deir el-Medina e la Valle dei Re"

1 "Made by scriba-di-contorni" participio passivo può anche essere inteso come una forma relativo verbale con la storia zero (cioè il testo stesso) Ø jr.n sS-qd (.wt). 2 Grafica di H16 Hawk Eye: MAA (vedi indici). Segno Rare, lavoro specifico (apparentemente til) di pietà e funerari testi personali del periodo ramesside (l'Hawk Eye si trova nella decorazione simbolica di sarcofagi).
3 L'obiettivo futuro gm = it SDM / mk sw r MDS ha più valore in questo momento "deontica" che il caratterizzato dal Regno di Mezzo, dove la traduzione appropriata "comincio a camminare" (tigo / a piedi); tj: marcatore circostanziale nel suo valore temporale "quando / dove".

THOT, SCRIBA DEGLI DÈI E DIO DEGLI SCRIBI

Il Mito del Dio Thot e l'Alfabeto


L’autore di questo mito è Platone, filosofo greco del IV secolo a.C. Il mito esprime la realtà sociale dell’Antico Egitto, dove i potenti ostacolarono la diffusione dell’alfabeto. Infatti, la scrittura alfabetica è semplice: se tutti l’avessero imparata, non sarebbe più rimasta una conoscenza riservata ai sacerdoti e agli scribi, come al tempo dei geroglifici. Udii che presso Naucrati, in Egitto, visse un tempo uno dei loro vecchi dei, a cui è sacro l’uccello che chiamano ibis; questo dio aveva nome Thot. E aggiungono che egli inventò i numeri, il calcolo, la geometria, l’astronomia e anche i giochi del tavoliere e dei dadi e per di più la scrittura. Faraone dell’Egitto era allora Thamus. Thot venne a trovare costui, gli mostrò le arti e disse che conveniva farne dono agli altri Egiziani. Il sovrano s’informò sull’utilità di ciascuna arte, e mentre l’altro gliene faceva l’esposizione, egli approvava ciò che gli pareva ben detto e disapprovava ciò che gli pareva negativo. Così Thamus fece a Thot, per quel che si narra, pro e contro ciascun’arte molte osservazioni che ci sarebbe voluto troppo tempo per ripetere. Il ruolo degli scribi, in Egitto, è stato così importante da avere un nume tutelare: il dio Thot, l’inventore e protettore della scrittura. Thot era anche dio della musica, medicina, geometria, astronomia, magia e simbolo della luna. Thot era un messaggero degli dei e garantiva la conformità degli eventi con i loro desideri. E’ stato identificato dai greci con il dio Ermes, e per questo motivo la città principale per il suo culto è stata battezzata come Ermopoli. Egli governò la “Casa della Vita” (grandi centri di cultura e di magia annessi ai grandi templi) (Tanogabo). In Occidente, Erodoto, Talete, Parmenide, Empedocle, Orfeo, Pitagora, tutti, nella loro epoca, andarono alla ricerca della Saggezza nelle Scuole Misteriche egizie, nella speranza di risolvere i problemi dell’universo. Ammonio Sacca insegnava che la Dottrina Segreta si trovava completa nei Libri di Thot (Ermete), da cui Pitagora e Platone trassero entrambi la loro conoscenza e molta della loro filosofia; e questi libri, egli dichiarava, erano “identici agli insegnamenti dei Saggi dell’Estremo Oriente”. Poiché il nome Thot significa un collegio, un’assemblea, non è per nulla improbabile che i libri siano stati così denominati essendo la raccolta delle dottrine del sodalizio sacerdotale di Memphis. Thoth è stato a volte identificato con il dio greco Ermes o Hermes Trismegistus. Autore della Tavola di Smeraldo fu Ermete Trismegisto, designato dagli antichi Egiziani come una divinità dal nome sacro di Thoth e che, secondo Plutarco, fu il primo in Egitto, a conoscere i caratteri adoperati dagli Dei. La Tavola di Smeraldo è costituita da un “denario” di dieci proposizioni ed è stata tradotta dall'arabo in latino nel 1250. I Precetti furono trovati, prima dell'era cristiana, in una tomba egizia, iscritti su una tavola di smeraldo. Il dio Thot fu anche un dio creatore. La leggenda dice che, sotto forma di babbuino, stava originariamente seduto su uno sperone di roccia che emergeva dalle acque primordiali. Le lacrime che scendevano dai suoi occhi caddero ai quattro angoli del mondo e formarono quattro coppie di divinità che aiutarono a popolare la Terra. Il pensiero ermetico di Thoth veniva divulgato "a quattrocchi" cioè "in segreto".

Vittorio Marchi - I sette principi del Kybalion

Nel Buddismo Tibetano-DZI con 4 occhi

I 4 occhi indicano i 4 maggiori Bodhisattvas. Questi sono esseri illuminati che hanno rinunciato ad entrare nel paradiso per rimanere sulla terra ed aiutare le persone che hanno ancora bisogno. Questo DZI donerà al portatore saggezza, compassione, aiuto a liberarsi dalle sofferenze e fortuna nella vita. Aiuterà nel raggiungimento di meriti particolari.

NUWA E FU XI - SOVRANO CINESE INVENTORE DELLA MEDICINA

Antico dipinto di Nuwa e Fu Xi riportato alla luce nella regione di Xingjian.

La Medicina Tradizionale Cinese è una disciplina estremamente complessa e dalle origini antichissime che soprattutto negli ultimi decenni ha raggiunto anche in Occidente una forte diffusione ponendosi sia come valida integrazione che come alternativa terapeutica alla medicina classica per tutti coloro che ricercano un approccio alla salute più globale e attento all’armonia tra uomo e cosmo. Le origini della Medicina Tradizionale Cinese risalgano a più di 5000 anni fa. Secondo la leggenda risalgono a tre leggendari imperatori: Fu Xi fu uno dei tre mitici sovrani cinesi detti I Tre Augusti, vissuto, secondo la tradizione, tra il 2952 e il 2836 a.C.. Si tramanda che avesse Quattro occhi e una coda di serpente; veniva rappresentato sempre allacciato, tramite la coda, alla sorella Nuwa. E’ ritenuto l'inventore della metallurgia, della scrittura, del calendario e anche l'iniziatore di varie attività umane, tra cui l'allevamento degli animali, la pesca, la musica. Viene ricordato anche per il suo celebre diagramma, detto Diagramma di Fu Xi .... Fu Xi il primo dei tre Nobili Imperatori della mitologia cinese, i San-huang. Secondo la tradizione regnò per (116 anni) o dal 2852 al 2737 a.C. (115 anni). Fu Xi insegnò all’umanità molte arti, tra cui l’uso delle reti da pesca, l’allevamento dei bachi da seta e l’addomesticamento degli animali selvatici. Inventò anche la musica e, cosa molto più importante, gli otto trigrammi (Pakua) che si dice siano la base della scrittura cinese. Gli si attribuisce anche l’invenzione degli oracoli a getto mediante l’uso di steli millefoglie. Si dice inoltre che Fu Xi inventò i cento cognomi cinesi e decretò che i matrimoni potessero avvenire soltanto fra persone che portavano cognomi diversi. Le raffigurazioni di Fu Xi lo ritraggono come un essere umano con il corpo di serpente. Sua moglie è Nü-gua. Nei templi taoisti viene di solito raffigurato mentre porta una tavoletta su cui sono tracciati gli otto trigrammi.

Il mondo degli ideogrammi: una visione storica e linguistica dell’imperatore (Huang)

I Caratteri sarebbero nati così. Fú Xi non fu il solo; anche Huáng Dì, vissuto quattromilasettecento anni fa, è ritenuto il padre della scrittura. L’imperatore Huáng-Giallo avrebbe ricevuto in dono i caratteri da un drago, uscito dalle acque del Huáng he-Fiume Giallo. Un’altra leggenda attribuisce l’invenzione dei caratteri a Cang Jié, ministro dell’imperatore Huáng, si sosteneva avesse Quattro occhi. Cang Jié ammirando la forma delle stelle del firmamento, le venature dei gusci di tartaruga, il volo degli uccelli, le tracce degli animali, ebbe l’ispirazione ed inventò gli Ideogrammi.

I Nostri Mon: il Simbolo delle Casate dei Maestri Samurai

Ci vengono in aiuto tanti piccoli oggetti della vita "quotidiana" del Samurai, che potremmo più verosimilmente immaginare indossati dal maestro. Ecco ad esempio un'altra tsuba (guardia) di spada, decorata col motivo del suo Mon. E ora che lo conosciamo, cercandolo con attenzione, potremmo trovare questo Mon un po' dappertutto. In circa 1200 anni la famiglia Hosokawa ha fatto molto parlare di se, basti pensare che il più famoso samurai di tutti i tempi, Miyamoto Musashi, era al servizio del ramo di Honshu degli Hosokawa (il maestro proviene invece da Shikoku), e venne adottato anche da altre famiglie.Le pubblicazioni specializzate, che hanno una certa diffusione perché i mon si prestano molto ad elaborazioni grafiche e sono comunque molto belli da vedere, li suddividono per tipologia e non per il nome delle famiglie: sarebbe troppo complicato, molti stemmi erano utilizzati da più rami o più famiglie. Per rintracciare l'origine di un Mon quindi bisogna aver bene compreso di quali elementi è composto e ricercarlo nella giusta categoria. Nonostante tutto qualcosa ho trovato, però questo kamon (anche questo termine viene utilizzato), per quanto attribuito alla famiglia Tada, non sembra corrispondere. Per fortuna è arrivato in soccorso nientepopodimeno che il maestro stesso, spiegando durante una lezione che il Mon della sua famiglia rappresenta la luna e un fiore di loto..... Naturalmente anche il maestro Takeda Sokaku che trasmise a Morihei Ueshiba il daito ryu aikijujutsu, l'arte che ha dato i natali all'aikido, era di famiglia Samurai, discendente dal ramo dei Minamoto, famiglia che per secoli ha avuto il dominio sull'intero Giappone, residente nel feudo di Aizu. Il suo mon di famiglia, che ora è anche l'emblema della scuola, che spesso è anche definita semplicemente Takeda ryu, è lo yotsume: il simbolo dei "Quattro Occhi".

 

SARDAN-ERACLE-BAAL-MARDUK-MILQART-4 OCCHI

Associa DAN ai Tuatha de DANA, di cui Lugh era Dio... Infine il nome Beleno non è altri che BAAL, identificato col sole, con SANDONE (SANSONE, SARDONE... SARDO!) Lugh aveva le caratteristiche di ERACLE. Spesso SARDO è chiamato figlio di Eracle, e identificato con Eracle stesso.. come accadeva con SARGON (Sardon) e MARDUK, ambedue rappresentati con ELMO CORNUTO. Alle volte con QUATTRO OCCHI e QUATTRO BRACCIA... PS: Tuatha de DANa = Gente di DANa... o Tribu di DANa...Resta il mistero di uno strano eroe o di una divinità che ci piace chiamare Sardan, a volte identificato con il greco Eracle, il semitico Baal, il babilonese Marduk o il temuto Milqart dei Fenici. Ha quattro occhi (che sembrano quasi occhiali da motociclista) come Marduk, quattro braccia come Apollo a Sparta, la testa circolare sembra contenuta in un casco ed è sormontata da due antenne (come gli dei Mesopotamici) terminanti con due pomelli con tanto di avvitatura, indossa una specie di tuta attillata che termina a girocollo in alto e con due stivali in basso. Porta due scudi con al centro due punte dalle quali partono raggi, e dall'impugnatura degli scudi partono due strani tubi che gli terminano dietro la nuca. Gli Shardana, ad esempio, si ristabilirono in Sardegna a partire dal 1550 a.C. circa come confermano alcuni scritti egizi, ittiti e greci.

Abini - Guerrieri con quattro occhi e quattro braccia due scudi, bronzo altezza cm.19. divinità, eroe, essere demoniaco, leggendario guerriero o semplice prodotto artistico culturale di un abile artigiano vissuto tra il X e il XII Sec.a.c. proveniente dal Villaggio Nuragico Federale di Abini (Teti) offerto alla divinità dell’acqua a cui era dedicato il tempio – volto ovoidale, marcato da zigomi sporgenti, un mento affusolato e quattro occhi sporgenti globulari – l’abbigliamento appare differenziato dalle raffigurazioni dei vari guerrieri quindi fa supporre ad una loro organizzazione militare – un vistoso copricapo dalle lunghe corna, con due braccia esibisce due scudi e con altre due regge delle spade,secondo i padri dell’archeologia nuragica rappresenta ideali mitico religiosi che trovano un parallelo in figure iperantropiche orientali. Teti, città della Sardegna apparentemente sperduta, è il luogo del più importante villaggio nuragico in termini di ritrovamenti in terra sarda. Il bronzetto più famoso è quello raffigurante il dio Sandan (Sardan, Sardus) figlio di Eracle (Ercole Egizio), chiamato anche Marduk, Dioniso, Eshum, Visnù, Asclepio, rappresentato sempre con quattro occhi e quattro braccia e con antenne o corna. Era il dio degli Shardana, il “Popolo del Mare”, quel popolo di navigatori che toccarono l’intero mondo conosciuto lasciando proprie tracce ovunque. Le loro navi vengono osservate e ricoperte di domande riguardanti la loro strana struttura fatta a prua alta, con un mezzo un palo molto alto, su cui montavano una specie di bussola a mezzaluna sopra una sfera, così sono stati interpretati gli innumerevoli disegni delle navi ritrovati in Sardegna. Per le strade di Teti ad ogni segnalazione è possibile trovare il simbolo del dio-guerriero dai quattro occhi, vanto del paese.

L'Eccezionale Scoperta del 1865: Abini e l'Eroe Quattrocchi e Quattrobraccia

Era il 1865 quando un pastore di Teti (centro abitato della provincia di Nuoro), appassionato di ritrovamenti di tesori nascosti, nella località denominata Abini...

SHARDANA I POPOLI DEL MARE la Conferenza Leonardo Melis

Shardana, guerrieri sardi nel vicino oriente - Montalbano P.

Giovanni Ugas: chi erano gli Shardana?

FUNTANA RAMINOSA

Millecinquecento anni fa: un altro libro della stessa storia parte dal fondo dei tacchi di Laconi, Aritzo, Seulo, Seui, e sale al monte nelle case delle aquile. Il monte è fortezza segreta, a custodire il rame prezioso che miscelato con lo stagno farà spade, e statuine di dei quattrocchi e quattro braccia. Siamo nuragici, nell’età del bronzo. Il rame rosso lo abbiamo solo noi nel mediterraneo: sgorga abbondante dalla pietra aperta come da una Fontana Raminosa. Costruiamo fortezze con macigni striati di verderame, senza finestre come le gallerie dentro la terra dove scappa la volpe: e anche noi impariamo a nasconderci.

MARDUK - "la Saga di Gilgamesh"

La “Guerra degli Dèi" è una narrazione vecchia di almeno quattro millenni ed appartiene alla tradizione babilonese.Il protagonista della narrazione è il dio supremo della capitale babilonese Ninive, Marduk dai quattro occhi. Inizialmente non vi era né il cielo, né la terra, ma esistevano solo l'acqua salata e quella dolce, mischiate tra loro a simboleggiare il chaos primigenio ; Apsu (il principio maschile) e Tiamat(quello femminile) governano le acque e dalla loro unione ha origine tutta la stirpe divina. Dai loro nipoti Anshar e Kishar, rispettivamente lo spirito di tutto quanto era sopra e quello di tutto ciò che era sotto, nasce Anu, il Cielo e da questi a sua volta deriva Ea. Marduk, figlio di Ea, viene al mondo con caratteristiche molto particolari: é già pienamente virile, ha quattro occhi e quattro orecchie, è di forma imponente e maestosa, di statura gigantesca ed ha lo splendore di dieci déi. In taluni aspetti ricorda Atena sia perché nasce già adulto sia perché si dimostrerà un abilissimo stratega (infatti Atena aveva fra i suoi attributi anche quello di dea della guerra; mentre Ares personifica la forza selvaggia del guerriero ella ottiene la vittoria grazie ad una superiore intelligenza e saggezza, nonché ad una profonda conoscenza dell'arte bellica). Inoltre a differenza degli altri déi della cosmologia babilonese non presenta alcuna associazione con fenomeni naturali, proprio come la protettrice di Atene.

TIAMAT

Tiamat è la personificazione delle acque salate nella mitologia mesopotamica. Sposa di Apsû, secondo il mito fu la progenitrice della stirpe divina. Appartenente alla mitologia babilonese, secondo il poema Enuma Eliš genera insieme al marito i serpenti mostruosi Lahmu e Lahamu; questa progenie dà poi vita agli dei primordiali Anšar (dio dell'Alto) e Kišar (dio del Basso), i quali generano gli dei Anunnaki. Fra questi Marduk (dio della terra), unico valoroso in grado di affrontarla, sconfigge Tiamat, secondo una prima interpretazione, con l'aiuto di un forte vento, che le impediva di chiudere la bocca, e scagliando dunque una freccia che le trafisse il cuore attraverso la gola, simboleggiando così la vittoria dell'ordine sul caos, mentre secondo un'altra interpretazione grazie all'aiuto di una rete magica, imprigiona Tiamat e la fa esplodere, dopo averle infilato nel corpo il dio-uragano; quindi con il corpo del drago spaccato in due parti, Marduk crea il Cielo e la Terra. Generalmente è descritta come una specie di drago. In alcune versioni la si descrive come una creatura con testa di coccodrillo, denti da orso, corna da toro, criniera e zampe da leone, ali da aquila, corpo da serpente; altre versioni si soffermano sulla caratteristiche da androgino primitivo, evidenziate dalla doppia faccia, dai quattro occhi e orecchie.

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SUMERI E IL MITO ANUNNAKI

Storia di un'alleanza: dall'Eden alla Terra promessa

DIANA - ASTARTE - ISIDE dai QUATTRO OCCHI

A volte il suo nome è combinato con la dea Fanicia/Punica Tanit. In quanto dea della passione, della sessualità e della fertilità è anche chiamata "Grande Utero". Il suo titolo fu "Qadashu" (Santa).Le versione Semitica di Astarte è Asherah o Ashtart; la versione Israelita è Astoroth o Ashtoreth, un gioco di parole che combinava "Ashtart" e "boshet" per far si che il suo nome significasse "indecente". Nella bibbia le fu dato questo titolo per le sue selvagge energie sessuali e per "concepire ma non dare figli ai suoi amanti". La Foresta del Libano fu sacra ad Astarte ed a lei fu eretto un tempio sulla cima del Monte Libano. Era servita sia da Sacerdotesse che da Sacerdoti. Nei suoi templi risiedevano sia maschi che femmine hierodules (prostitute sacre). Il maschio era chiamato Kalbu e la femmina Qodesja. Rituali orgiastici erano parte della sua adorazione - proprio come lo furono per l'adorazione di Cybele. Astarte è spesso presentata con un leone e una coppa nella quale offre da bere al suo amante. Leoni, fiori e serpenti appartengono ai suoi rituali. Le offerte al tempio di Astarte consistevano in incenso, birra, vino e sacrifici di sangue. Le Sacerdotesse erano considerate prostitute sacre rappresentanti del ruolo di Astarte come Dea dell'Amore. Stranieri potevano andare al suo tempio e compiere un atto di adorazione in unione sessuale con le Sacerdotesse. Era costume delle giovani donne prima del matrimonio santificarsi alla vista di Astarte intrattenendo visitatori nel tempio. I sacerdoti di Astarte si auto-eviravano in una danza estatica. Essi erano abitualmente visti nella vestizione e nel trucco delle donne, danzando e realizzando auto-mutilazioni. Il loro servizio consisteva nel compiere il letterale sacrificio della loro fertilità. Il simbolo di Canaan fu l'Asherah o palo sacro in suo onore come consorte di Baal. In Siria e Cipro il suo simbolo era una pietra conica e circolare. L'Uovo Sacro rappresentante di fecondità e la melagrana (il frutto con le uova) furono anch'essi simboli di Astarte. Alcune raffigurazioni della Dea Astarte,la Dea madre in varie parti del mondo Astarte è associata con l'Equinozio Invernale e con la primavera in generale. Lei governa il Venerdì e i mesi di Aprile e Ottobre. I primi frutti del raccolto e i figli primogeniti sono sacri ad Astarte. Suoi animali sacri sono la colomba, il leone, il toro, il cavallo e i serpenti. E' probabile anche se non chiaro che anche i pesci le fossero sacri in quanto nel suoi templi furono trovate vasche per pesci. I suoi colori sono il rosso e il bianco, similmente al fiore dell'albero di acacia che è considerato un suo emblema. Il cedro, la rosa, l'ontano, il tamarindo e gli alberi di cipresso le erano anche sacri. Il suo compagno è Baal-Hadad, il dio delle tempeste, principalmente mostrato come un toro. Astarte fu quindi chiamata "Shem B'l" (nome di Baal). Nella mitologia Ugaritiana ha un ruolo minore come un'aiutante di Anat e Baal nella loro battaglia contro Mot e Yammu. Comunque, Astarte fu una dea maggiore nella religione Fenicia, principalmente a Sidone e a Tiro. Luciano di Samosate racconta dopo una visita al tempio di Sidone in Fenicia che Astarte era la stessa Dea Lunare Greca Selene o Europa (che significa Luna Piena). I sacerdoti con cui parlò gli dissero che il tempio di Europa era della casa reale di Agenore, che fu portato a Creta da Zeus nella forma di un toro. Lo stesso mito era raccontato a Tiro. Non è certo quale fu la storia originale. Il territorio dei Fenici ha avuto molti altri occupanti, come i Minoici e i Micenei. Fenicia/Canaan fu la più importante nazione di commercio marittimo nel Mediterraneo, la sua influenza su altre culture non può essere scartata. Originariamente, i Fenici avevano pratiche religiose e sessuali identiche ai Canaaniti. Le loro deità principali erano El (chiamato Baal) e Astarte o Baalat (equivalente di Ishtar dei Babilonesi). Fu Astarte o Baalat a mutare il proprio nome con le migrazioni dei Fenici nel Mediterraneo. A Sidone, Astarte fu la deità predominante e molte regine e re dichiaravano di essere sue sacerdotesse e sacerdoti. Nella Sidone del 14° secolo Astarte fu un completo culto di prostituzione. A Kition, gli uomini dovevano lavarsi il capo per adorare la dea. Le ceramiche descrivono danzatrici femminili e feste. All'interno dei santuari ogni altare aveva una asherah, a significare la fertilità e dove erano fatte offerte di animali. Figure di Madre Dea e donne gravide o con un bambino sono state trovate ovunque. A Byblos, Astarte divenne Baalat come signora o Baalat Gebal o Baalat di Byblos. Lei era la madre terra, la fertilità, dea e generatrice degli dei, degli uomini, delle piante e degli animali. Adone appare qui come un più recente dio di morte e vegetazione associato con la madre dea. I soldati adoravano il loro Baal Addir dedicato unicamente alla guerra. Letteralmente Baal significa "signore", nel pantheon Canaanita fu il titolo locale degli dei della fertilità. Baal mai emerse come dio della pioggia fino a che, in tempi successivi, assunse le speciali funzioni di ciascun dio. Sebbene non ci fosse un equivalente a Canaan della sterile secchezza estiva che accadeva in Mesopotamia, il ciclo stagionale era abbastanza marcato da aver causato attenzione sulla scomparsa del dio della fertilità, che portò con lui le nuvole di pioggia autunnali nel mondo di nessuno. Dopo aver sconfitto il dio del mare Yam, ed aver costruito una casa su Monte Saphon, e dopo aver preso possesso di numerose città, Baal annunciò che non avrebbe ancora a lungo riconosciuto l'autorità di Mot, la "morte". Baal non solo escluse Mot dalla sua ospitalità e dalla sua amicizia, ma anche gli disse che poteva visitare solo i deserti della terra. In risposa a questo cambiamento, Mot invitò Baal nella sua dimora per assaggiare il suo cibo, il fango. Essendo terrificato e non in grado di evitare la spaventosa convocazione alla terra dei morti, Baal si unì con una vitella al fine di rafforzarsi per l'ordalia, e poi partì. El e gli altri dei indossarono gli indumenti funebri, si versarono cenere sulla testa, si mutilarono, mentre Anat, aiutata dal dio Sole Shapash, si incaricò di riportare il cadavere per la sepoltura. Per quanto distanti Cartagine e Palmyra furono entrambi templi dedicati a Baal-Hammon, "il signore dell'altare di incenso", che i Greci identificavano come Crono.

Sul Monte Carmelo fu il profeta Elijah che discreditò la fede di Re Ahab nel potere di Baal, quando alla sua richiesta "il fuoco del Signore discese, e consumò nelle fiamme il sacrificio", e la foresta, le pietre, la polvere, e lambì l'acqua che era nel fosso. In seguito Elijah indicò al popolo di ammazzare "i profeti di Baal" assicurando in tal modo la sopravvivenza dell'adorazione di Yahweh in Israele. L'adorazione di Baal si estendeva dai Canaaniti ai Fenici che furono anche parzialmente un popolo di agricoltori. Sia Baal che la sua consorte Astarte o Ashtoreth, equivalente della Greca Afrodite, furono entrambi simboli della fertilità dei Fenici. Baal, il dio sole, fu implorato in modo fervente per la protezione del bestiame e del raccolti. I sacerdoti insegnavano alle persone che Baal era responsabile per le siccità, le epidemie ed altre calamità. Il popolo era spesso eccitato in grandi frenesie al cospetto di Baal dispiaciuto. In tempi di grande turbolenza, in onore del grande dio Moloch, furono compiuti, sacrifici animali ed umani, in modo particolare bambini.

Dato che i Fenici furono anche superbi costruttori di navi, la religione ed i culti di Baal si diffusero in tutto il mondo Mediterraneo. L'adorazione di Baal fu trovata fra i Moabiti e i loro alleati Midiniti durante il tempo di Mosè. Essa fu anche introdotta agli Israeliti.
La religione del dio Baal fu ampiamente accettata tra gli antichi Giudei, e sebbene essa fu a volte soppressa, non fu mai permanentemente eliminata. Re ed altri membri della famiglie reali delle dieci tribù bibliche adorarono il dio. Le persone ordinarie adoravano ardentemente questo dio sole dato che la loro prosperità dipendeva sulla produttività dei loro raccolti e del loro bestiame. Le immagini del dio furono erette su molte costruzioni. All'interno della religione esistevano numerosi sacerdoti e varie classi di devoti. Durante le cerimonie ciascuna di esse indossava indumenti appropriati. Le cerimonie includevano la bruciatura di incenso, e l'offerta al fuoco di sacrifici, occasionalmente consistente in vittime umane. I sacerdoti officianti danzavano attorno agli altari, cantando freneticamente e tagliandosi con coltelli per ispirare l'attenzione e la compassione del dio. Nella Bibbia Baal è anche chiamato Beelzebub, o Baalzebub, uno degli angeli caduti di Satana.

ERCOLE QUATTRO OCCHI

MINERVA (ATHENA) QUATTR'OCCHI

Optilete, Optiletide, Oftalmitide. Soprannome di Minerva, che vuol dire Oculista, che conserva e restituisce la vista. Tale nome venne dato a questa Dea, dal tempio che le fece innalzare Licurgo il legislatore in Lacedemone, in riconoscenza della guarigione dell'occhio che gli aveva ferito Aleandro; altri pretendono che egli abbia ciò fatto
in memoria del non avergli Aleandro cavato l'altro occhio, come intendeva di fare, se non gli fosse stato impedito. M
inerva, fra i Greci, era riguardata qual protettrice degli occhi, tanto per togliere quanto per restituire la vista a coloro ch'essa voleva favorire o castigare.

L'APOLLO DEI LACEDEMONI (SPARTANI) HA QUATTRO OCCHI E 4 MANI.

"Manuale della Religione e Mitologia dei Greci e Romani di Enrico Guglielmo Stoll"

 

TLALOC QUATTROCCHI

MASCHERE AFRICANE DAI QUATTRO OCCHI

Mostra sulla stregoneria africana Presso la Sala Geymonat della Biblioteca "Ginotta" di Barge la mostra "Feticci, mistero e stregoneria: la magia del Mundo Mugo", In esposizione oggetti, amuleti e feticci provenienti dal Museo della Consolata di Torino, appartenenti a Padre Giuseppe Quattrocchio e da lui raccolti durante i 44 anni trascorsi in Africa come missionario, e dalla collezione privata del Avvocato Gianni Vercellotti, grande viaggiatore ed esperto di temi africani. Alcuni dei reperti hanno mantenuto la loro carica magica e sono a tutti gli effetti ancora attivi. Tutti i feticci vengono esposti per la prima volta ed è quindi un’occasione imperdibile per vedere oggetti unici nel loro genere ed intraprendere un affascinante ed inedito viaggio nella cultura e nelle tradizioni rituali africane.

GIANO BIFRONTE

Giano, definito anche Janus Pater, padre di tutti gli uomini, della Natura e dell'Universo, fu essenzialmente il dio dell'apertura e dell'inizio, con caratteristiche simili a quelle della divinità solare che apre il cammino alla luce accompagnando l'attività umana nel corso della giornata (l’animale sacro al dio è il gallo, animale solare che con il suo canto inaugura il giorno). Presiedendo alle porte, aveva la chiave e il bastone; sorvegliava tutto ciò che stava all'interno della città o della casa, non perdendo però di vista quello che accadeva all'esterno, e quindi era rappresentato con due facce (Giano bifronte). Il tempio a lui dedicato doveva rimanere aperto in occasione di imprese belliche, ma solennemente sbarrato in tempo di pace, e le cerimonie che avevano luogo per la chiusura delle porte del tempio tendevano ad esaltare il ruolo di custode della pace del dio Giano, perché solo in una situazione di tranquillità la vita quotidiana può dar luogo ad esordi positivi e creativi. A Roma, ritroviamo traccia dei suoi rapporti con le querce nei querceti del Gianicolo; il colle sulla sponda destra del Tevere, dove si narra che Giano regnasse sovrano agli albori della storia italica. Inoltre, l’area Vaticana, su cui la stessa Basilica di san Pietro è stata eretta, fu un’area sacra fin dai tempi preistorici, nonostante il fatto che «Originariamente il Campus Vaticanus si estendeva in quella bassura compresa fra il monte Gianicolo e il Tevere che Tacito appellava Infamibus Vaticani locis… (xiv degli Annali, c. 14) per le putrescenti acque freatiche ch’ivi stagnano (Marrana)» [G. Di Nardo, Il ritrovamento della tomba di San Pietro, «Antologia di letture interessanti», 18 (nuova serie), Casa Editrice Dott. Alberto Tinto, Roma Gennaio 1951(xxvii)]. Tale località, afferma Gellio [lib. xiv], fu chiamata Campo Vaticano dal dio preposto ai vaticini. Varrone identificò questo dio con Ajo, ossia il Dio Primo Loquente (Dio Verbo) o dal primo vagito, che ebbe un tempio in tale luogo. Festo e lo stesso Gellio fanno poi riferimento a un antichissimo Oracolo di Giano, che si è ipotizzato fosse situato sotto il colle del Gianicolo, per cui il dio in questione altri non sarebbe che Giano vaticinante. A riguardo, risulta indicativo che Catone, nelle Origini, chiami Giano Dio Vaticano e signore delle terre tuscie a sinistra del Tevere (mentre Saturno governava il Lazio). Fabio Pittore ci fornisce invece notizie riguardo la personificazione di Giano quale Dio Portinaio rappresentato con la verga e le chiavi: questa antropomorfizzazione è molto nota, anche grazie a Ovidio e alle sue opere I Fasti e Le Metamorfosi (due edizioni critiche de I Fasti emergono sulle altre, quella di J.G. Frazer (London, Macmillian, 1929, 5 voll.) e quella di F. Bömer (Heidelberg, C. Winter-Universitätsverlag, 1957-1958, 2 voll.); Metamorphoses, libri da I a XV, a cura di R. Ehwald, Lipsiae 1915, vol. II). Giano, re leggendario e divino, avrebbe dato inizio alla civiltà, istituendo i riti religiosi e favorendo la costruzione di edifici sacri. Sempre secondo la tradizione, avrebbe introdotto l’uso delle navi e anche della moneta. Giano, in effetti, si trova effigiato sul recto delle più antiche monete romane di bronzo, gli assi mentre sul verso si trova l’immagine di una nave . Questo lascerebbe forse supporre che Giano, divinità talmente importante da precedere Giove nei rituali religiosi, fosse considerato come divinità acquatica e, pur essendo generalmente ritenuto un dio prettamente italico, si ipotizzò anche che non fosse autoctono ma, arrivato in Italia via mare, potesse essere ricollegato al dio greco Dioniso, o Bacco, che sembra fosse anticamente raffigurato con due visi e con il quale sarebbe associato per l’uso del vino, passione nota per Bacco, plausibile per Giano che si vuole vissuto nell’antica Enotria (l’attuale Italia) ossia terra del vino. Consideriamo ora la sua famiglia. Per quanto riguarda la famiglia terrena di Giano, nulla sappiamo in proposito; per quanto riguarda invece quella divina sembra che Giano abbia sposato una ninfa di nome Giuturna e dal loro matrimonio sia nato Fons, o Fontus, nume tutelare delle sorgenti, festeggiato durante le fontanalia, feste religiose dell’antica Roma ricorrenti il 13 ottobre. Durante tali feste si gettavano nelle fontane ghirlande di fiori e si offrivano al dio sacrifici di vino, olio, etc. Secondo Festo tale giorno è sacro alle fonti (Festus, Breviarium, a cura di J.W. Eadie, The Athlone Press, London 1967), mentre per Varrone è la festa del dio Fons o Fontus, figlio di Giano e divinità che presiede alle fonti in genere (F. Cavazza, Studio su Varrone etimologico e grammatico. La lingua latina come modello di struttura linguistica, La Nuova Italia, Firenze 1981). Le Agonalia erano invece le feste che, in onore del dio Giano, venivano celebrate il 9 gennaio dal rex sacrorum (il termine agonalia deriverebbe da Agones monti, essendo in origine così chiamati tutti i sacrifici che si celebravano sui monti). Secondo alcune fonti anche Tiberino, divinità fluviale da collegarsi al Tevere, sarebbe stato loro figlio. Un’altra versione, però, vorrebbe Tiberino figlio di Giano e di una naiade, ma il nome di tale ninfa sarebbe Camesena. Re in una remota età dell’oro, sarebbe stato un civilizzatore degli antichi abitanti della regione (gli aborigeni) che, prima di lui, conducevano una vita misera, non conoscevano le leggi, né le città e ignoravano del tutto la coltivazione delle terre. Giano insegnò tutte queste cose agli uomini e accolse inoltre sulla sua terra lo straniero Saturno col quale divise e condivise il regno. La leggenda romana, infatti, arricchita di elementi orientali e ellenici, racconta che Saturno-Crono, dopo essere stato detronizzato dal figlio Giove-Zeus, trovò rifugio in una zona che chiamò Latium (rifugio, dal latino latere, nascondere). Qui fu benignamente accolto dal re del posto, Giano, che divise il regno con il nuovo venuto e al quale concesse di fondare una città tutta sua in cima al Campidoglio: Saturnia. Saturno, in cambio dell’ospitalità regale offertagli, insegnò agli uomini a sfruttare metodicamente la spontanea fertilità della terra e a usare il falcetto e la roncola, utensili coi quali veniva rappresentato. Anche per questo si ricollega il suo nome all’invenzione e alla diffusione della coltivazione delle terre e al taglio della vite (Saturno dal lat. serere, seminare; sata campi seminati). Nel governo di Giano si evidenziano già distintamente tutte quelle caratteristiche che verranno poi definitivamente instaurate da Saturno nella Saturnia Tellus quando il dio resterà l’unico a regnare dopo la morte e la successiva divinizzazione di Giano. Giano rappresenta, dunque, una fase di transizione, quasi una stasi preparatoria al ciclo aureo di Saturno. Interessante è anche notare che il nome greco di Saturno è Kronos, ossia tempo e Giano stesso è, come divinità, strettamente associato al tempo visto che le sue due facce guarderebbero oltre che in due differenti direzioni spaziali, anche in due diverse direzioni temporali, una al passato (vecchia) e una al futuro (giovane). Ma su questo torneremo tra breve. I miti che narrano di Giano esprimono l’idea di un dio apritore, come dimostra anche il suo nome: Giano, da Ianua, porta o Ianus, passaggio. I suoi Templi erano molto semplici essendo costituiti solo da un lungo corridoio con un’entrata e un’uscita(entrare e uscire, nascere e morire, cominciare e finire,e viceversa. «Il Tempio di Giano, forse il più antico, eretto da C. Duilio, al tempo della prima guerra punica nel sito di un sacello precedente, e restaurato da Tiberio nel 17 d. Cr. Era apud forum Holitorium, come dice Tacito (Ann. ii, 49) e extra portam Carmentalem (Festo M.) la quale corrisponde pressapoco con la chiesa di S. Galla sulla via di Bocca della Verità».Tale tempio sembra essere stato identificato con il più antico dei tre templi che si trovano sotto la chiesa di S. Nicola in Carcere. Infatti, pur non essendo tale tempio costituito da un semplice corridoio con un’entrata e un’uscita «il gruppo dei tre templi del Foro Olitorio si presenta così serrato ed organico che si deve riferire a tre divinità molto antiche: per questa ragione si preferisce di riconoscere nel più grande, centrale, il tempio di Giunone, e nei due laterali i templi di Giano e della Speranza». (G. Lugli, op. cit., p. 365) Dio di ogni inizio, Giano era invocato per primo in ogni rito, cerimonia o impresa. Vigilava sulla nascita di ogni essere, mortale o divino che fosse, per cui era anche Ianus Consivius: dio della procreazione, dio degli dei, padre di Dio di ogni inizio, Giano era invocato per primo in ogni rito, cerimonia o impresa. Vigilava sulla nascita di ogni essere, mortale o divino che fosse, per cui era anche Ianus Consivius: dio della procreazione, dio degli dei, padre di tutta l’umanità. Giano, quindi, Dio del principio e della fine di tutte le cose, presiedeva a tutti gli inizi e ai passaggi, sia nello spazio che nel tempo, e per questo fu oggetto di un culto diffuso e popolare con vasti campi d’azione, anche a carattere magico. Dio delle transizioni, posto a tutela dei momenti di passaggio (matrimoni, nascite, semine e raccolti), delle porte, dei passaggi, Giano segna l’evoluzione dal tempo andato all’avvenire, da uno stato e da una visione all’altra, da un universo all’altro. Interviene all’inizio di ogni impresa. La “porta” è il passaggio fra il conosciuto e l’incognito, fra la luce e le tenebre. A Roma, un grande arco quadrifronte, da identificare con l’Arcus Divi Constantini, è tuttora conosciuto come arco di Giano. Si tratta di un arco onorario e il riferimento a Giano non è casuale visto che il dio bifronte regnava, secondo la religione romana, su ogni luogo di passaggio. Il passaggio rituale sotto uno ianus, ossia un passaggio coperto, o una porta, aveva la funzione di purificare, come avveniva per le truppe e per le armi durante alcune cerimonie evocatrici. Inoltre, perché fosse di buon augurio, in occasione delle celebrazioni d’inizio anno, venivano consumati nelle case romane cibi dolci, sul cui significato il poeta Ovidio interroga lo stesso Giano, così pure come sul perché di altre usanze: «Che cosa voglion dire i datteri e i fichi rugosi / e il puro miele offerto dentro candido vaso? / Si fa per buon augurio disse (Giano) perché nelle cose / passi il sapore; e l'anno, qual cominciò, sia dolce. / Comprendo il perché dei dolci: ma spiegami la ragione del dono in monete, / affinché nulla della tua festa mi sfugga. / Rise e disse: Oh quanto ti inganni sui tuoi tempi, / se pensi che ricever miele sia più gradito che ricever monete! / Già, regnando Saturno, ben pochi io vedevo a cui non stesse a cuore la / dolcezza del guadagno; col tempo crebbe l’avidità del possedere, e ora / è arrivata a tal punto che più non potrebbe aumentare». [Ovidio, Fasti, Libro i, vv. 185-196]. Riportiamo quindi la traduzione libera di un brano tratto da I Fasti in cui Giano stesso descrive e spiega ciò di cui abbiamo appena parlato: « E di quale essenza io dirò che è la tua divinità, o Giano biforme, dal momento che la Grecia non venera alcun nume a te uguale? Spiegami pure il motivo per cui a te solo, fra i Celesti tutti, è dato poter vedere tutto ciò che ti sta dietro e tutto ciò che ti sta davanti. Mentre in sulle carte io mi arrovellavo la mente per darmi una spiegazione di ciò, ecco che la casa mi apparve più spendente di prima. Allora il divino Giano apparve meraviglioso nella sua doppia immagine e ai miei occhi scoprì improvvisamente i suoi due volti. Mi spaventai e sentii che per il forte tremore i capelli mi si rizzarono sul capo e il sangue si agghiacciò nelle vene. Egli, tenendo nella mano destra un bastone e nella sinistra una chiave, con la bocca anteriore rivolse a me queste parole: Non temere, o ingegnoso cantore dei giorni, e saprai quello che tanto desideri; scolpisci bene nella tua mente quello che io ti dirò. Gli antichi mi chiamarono Caos imperocchè io sono una esistenza antica. Rifletti bene come io vado a te annunziando cose di tempi assai remoti. Questo aere terso e quegl’altri tre elementi, cioè il fuoco, l’acqua e la terra, costituivano un solo tutto ben compatto. Non appena quest’ultima, per la forte discordanza degli altri elementi, si scompaginò, quella massa, disciolta, si diresse in varie sedi: l’etere volò verso l’alto, l’aria occupò lo spazio più vicino al suolo, e la terra con l’acqua si scelsero il vuoto centrale. Allora io, che fino a quell’istante ero stato una agglomerazione e un ammasso privo di forma, ripresi l’aspetto e la figura che ben si addicono a un dio. Ma pure ora, come piccolo indizio di quell’antica confusa figura di un tempo passato, sono raffigurato con doppio aspetto davanti e di dietro. Ma dal momento che ne hai tanto desiderio, conosci pure un’altra ragione di questa mia forma e con essa tutto il mio potere Tutto ciò che tu ti vedi attorno, il cielo, il mare, le nubi, le terre, tutto è dalla mia mano chiuso e aperto a piacere. Io ho la padronanza dell’intero immenso mondo, a me solo è dato di sconvolgerne i cardini. Quando mi piace di concedere alla Pace di uscire dalla tranquilla dimora, essa serenamente cammina per le vie non contrastate, e tutto quanto il mondo sarebbe sconvolto dalle stragi e dalla morte qualora rigide sbarre non tenessero rinchiuse nei loro antri le terribili guerre. Con le gentili Ore sto a guardia delle porte del Cielo: Giove stesso, per opera mia, esce e rientra. Per questo sono chiamato Giano (Ianus, da janua, detto janitor coeli = il portinaio del Cielo, come Cerbero è detto janitor inferorum n.d.t.). Allorquando il sacerdote sopra l’altare mi offre la focaccia di Cerere e il farro mescolato col sale, tu non potrai fare a meno di ridere per gli appellativi che egli mi va attribuendo: pensa che sono dalla bocca del sacerdote, che fa i sacrifici, chiamato ora Patulcio e ora Clusio. Ecco come ha saputo con nome diverso la rozzezza antica intelligentemente indicare le mie mansioni diverse. Tutta la mia potenza ti è stata fin qui espressa. Ora desidero che tu conosca il motivo della mia figura, che già in parte bene conosci. Ogni porta ha due facciate, l’una rivolta da una parte e l’altra dall’altra, di cui una guarda verso l’esterno e quell’altra verso l’interno. Come il portinaio di voi mortali se ne sta seduto presso la porta di casa e osserva chi va e chi viene, così io , custode della reggia celeste, vedo egualmente i lidi orientali e quelli occidentali. Tu ben sai che Ecate ha le facce rivolte in tre differenti parti per proteggere i crocicchi divisi in tre strade; nello stesso modo io, per non perdere neppure un mezzo minuto piegando il collo, posso guardare, senza muovermi, dall’una all’altra parte. Così egli aveva parlato; ma io avevo già capito dai suoi occhi che se avessi voluto conoscere qualche altra cosa, egli non si sarebbe per niente rifiutato a parlarmi. Lasciai ogni senso di soggezione e dopo averlo liberamente ringraziato delle notizie fornitemi, con gli occhi rivolti a terra, rispettosamente dissi queste poche parole: Spiegami, per favore, perché il nuovo anno incomincia con il freddo intenso, mentre sarebbe molto meglio che si iniziasse con la primavera. In quella stagione ogni cosa rifiorisce; allora sembra che il tempo si rinnovelli: la nuova gemma sul tralcio gonfio di umore si schiude, l’albero si riveste di novelle frondi, il germoglio dei nuovi semi che fanno capolino a fior di terra spunta alla tiepida carezza del sole. Allora gli uccelli diffondono per l’aria tiepida i loro gorgheggi accarezzevoli e il gregge per i pascoli folleggia e fa all’amore. I giorni in quella stagione passano sereni e la pellegrina rondinella ritorna di lontano e sotto il tetto alto della nota casa costruisce ingegnosamente il nido col fango: allora il campo, rimosso dall’aratro, è ben coltivato e pronto ai nuovi frutti. Questo a mio parere, doveva essere detto il principio bello dell’anno. Io mi ero nella domanda un po’ troppo dilungato; egli invece fu breve e in poche parole rispose: Nell’inverno il sole completa la sua annuale marcia e dall’inverno riprende la nuova: così il Sole e l’anno hanno insieme lo stesso inizio Ma perché la tua statua in tempo di pace sta chiusa alla vista, mentre si vede quando vengono afferrate le armi? Alla mia domanda egli subito così rispose: Io levo i chiavistelli alla porta e la spalanco, perché sia aperta la via del ritorno al popolo partito per la guerra. Durante la pace io chiudo le porte, affinché la pace stessa non possa più uscire.

GIANO (DIANO) - GIANA (DIANA)

Secondo Frazer nel libro "Il ramo d'oro" Giano e Diana (Diano e Giana) sono, per gli italici, la coppia divina , nota anche ai greci come Zeus e Dione (Giove e Giunone) come sosteneva anche S. Agostino. Diana era venerata soprattutto nelle selve e nei luoghi incolti ed a lei è legato l'antichissimo mito del ramo d'oro. Secondo questo mito in un bosco di querce situato nei pressi del lago di Nemi cresceva un albero che produceva del vischio. Qualsiasi schiavo fuggitivo fosse riuscito a raggiungere questo albero e a cogliere il "Ramo d'Oro" acquisiva il diritto di sfidare in combattimento il sacerdote di Diana: se poi riusciva ad ucciderlo diveniva, al suo posto, il re del bosco, il "rex nemorensis", solo però fin quando un altro non fosse riuscito a strappare un ramo d'oro dalla quercia sacra a Diana.

 

GIANO IN AFRICA - il popolo lobi e la sua arte

I Lobi vivono in una regione dell'Africa Occidentale, a cavallo fra tre paesi: il Burkina Faso, la Costa d'Avorio e il Ghana. La popolazione, circa 250.000 abitanti, vive in maggioranza nel Burkina. La storia e i racconti mitici dei Lobi li fanno apparire come eterni nomadi.

Recensione: "Medici e stregoni" di Tobie Nathan e Isabelle Stengers

La divinazione non ha lo scopo di illuminare un visibile nascosto, quanto piuttosto di instaurare il luogo stesso dell'invisibile. Se si procede ad una divinazione, la tecnica utilizzata presuppone sempre l'esistenza di un secondo universo. Questo universo è popolato da esseri non umani coi quali soltanto poche categorie di persone possono avere contatto: i bambini, i pazzi e i guaritori. Questi ultimi, nella cultura africana, vengono definiti come persone particolari:


con "quattro occhi"
a cui "sono stati aperti gli occhi" (è stato iniziato)
che "nato vecchio"
che è "nato con la camicia"
che è nato con qualche particolarità fisica.

ARGO BIFRONTE - ANTICO REBIS

Glossario — Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici della Campania

Argo - Geografia: antichissima città greca del Peloponneso nordorientale, assediata da Pirro, che qui trovò la morte nel 272 a.C., passò poi sotto il dominio di Roma nel 146 a.C. Mitologia: nella mitologia greca nome di vari eroi, uno dei quali, figlio di Zeus e di Niobe, ottenne il potere di re sul Peloponneso a cui diede il nome. l’Argo più noto è, però, il pronipote del precedente dotato di uno o, secondo altri, di quattro occhi, ma non mancano versioni che gli attribuiscono un’infinità di occhi. Provvisto di una forza prodigiosa liberò l’Arcadia da un toro che devastava il paese e da un Satiro che rapiva le mandrie degli Arcadi. Uccise, inoltre, Echidna, figlia del Tartaro e di Gea che s’impadroniva dei passanti. Era lo incaricò di custodire Io, trasformata in vacca, di cui era gelosa. Argo, infatti, grazie ai suoi occhi poteva sorvegliarla continuamente, perchè una parte di questi restava aperta anche mentre dormiva; venne però ucciso da Ermes su ordine di Zeus. Era, allora, trasportò i suoi occhi sulla coda del pavone, uccello a lei sacro. Argo nella mitologia greca è anche il nome della nave impiegata da Giasone per riconquistare il vello d'oro. E' quindi possibile che il volto che non ha la barba sia femminile, in quanto se la testa fosse maschile sarebbe più piccola di quella barbuta, cioè sarebbe la testa di un ragazzo. Comunque, c'era anche chi la barba se la tagliava. I sacerdoti che hanno venerato Ermafrodito, probabilmente, avevano già una mentalità innovatrice. Ermafrodito era certamente un'esigenza di una categoria di fedeli, che è stata realizzata iconograficamente in modo nuovo, che certamente risentiva di un mondo culturalmente nuovo come quello ellenistico. Cioè, non più un'unione visibile di due teste unite di uomo e di donna, presente sia prima, che dopo Ermafrodito, ma la fusione di due spiritualità in un unico corpo. Gli antichi Ebrei avevano un Dio a quattro teste, come le aveva anche Hermes. Dato che le religioni progrediscono, gli Ebrei hanno abolito le raffigurazioni del Dio per evitare l'idolatria, come dopo hanno fatto anche gli Islamici. Ermes, il "padre" di Ermafrodito, ha una grande documentazione iconografica, in quanto, come si è detto, è spesso raffigurato con due, tre, quattro teste che costituiscono un punto di riferimento nello studio del bifrontismo. In Grecia, Hermes era "protettore delle strade", "guida dei viandanti", e proteggeva "contro spettri e spiriti maligni". Nella Tracia (II - III secolo d. C.) era "Dio dei re", "divinità solare", "Dio dei giuramenti (prestati dai re). Presso i Celti è "progenitore e capostipite delle stirpi regali". A Micene è "signore degli animali". Il padre di Ermafrodito era dunque una divinità potente e autorevole, venerata in alcuni luoghi dal popolo, e in altri solo dai potenti. Ermafrodito è una divinità giovane, e pensa al divertimento. E' un giovane di straordinaria bellezza, che vuole giocare. Rifiutò le offerte della ninfa Salmace, e quando si tuffò per gioco, nell'omonima fonte, la ninfa gli si avvinghiò intorno e divennero un tutt'uno. Ermafrodito, tra le antiche divinità è, forse, quella di cui si sa di meno. Si conosce il suo nome, il nome del padre, della madre, la sua storia d'amore durata pochi minuti. Afrodite, la "madre" di Ermafrodito, era la Dea greca dell'amore, della bellezza, della fertililità, cui corrisponde la Venere romana. Era Dea della gioia e della letizia. Il suo culto era unito al simbolo della colomba. L'iconografia di Ermafrodito ci è nota, non come divinità a Cipro e in Siria, ma come "essere favoloso" in Grecia. Presso i Greci, Ermafrodito è raffigurato in belle sculture, ed è bello anche lui. Il suo aspetto è maschile, in quanto ha il pene. Le raffigurazioni di Ermafrodito nella Grecia ellenistica non hanno una tipologia costante come altre divinità, e sono una diversa dall'altra.

ALLE RADICI DEL BIFRONTISMO


Tra tutte le divinità venerate nelle regioni Italiche, Giano Bifronte merita un discorso a parte. Da sempre nella scienza coesistono coppie antitetiche di due o più sistemi o atteggiamenti . Uno dei primi, a nostra conoscenza, a teorizzare su questo fu Pitàgora, figura misteriosa di scienziato greco, che, secondo Diogene Laerzio "per primo ... usò il termine filosofia e per primo si chiamò filosofo; nessuno è infatti saggio, eccetto la divinità". Pitàgora e la sua scuola avevano individuato dieci coppie di opposti fondamentali:1) limitato, illimitato. 2) dispari, pari. 3) unità, molteplicità. 4) destra, sinistra. 5) maschio, femmina. 6) quiete, movimento. 7) retta, curva. 8) luce, tenebre. 9) bene, male. 10) quadrato, rettangolo. Questi opposti fossero conciliati nel mondo da un principio di armonia. Per Pitàgora, il numero rappresenta la realtà, principio della natura e della sua comprensibilità per l'uomo. Galileo diceva che il mondo era scritto in caratteri matematici, agevolati dalla ragione. Dal V secolo avanti Cristo, facciamo ora un balzo ai giorni nostri. Gerald Holton, professore di Fisica e di Storia della Scienza, in anni recenti ha mostrato come , sia importante rendersi conto che nuove intuizioni nel campo della storia e della filosofia e della scienza sia alla base dell'immaginazione dell'uomo di scienza. Holton afferma che "è sempre esistita un'altra coppia di antìtesi o polarità...e precisamente , da una parte, lo sforzo verso la precisione e la misurazione ( archimede e in seguito galileo )con una visione "obiettiva" di quegli elementi qualitativi che interferiscono con il raggiungimento di un ragionevole accordo "obiettivo" tra i ricercatori, e, dall'altra, le intuizioni, le fantasie, i sogni ad occhi aperti, del pensiero Artistico che influenza metà del mondo della scienza sotto forma di attività personale, privata, e "soggettiva". La scienza è sempre stata spinta e rimbalzata tra queste forze contrarie e antitetiche. Il concetto di Bifrontismo appare esemplare del concetto di coppia antitetica , potendo anzi illuminarci sulla sua origine. Attualmente, esso ha un uso allargato rispetto al passato, e permea la nostra cultura in molti settori: filosofico-esistenziale, musicale, stilistico, religioso, politico, economico, ecc. Vediamone qualche aspetto più da vicino. In poesia, lo ritroviamo tra le figure retoriche, quali la metalepsi ( nome greco che vuol dire sostituzione, scambio), e il palìndromo (parola o frase che si può leggere egualmente nei due sensi, come mostra il perfetto "quadrato magico" , di Pompei , contenente la frase palindroma : "Sator arepo tenet opera rotas","Il seminatore, col suo aratro, tiene con cura le ruote", poi riferita al dio supremo che regge con saggezza l'universo , che si poteva leggere in verticale ed orizzontale, da destra a sinistra e viceversa, tanto da essere considerata nel tempo magicamente dotata di straordinari poteri). Nel Chiasmo, che prende il nome dalla lettera, "chi", dell'alfabeto greco, si ha appunto una forma a croce, dato che gli elementi si dispongono in corrispondenza inversa, per cui ciò che è in alto a destra corrisponde a ciò che è in basso a sinistra e viceversa. Bifrontismo come coppia di opposti è un concetto apparentato con quello di simmetria, cioè perfettamente eguali. Nella Grecia classica, e nell'Arte Etrusca la scultura, cerca la perfetta, simmetria di proporzioni delle parti opposte del corpo umano, era alla base della disposizione tipica delle opere di Policleto., in cui il Canone individuava in tale equilibrio il supremo ideale di bellezza ed armonia. Le proprietà matematiche della simmetria sono state studiate in tempi più recenti dagli psicologi della percezione , che mira ad approfondire la maniera in cui si organizza il mondo fenomenico di ogni persona, indagando le modalità con cui l'individuo entra immediatamente in rapporto conoscitivo con l'ambiente in cui vive, a cominciare dalla percezione visiva , per poi estendersi a tutti gli altri sensi ( vedi Koffka, 1970; Vernon,1964). Alla psicologia della percezione, partendo dalla constatazione che dalla simmetria deriva un vissuto di tranquillità; è probabile che da questo derivi l'importanza della simmetria, soprattutto nel campo delle arti. Limitandoci ora al campo delle arti visive, proviamo a rifare succintamente qualche percorso , collegato al concetto di bifrontismo, per esempio in riferimento alla rappresentazione della divinità. Cominciamo con una importante civiltà del passato, che fece nelle arti visive un grande uso del bifrontismo, e cioè i Sumeri. Il bifrontismo è frequente nelle raffigurazioni delle sue tavolette e dei cilindri, un esempio per tutti: un'immagine bifronte, quella di Isimud, ministro della trìade di divinità An, En-lil, En-ki.
Spostiamoci nel tempo e nello spazio, presso un'altra grande civiltà, quella dei Greci. C'è un personaggio della mitologia greca, Argo ,denominato anche Argus Panoptes ( cioè "che vede ogni cosa"), che viene raffigurato come un cane dai cento occhi , che chiudeva solo a metà. quando dormiva. Alla sua morte, per mano di Hermes, fu trasformato da Hera nella coda del pavone.
Tra tutte le divinità venerate nelle regioni Italiche, il più rappresentativo è sicuramente il Romano Janus (Giano), unico Dio della Conoscenza (Julius Evola) e alla base di tutte le Corporazioni ,sia Eso che Exoteriche il cui culto nasce dalla constatazione dell'eterno passaggio da uno stato all'altro. Per questo i suoi templi erano semplicissimi:un lungo corridoio, con un'entrata e un'uscita, entrare e uscire, cominciare e finire, nascere e morire, gli eterni corsi e ricorsi. La leggenda dice anche che Janus, o Giano, di origine divina, avrebbe regnato sul Lazio, istituendo per primo i riti religiosi e dando inizio alla costruzione dei templi. Di conseguenza, era il patrono dei Collegia Opificum e Fabrorum, istituiti sotto il regno di Numa e in suo onore le corporazioni degli artigiani romani celebravano le due feste solstiziali, essendo protettore di ogni inizio e iniziatore della civiltà . L'allegoria della doppia faccia e della doppia fronte è stata interpretata in vari modi. Viene collegato al dono della scienza del passato e del futuro, fattogli da Saturno, da lui ospitato durante la persecuzione da parte di Giove. Secondo altre interpretazioni, dato che il mese di gennaio (Januarius) prende nome da Janus e a lui è dedicato, la doppia fronte che connota le erme del dio simboleggerebbe la visione dell'anno trascorso e di quello che sta iniziando. Da questo all'essere il custode delle porte (Iànitor , da ianus, in latino porta) e di ogni passaggio , quindi di ogni inizio ( anno, mese, giorno, comunque qualsiasi incipit) il passo è breve. In quanto divinità solare, Giano aveva il controllo delle Porte del Cielo (Januae caelestis aulae) aperte all'alba ( Oriente) e chiuse al tramonto (Occidente) dal Sole che vi transitava col suo carro splendente, così come all'inizio e alla fine dell'anno solare.Le sue due facce rappresentano quindi le due porte dei cieli, i punti in cui il sole sorge e tramonta. Era pure simbolo dell'aprire e chiudere ogni anno le Porte Solstiziali , attraversando le quali il Sole inizia i suoi percorsi ascendente e discendente.In certe rappresentazioni Janus ha un volto virile, con la barba, e un volto femmineo, probabilmente in rapporto al significato simbolico di Sole e Luna espresso dalla coppia Janus-Jana o Diano-Diana. La radice del suo nome allude al concetto di passaggio, come il verbo latino ire (andare), il gaelico ya-tu (guado) e il sanscrito yana (porta). Originariamente, nelle raffigurazioni storiche (sculture e monete), delle due facce di Giano, una era barbuta e l'altra no, E rappresentava anche il simbolo di sole e luna. Quanto allo spazio, Giano era presente sulle soglie delle case, presso le porte, così come vegliava sul colle esterno alle antiche mura Serviane, il Gianicolo, che fungeva simbolicamente da porta della città verso l’esterno. La tradizione romana fa di lui un mitico re italico, edificatore di una città, proprio sul colle che da lui prese il nome di Gianicolo, il Monte àureo dei Romani, che vi immaginavano favolosi giacimenti di sabbie aurìfere. Secondo la tradizione quello fu anche il luogo dove fu crocefisso san Pietro e per questo vi è stata edificata una chiesa dedicata a tale santo. Forse tutto questo per contrapporre a Giano, dio delle porte a cui il colle, era dedicato. Pietro, colui che ha in consegna le chiavi della Chiesa universale; sembrerebbe addirittura che, alla fine del primo secolo, Giano il dio delle porte si era in parte fuso con san Pietro. Inoltre, l’area Vaticana, su cui la stessa Basilica di san Pietro è stata eretta, fu un’area sacra fin dai tempi preistorici, nonostante il fatto che «Originariamente il Campus Vaticanus si estendeva in quella bassura compresa fra il monte Gianicolo e il Tèvere che Tacito appellava Infàmibus Vaticani locis per le putrescenti acque freatiche che vi stàgnano (Marrana). G. Di Nardo, Il ritrovamento della tomba di San Pietro, «Antologia di letture interessanti», Tale località, afferma Gellio [lib. xiv], fu chiamata Campo Vaticano dal dio preposto ai vaticini. Varrone identificò questo dio con Ajo, ossia il Dio Primo. In epoca più tarda, presso i Celti, troviamo una doppia testa in calcare del III secolo avanti Cristo. Nel secondo secolo avanti Cristo, sulle monete, verrà raffigurato con 4 facce, Plinio il Vecchio( 23-79 dopo Cristo)lo rappresenta come un dio solare a due facce . Macrobio ( IV secolo dopo Cristo) nei Saturnalia dice che Gennaio (Januarius) è dedicato a Giano, dio con due facce in quanto fuso con Artemide (Jana, cioè Diana, corrispondente a Diana Trìvia e ad Ecate triforme), cioè raffigurazione di sole e luna (chiamata infatti da Varrone (116-27 avanti Cristo),Iana Luna. Varrone sostiene che Janus era il dio del cielo, praticamente identificato con Juppiter ).Macrobio ricorda poi che il dio è il guardiano della terra e delle strade, come Diana Trìvia è la guardiana dei crocicchi. Janus o Dianus, come rammentato anche da Frazer (nel Ramo d'Oro del 1910), non ha origine da Jupiter il cui doppio non esiste. Janus sarebbe il doppio di Jana (come Dianus di Diana), derivando i loro nomi dalla medesima radice DI, che significa risplendente di luce. Cicerone (106-43 avanti Cristo) nel De Natura Deorum, ricorda che Janus era chiamato Eàunus, da eundo, ( gerundio di ire, che in latino significa andare, quindi "andando", perché Giano è sempre in movimento, proprio come il fenicio serpente Uroboro. Il serpente che si morde la coda, simbolo di eterno ritorno degli stadi dell'esistenza). Le due facce, barbuta-anziano e imberbe-giovane, alluderebbero anche al suo presiedere lo scorrere del tempo. La duplice faccia di Janus si sarebbe poi prestata ad essere una allusione alla concezione platonica dell'anima umana: nel volto giovane si potrebbe vedere l'aspetto divino dell'anima, attratta verso la divinità e splendente di celeste bellezza; in quello vecchio, si vedrebbe la caducità delle vicende umane e terrene , soggette al divenire, e di conseguenza destinate ad involuzione. Tuttavia, le rappresentazioni più antiche del bifrontismo risalgono al Paleolitico. L'attribuzione si deve a Pietro Gaietto (1974) che nel descrivere l'arte del Paleolitico, la collega alle religioni del tempo, considerandola strumento per culti e riti. Come nel caso di Libera e Libero, Libera è sicuramente la divinità Italica più antica. Connettendola alle successive rappresentazioni artistiche dei popoli post-paleolitici e storici, quali i Babilonesi, i Fènici, i Traci, i Celti, i Galli, gli Egizi, i Greci, i Romani, ecc., ricche di raffigurazioni di divinità con due o più teste, con uno o più occhi, esseri dalle fattezze umane con teste o parti del corpo di animali. Gaietto considera il bifrontismo di Giano come un vedere da ogni parte, cioè l'onniveggenza propria degli esseri solari. Lo studioso precisa che uno studio sulle religioni collegabili alla scultura antropomorfa del Paleolitico deve necessariamente fare dei parallelismi con le religioni storiche che avevano un'arte con tipologia simile, come il Giano bifronte. Secondo il mio punto di vista, il bifrontismo si manifesta fin dai primordi come raffigurazione visiva, nello stesso tempo constatazione e celebrazione di coppie di opposti, a cominciare dal duplice aspetto di fatti naturali ( vita-morte, maschio-femmina, giorno-notte, sole-luna, benefico-nocivo, bagnato-asciutto ecc), individuato e celebrato attraverso le raffigurazioni in scultura. La "doppia faccia"si è poi perpetuata nei tempi, come tipo ben preciso di raffigurazione, codificato nell'aspetto iconografico, ma pronto con estrema elasticità ad accogliere -come contenitore- le proiezioni di ogni tempo, ideologia e cultura, con una particolare enfasi per quanto riguarda i fatti che hanno a che fare col divino, in quanto la duplicità è comunque inquietante, e riecheggia poteri soprannaturali. Va ancora ricordato come l'origine del bifrontismo, oltre ad essere stata presumibilmente suscitata dalle numerose coppie di opposti che la natura incessantemente propone e mostra, vada pure ricondotta a meccanismi intrapsichici di splitting che, in misura non eccessiva e adeguata alla fase, si riscontrano nel normale processo di sviluppo dell'essere umano. Ci si riferisce precisamente a quella che Melanie Klein (1952) ha individuato come fase schizo-paranoide nello sviluppo del bambino, in corrispondenza con la percezione di oggetti parziali , verso i 3-4 mesi di vita (vedi Klein, 1921-1924 , per la definizione di oggetti interni). Otto Rank, nella sua opera Il doppio, collega il doppio all'emergere delle più profonde angosce di distruzione dell'Io, quindi in connessione con la morte; nell'improvviso pararsi innanzi a noi di un sosia (il nostro "doppio"), il rimosso riemerge con violenza,superando gli sbarramenti della censura, e l'Io viene sopraffatto dall'angoscia. Il duplice, quindi, è legato a qualcosa che ci sopraffà, come si diceva , e questa intuizione di Rank rafforza l'ipotesi precedentemente indicata, secondo cui i nostri più antichi progenitori hanno identificato la duplicità con l'inqiuetante, di conseguenza col soprannaturale, quindi con lo spirituale, e poi, presumibilmente, con l'immagine di una divinità. Freud riprenderà il concetto del doppio di Rank nel suo saggio sul Perturbante, heimlich, o, unheimlich , contrapposizione tra quanto ci è familiare e quanto ci è estraneo. Pertanto si può parlare di una compressione dei tempi storici, molto simile all’accorciarsi dei tempi necessari per comunicare con ogni parte del mondo, quindi come un aspetto dell’evoluzione culturale verso il "presente allargato" che avanza con il tempo reale dei mezzi di informazione planetari. Indubbiamente si tratta dello sviluppo di un nuovo livello di coscienza tempo-spaziale,Nella Bibbia Mille anni sono per Te come un giorno; mentre nei testi vedici dell'India sono perfino 4 bilioni di anni, ciò che trascorre tra la creazione e la distruzione dell’universo, che corrisponde ad un giorno di Brahma (Brahama Kalpa). Dunque, concettualmente la relatività della percezione temporale non è affatto nuova, quello che è inedito è l’odierno sostegno tecnologico per una concreta estensione conoscitiva nello spazio e nel tempo. Come per esempio, lo scioglimento dei ghiacciai, causato dal riscaldamento atmosferico appare come ultima fase dell'era glaciale, che ebbe inizio 10 mila anni fa con il sorgere dell'attuale era solare; come la contemporanea distruzione delle ultime comunità arcaiche rappresenta la fine della forma sociale che fu in vigore durante questa era glaciale, mentre la sua distruzione iniziò con l'invenzione storica del sistema città-stato che gradualmente venne a dominare il mondo. È con questa stessa prospettiva spazio-temporale della Visione Globale che si compone l'immagine dinamica dell'umanità, raccogliendo l’eredità selezionata del passato, per dipingere l'affresco virtuale che ritrae l'avvento del "uomo planetario" e del suo habitat rinnovato a misura dell'uomo e della natura. Anche questa ampia immagine temporale non è nuova in se, infatti, ha degli antecedenti nel rinascimentale ciclo pittorico della storia del mondo. Ai giorni nostri, nelle nostre culture, la figura bifronte continua ad esercitare un suo fascino, anche nelle arti visive. Un esempio per tutti, e proprio da una località così lontana da quelle in cui in passato si è sviluppata massimamente la cultura del bifronte: a Clyde River (isola di Baffin), gli scultori rappresentanti della scultura artica dell'Inuit attualmente usano vertebre di balena per raffigurare Giano a due facce, e questo è anche considerato un modo di utilizzare forme naturali. Si ritorna quindi da così lontano alle origini, e il cerchio si chiude...

AMULETO SLAVO RUSSO PERUN

E' una connessione diretta con le origini della cultura tradizionale, che si apre nel subconscio e il cuore dei migliori caratteristiche del popolo russo, ereditati da antenati. Talismano slavo "Perun" amuleto. Dà la vittoria, il coraggio e il successo. purifica la terra dagli spiriti maligni, fa' tornare la fertilità, porta ricchezza e armonia in propria casa.


Dizionario dei simboli cristiani - pagina 253
di Edouard Urech, Paolo Piazzesi, Franca Fiorentino Piazzesi - 1995

Agli inizi del XIII secolo, viene istituita la festa della Trinità. Le tre Persone del dogma vengono raffigurate perfettamente identiche, sedute nella stessa posizione, che alzano la mano nello stesso modo, in segno d'autorità e che reggono tutti e tre il globo del mondo sormontato dalla croce. In questo periodo in alcune chiese ortodosse compaiono tre volti identici, ma talmente ravvicinati che pur avendo una fronte, un naso, una bocca e una barba ciascuno, hanno però soltanto quattro occhi in tre, eppure sembra che ognuno di loro abbia i suoi due occhi. E' un modo ingegnoso di esprimere graficamente l'unità e le diversità divine contenute nel dogma della Trinità.

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Mentre l'icona della Sapienza conserva ancora chiare radici biblico-liturgiche, ben diversa è la struttura compositiva dell'icona denominata "L'occhio di Dio che tutto vede": esso si presenta come puro schema astratto, svuotato della presenza del suo prototipo. La struttura geometrica dell’icona (cerchi che si intersecano costruendo una forma quasi floreale) richiama quella della Madre di Dio del Roveto ardente. Il soggetto centrale richiama la profezia di Isaia 7,14(la Vergine che concepisce l'Emmanuele): in tre Cerchi concentrici sono raffigurati, rispettivamente, l'Emmanuele, un volto con quattro occhi, la Vergine. Al di sopra vi è un cerchio in cui si trova la figura di Dio Padre, mentre nei cerchi che scaturiscono dai raggi dell’Emmanuele, sono rappresentati i simboli degli Evangelisti. L'idea centrale che l'icona vuole comunicare‚ quella della onniveggenza di Dio; il gioco dei cerchi, simbolo di unità, è un chiaro richiamo cosmico. La centralità di Cristo, inserito in un sole infuocato con molti occhi, lo presenta come rivelazione della Sapienza di Dio che tutto vede e nel quale è contenuto il senso della creazione intera.

LETTERA Q-OCCHIO
Le misteriose origini dei re del Graal
di Laurence Gardner

Il Segno di Caino è il più Antico Stemma di cui si è a conoscenza nella Storia della Sovranità.


Secondo la tradizione della Midrash e la tradizione fenicia, il segno di Caino consisterebbe in una croce racchiusa in un cerchio. In teoria, si trattava di una rappresentazione grafica del regno, che gli Ebrei chiamavano Malkhut ("Regno", dalla parola accadica malku, che significa "Sovrano"). Questo era un'eredità di Tiàmat, la Regina Dragone, e grande matriarca della linea di sangue del Graal. Nella tradizione celtica, il simbolo grafico della croce racchiusa nel cerchio indicava le "cinque divisioni", che comprendevano quattro sottoregni con il palazzo principale al centro. Secondo la storia della Corte Imperiale e Reale del Dragone, un'antica fratellanza con origini egiziane risalente al 2170 a.C. circa, il cerchio esterno del segno di Caino simboleggiava un serpente-drago che tiene stretta con la bocca la propria coda: un simbolo di completezza e sapienza noto come uroboros. In rappresentazioni più recenti, appare esattamente con questa forma. La croce (chiamata rosi-crucis, parola greco-romana, da rosi che significa rugiada o acque, e crucis che significa coppa o calice) è un simbolo di illuminazione, e per questo motivo la sacra Rosi-crucis (la Coppa della Rugiada, o Coppa delle Acque) era il segno originale della linea di discendenza reale. La coppa simboleggiava a sua volta l'utero, rappresentando l'aspetto materno della regalità, da cui sgorgava il Sangue Reale (le acque della illuminazione). Si ritenne, perciò, che ciascun re della Mesopotamia fosse sposato con la Dea Madre e, come affermato dall'assiriologo di Oxford, Stephen Langdon, a questo proposito erano effettivamente celebrate delle cerimonie. Nel suo aspetto femminile, il segno di Caino divenne il simbolo di Venere con la cruce fuori dal cerchio, così che la donna (la
croce) fosse sormontata dall'Uroboro, simbolo della regalità del dragone. Con la croce posta sopra al cerchio, invece, la rappresentazione è quella dalla sfera delle insegne regie. Sulla scia della tradizione per cui le insegne regie hanno un significato simbolico, la sfera (globo) è espressione di completezza, rappresentando tutte le cose riunite all'interno del globo. Essa è inoltre associata all'occhio simbolico di "colui che vede tutto", l'occhio di Enki chiamato anche "Signore dell'occhio sacro". Poiché la regalità era considerata ereditaria per parte di madre, a partire da Tiamat, e Lilith, il nome Qayin (Kain da cui "King" che significa "rè") era anche direttamente associato al termine "Queen", che significa "regina". Sebbene il termine ayin sia associato all' occhio che tutto vede, gli alchimisti, che collegano il suo mistero con il cervelletto, la parte posteriore del cervello, lo hanno più correttamente associato alla "oscurità" (o al non-essere). L'aspetto "onniveggente" è quello di colui che percepisce la luce al di là dell'oscurità. La stessa parola alchimia deriva dall'arabo "al" ("la") e dall'egiziano khame,("oscurità"). Per cui al-khame è la scienza che sconfigge l'oscurità, o che illumina per mezzo della percezione. La lettera -Q-, la stessa di Qayin (Q'ayn) e Queen (-regina-), nella metafisica è attribuita alla luna e la "khu" (Q) era considerata l' essenza femminile mensile (lunare) della dea. Il mestruo (menstruum) divino costituiva la forza vitale più pura e potente, ed era venerato come "Fuoco stellare". La sua rappresentazione era l'occhio onniveggente il cui simbolo ermetico era un cerchio con un punto al centro, il kamakala dei mistici indiani ed il "tribindu" della scuola orientale. La lettera "Q" deriva dal simbolo di Venere "Q" un simbolo allo stesso tempo attribuito a Iside, Ninhursag, Lilith e Kali tutte rinenute "nere ma belle" ( Cantico dei Cantici 1,5). Sia Lilith che Kali erano titoli, con Kali, che deriva da Kala (il periodo del ciclo lunare femminile), mentre Ninhursag era la prima Signora della vita. Suo era il gene che costituì il vero e proprio inizio della linea di discendenza sacra: la Genesi dei re del Graal. Nella tradizione dei rosacroce, questa "genesi" è stata a lungo identificata con il trascendente "gene di Iside". La parola "genesi" (origine o inizio) deriva dal greco e dalla parola "genes" (che significa "generato da una specie"), da cui derivano anche le parole genetica, genere, genio, genitale, genere, generazione, genealogia, etc. In alternativa, l'occhio dell'illuminazione era a volte rappresentato all'interno di un triangolo (triangolo con un punto al centro) che rappresenta il daleth, o la via di accesso alla luce. Qayin (Caino/Kain) è spesso stato chiamato "il primo signor Smith" perché il termine Qayin significa anche "smith" (fabbro), come nel caso del fabbro che lavora il metallo, o più precisamente del fabbro forgiatore di spade, una abilità (o kenning, che significa conoscenza) richiesta agli antichi re. Da questo punto di vista, il nome che gli viene dato nella Genesi, così come quello di Hevel (Abele) e di molti altri nella Bibbia, è un appellativo che ne descrive un aspetto piuttosto che un nome proprio. Nella tradizione alchimistica egli era un Qayin, un artigiano dei metalli del grado più elevato, come lo erano i suoi discendenti, in particolar modo Tubalcain (Genesi 4,22) venerato nei circoli scientifici della Massoneria. Tubalcain era il grande Vulcano dell'epoca, il possessore della teoria plutonica (la conoscenza dei movimenti del calore interno), ed era un notevole alchimista. L'eredità di Caino era quella degli esperti in metallurgia sumeri, i Maestri artigiani che abbiamo incontrato alla corte di El Elyon, ed il supremo Maestro dell'Arte (artigiano) era il padre di Qayin Enki, descritto come "la manifestazione della conoscenza e l'artigiano per eccellenza che caccia via i demoni maligni che attaccano l'umanità". Le attività alchimistiche di questa famiglia avevano una grandissima importanza per la loro storia e nella loro competenza nell'arte risiede la chiave per il misterioso "pane della vita" e "manna nascosta" della Bibbia. Quindi, se il vero nome dell'uomo non era Qayin, allora qual' era? Nella storia sumera se ne parla come di Ar-wi-um, re di Kish, il Figlio di Mazda e successore del re Atabba (l'Adama). Con gli altri nomi con i quali veniva chiamato, cioè Masda e Mazdao, Enki (attraverso suo figlio Ar-wi-um il Qayin) era il progenitore del maestro spirituale dei magi, Zarathushtra (Zoroastro). Il nome Masda (da Mas-en-da) significa "uno che si prostra (come un serpente)", ed il nome sumerico Ar-wi-um è collegato alla parola ebraica awwin con la quale sono indicati i "serpenti". Nella tradizione persiana Enki era Ahura Mazda, il Dio della vita e della luce, chiamato anche Ormazd (o Ormuzd), che significa "Serpente, della notte", mentre in questo contesto Mazda significa anche "Signore" (Ahura Mazda significa. infatti, "Signore saggio"). Nella tradizione ariana della Persia era Ormazd ad aver creato per primo l'Uomo virtuoso, cosi come si diceva che Enki avesse fatto in Sumer. Per quanto riguarda l'identità della moglie di Qayin (Genesi 4,17-24), il suo nome era Luluwa (Perla: un gioiello solare). In alcune opere cristiane si afferma che Luluwa era la figlia di Eva, sebbene nella Bibbia non venga mai chiamata per nome. Luluwa (piu correttamente Luluwa-Lilith) era la figlia di Lilith, e nella tradizione del Talmud, Lilith era la prima consorte di Adamo, prima di Eva". Come si sostiene nei documenti sumerici, Lilith era la nipote di EnIil-El Elyon, essendo la figlia di suo figlio Nergal (Meslataea), Re degli inferi. Sua madre era la cugina di Nergal, Min -Ereshkigal, e Lilith era l'ancella della zia materna, la regina Inanna (Ishtar). Lilith era di pura razza Anunnaki e pur essendo la compagna designata per breve tempo di Adamo, l'ebraico Talmud spiega che essa si rifiutò di essere sessualmente la sua compagna. Da questo punto di vista, il suo compagno era Enki il padre della moglie di Caino, Luluwa. Il fratello di Enlil, Enki, (nella sua veste di serpente) era chiamato Samaele, e riguardo a questo, la letteratura della Ha Qabala ci riporta al punto in cui ha avuto inizio questa parte sul cosiddetto "Eden", in quanto afferma che "Samaele e Lilith sono chiamati l'Albero della conoscenza del bene e del male".

IL POTERE DEI SIMBOLI NELLA STORIA DELLA COMUNICAZIONE

Dizionario illustrato dei Simboli - G. RONCHETTI - EMBLEMI -ATTRIBDTl - ALLEGORIE - IMMAGINI degli DEI,

Occhio aperto, geroglifico degli Egiziani, per significare l'osservanza della giustizia. I Greci usavano molto l'espressione: Occhio di Giustizia. Negli epigrammatici si legge il seguente verso: Della giustizia l'occhio, ogni opera vede. Di qui derivò che, per acquistar fede alle parole, chiamavano in testimonio l'occhio della giustizia.Vita e morte. Occhio, aperto, emblema della vita; chiuso, emblema della morte. Comuni sono le espressioni: aprire gli occhi, per nascere; e chiudere gli occhi, per morire. Presso i Romani era rito sacro chiudere gli occhi ai moribondi, per riarprirli quando fossero pòsti sul rogo per abbruciarli; e ciò perché era vietato guardare gli occhi di una persona in agonia. Sole e Occhio. Gli antichi gli diedero il governo e la tutela del Cielo e di tutte le cose. Orfeo disse: il sole Occhio del cielo vivificatore; Eraclito lo chiama fonte del lume celeste; Platone lo dà figlio di Dio; Giamblico immagine dell'intelligenza, ecc. Omero e Aristotile dissero, che tali sono i moti nostri, quali li porta ogni giorno il sole. — Animale: Leone radiato, emblema della forza del sole. Sparviero, geroglifico presso gli Egiziani della virtù fecondatrice del sole; perchè ritenuto fecondissimo. Inoltre si credeva, al pari del sole, che si congiunge ogni trenta giorni, che lo sparviero, trascorso questo spazio di tempo, desiderasse la femmina. Tigre, presso gli Indiani, che onoravano per amore del sole, e i quali mangiavano soltanto le parti deretane della tigre, e ciò perchè volevano che quest'animale, appena nato, alzasse i piedi davanti verso il sole nascente, come per adorarlo. — Vegetali: Rapa, consacrata dagli Egiziani al sole, in opposizione alla cipolla, consacrata alla luna. Essi paragonavano il corpo della rapa all'immutabile aspetto del sole; mentre assimilavano le varie squame della cipolla alla varietà di forma della luna. Perciò nel tempio di Apollo Delfico era dedicata una rapa di piombo. — Diversi: Diamante, dedicato al sole. Disco, come lo mostrano le deità egiziane. Vedi Chiarezza — Dio — Eternità — Fama oscurata — Gesù Cristo — Gravidanza — Materia e forma — Tommaso d'Aquino (San) — Unità —Verità — Verità della religione — Vita umana.

Quattro - Il Numero 4 rappresenta sia il corporeo, il sensibile, sia l’incorporeo. Il significato del Numero “4” si riallaccia a quello del Quadrato e della Croce. Fin dalla Preistoria il Numero “4” fu utilizzato per significare il Solido, il Tangibile, il Sensibile; il suo rapporto con la Croce ne faceva un simbolo incomparabile di Pienezza, di Universalità, un simbolo di Totalizzazione. Il Quaternario è l’immagine della gerarchia del Mondo Creato, che gli Ermetisti riassumevano nel concetto dei Quattro Elementi: Fuoco, Acqua, Aria, Terra, che rappresentano anche i Quattro Stati della Materia: Plasma, Liquido, Gas, Solido. Tutti gli esseri viventi e tutti i fenomeni dell’Universo possono esprimersi attraverso una combinazione di questi Quattro Elementi. Il 4 è scomponibile in 1 + 3, la monade (l’uno) e il Triangolo. Simboleggia l’Eterno, l’uomo che porta in sé il principio divino. Il quaternario era il simbolo usato da Pitagora per comunicare ai discepoli l’ineffabile nome di Dio, che per esso significava l’origine di tutto ciò che esiste. È nel quaternario che si trova la prima figura solida, simbolo universale dell’immortalità, ovvero la Piramide

Dizionario illustrato dei Simboli

Il Valore Numerico (Secondo la Gematria) delle Lettere Ebraiche

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Carpeoro - Conferenza sul Simbolismo


Indice
America del Nord Quattrocchio e Quattrocchi
America del Sud Quattrocchio e Quattrocchi

Araldica Quattrocchio Quattrocchi
Basilicata Quattrocchio Quattrocchi
Biografia Gilberto Quattrocchio
Calabria Quattrocchio Quattrocchi
Campania Quattrocchio Quattrocchi
Curiosita Quattrocchio Quattrocchi
Emilia Ferrara Quattrocchio Quattrocchi
Esempi di genealogie disinvolte
Francia-Tunisia Quattrocchio Quattrocchi
I miei genitori: Gildo Quattrocchio e Emanuela Cuomo
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Roma Quattrocchio Quattrocchi
Roma Famiglie imparentate con Quattrocchio Quattrocchi
Roma curiosità Quattrocchio Quattrocchi
Sator-Cistercensi-Terdona-storia e mito
Sicilia Quattrocchio Quattrocchi
Simboli Quattrocchio Quattrocchi
Toscana Quattrocchio Quattrocchi
Umbria Quattrocchio Quattrocchi
Veneto Quattrocchio Quattrocchi
Quattrocchio Quattrocchi nel terzo millennio

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