CATENA D'AMORE - INNO ALLE DONNE

letto e interpretato da Patrizia Prodan - Musica Gilberto Quattrocchio (free download mp3)

CURIOSITA'

RITRATTO DEL PIU' ANTICO QUATTROCCHI CONOSCIUTO RIPORTATO NELLA SAGA B.C.

 

LA LEGGENDA DI SANTA BARBARA
Comune di Dambel (prov. Trento)

Il prezioso ritrovamento - Durante i lavori di restauro dell’ottobre 2004 sul lato dell’edificio, che guarda il cimitero, è stato rinvenuto un affresco del ‘400. Esso abbelliva la facciata del corpo quadrato dell’antica costruzione, che sorgeva in questo luogo da tempo immemorabile. Nella metà del ‘500, un nuovo muro venne eretto per ampliare il luogo di culto, e poiché non venne “ammorsato” a quello preesistente, ma solamente appoggiato, l’affresco è giunto a noi abbastanza integro e ben conservato. La figura rappresentata è una trinità a tre volti, uniti tra di loro, con tre nasi, tre bocche e quattro occhi: quello centrale è Dio, alla sua destra gesù, a sinistra lo Spirito Santo. La mano destra è alzata, in segno di benedizione; alla sua sinistra si può vedere un libro aperto con scritte alcune parole del Padre Nostro. In alto si può leggere: Jhavannes de Leoncellis e la data 1747.

URBANO VIII - DECRETO 11 AGOSTO 1628

ABOLIZIONE DELLE 3 FACCE E DEI 4 OCCHI DAL SIMBOLO TRINITARIO

Libro Patrologiae cursus completus: a cura di Jacques-Paul Migne

...Quindi scrìvendo S. Agostino cnm tres visi snr,t, nec quisquam in eis vel forma vel aetate major caeteris dictus est, cur non hic accipiamus visibiliter insinuatavi per creaturam visìbilem Trinitatis aequalitatem atque in tribns personis unarn eandemque substantiam , è assai probabile che gli artefici, colla scorta di tale opinione stimassero di rottamente esprimere la Santissima Trinità col simbolo di tre figure umane affatto uguali in ogni lor parte. Né solamente questo simbolo fu reputato da essi addicevole , ma usarmi anche di esprìmerla con tre .sole teste insieme unite, che vedute di faccia furono di poi qualificate da S. Antonino monstrum in rerum natura, condannate dal Concilio di Trento, e dal Pontefice Urbano VIII., il quale con decreto 1 1 Agosto 1628 ordinò: omnes imagines Sanctissimam Triadem uno carpare repraesentantes tribus faciebus et quatuor oculis in ignem comburi . Quanto alle tre figure intere, comecché tal fiata usate nella Chiesa greca e nella latina, ed abbian anche trovato alcuni fautori, nulladimeno esse pure vennero onninamente dismesse, essendosi quasi dapertutto costumato di esprimere la Trinità nel modo praticato attualmente, che è quello suggerito dal Cardinal Federico Borromeo nella bellì opera De pictura sacra, ben degna d' esser letta e studiata da chiunque professa l'arti che dipendono dal disegno .Questo esimio Porporato, giusta le norme prescritte dal sacro Tridentino Concilio ingiugne di rappresentare le tre persone divine in quelle apparenze sensibili nelle quali si sono manifestate all'uomo.

PIAZZA SCALA

Una delle espressioni artistiche della Trinità, diffusasi con l'arte gotica, fu costituita:
1 - da tre teste separate - quella di mezzo frontale, le altre di profilo - che escono da un unico tronco: "Dio Tricefalo", oppure:
2 - da un'unica testa che fonde in sé le tre persone trinitarie ed ha, di conseguenza, tre nasi, tre bocche e quattro occhi: "Dio Trifronte". In entrambi i casi la figura risulta racchiusa nel nimbo. La lontana origine a carattere mitologico, forse di provenienza orientale, contribuì ad assicurare a questa rappresentazione iconografica una certa diffusione soprattutto nell'arte popolare che vi individuò funzioni didattico/ornamentali: l'infatuazione per questa figura era attribuibile alla fusione tra l'illustrazione del dogma e il gusto artistico nelle sue forme fantastiche. La rappresentazione della Trinità era permessa dalla Chiesa. Bisognava tuttavia operare delle scelte: scelte che divennero ancor più necessarie in epoca di controriforma protestante allorché il Dio Tricefalo/Trifronte venne ironicamente assimilato dai detrattori della Chiesa Romana ad un pagano "Cerbero Cattolico". Non si potevano più tollerare moltiplicazioni di immagini audaci concepite artisticamente senza alcun criterio selettivo. Già nel XV secolo Sant'Antonino da Firenze (1389-1459), nella sua "Summa Theologica", aveva denunciato come "mostro nella realtà" - non di certo conveniente per rappresentare Dio - "quella tal immagine della Trinità in forma di uomo a tre teste: quod monstrum est in natura rerum". L'11 agosto 1628 Papa Urbano VIII organizzava un rogo esemplare allo scopo di bruciare tutte le immagini in suo possesso del "Cerbero", che dichiarava eretico.

Visita ai "Cerberi" presenti in Italia

Nonostante il divieto pontificio, che evidentemente non poteva avere effetto retroattivo, alcune delle produzioni artistiche oggetto di condanna non vennero eliminate bensì tramandate sino ai nostri giorni: curiose testimonianze di come l'uomo abbia sentito il bisogno di tradurre in immagini elementari anche il mistero della Trinità. Delle poche rappresentazioni iconografiche Tricefale o Trifronti tuttora rimaste, ci siamo visitati a visitare le seguenti:
1. VIGNOLA (Modena) - CAPPELLA DELLA ROCCA - Affresco quattrocentesco del cosiddetto "maestro di Vignola".
2. SACCO (Cosio Valtellino, Sondrio) - CAMERA PICTA - Affresco del 1464 posto alla sommità dell'ingresso di un'antica casa del paese, detta "Camera Pietà", interamente affrescata al suo interno, poi adibito a fienile. L'opera è attribuibile a un componente della scuola dei Baschenis di Averara (Bergamo), per generazioni famiglia di artisti vaganti.
3. FIRENZE - REFETTORIO DELL'ABBAZIA DI SAN SALVI - Significativo particolare di un celebre affresco (1519) di Andrea del Sarto, raffigurante l'ultima cena.
4. FIRENZE - PALAZZO VECCHIO: CAPPELLA DI ELEONORA DI TOLEDO - Interessante "cerbero" al centro del soffitto della Cappella affrescata dal Bronzino intorno al 1550.
5. FIRENZE - CHIESA DI ORSANMICHELE (O SAN MICHELE IN ORTO) E MUSEO DELLA BASILICA DI SANTA CROCE - Dio Tricefalo scolpito alla sommità del tabernacolo (già di San Ludovico, oggi ospitante un San Tommaso del Verrocchio) opera di Donatello e Michelozzo (prima metà del quattrocento) sull'esterno della Chiesa di Orsanmichele. Un calco del tabernacolo di San Ludovico si trova sullo sfondo della statua originaria del santo trasferita presso il museo della Basilica di Santa Croce.
6. FIRENZE - CHIESA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ" - Al centro del paliotto dell'altare maggiore, "cerbero tricefalo", realizzato nel 1448, attribuito ad Agostino di Duccio.
7. FIRENZE - MUSEO DI SAN MARCO (O DELL'ANGELICO) - SALA DEL LAVABO - Alla sommità della pala d'altare del 1510, con la sola preparazione a chiaroscuro (quindi forse da ritenere incompiuta), opera di Baccio della Porta, meglio noto come Fra Bartolomeo, raffigurante la Glorificazione della Vergine (Madonna con Sant'Anna ed altri Santi). Si tratta dell'unico esempio "Trifronte" (rispetto ai precedenti, tutti "Tricefali", individuati in Italia).
8. CHIESETTA DI LAVIN (Bassa Engadina - Svizzera) Nel soffitto, imponente "Cerbero Trifronte".

 

L'ICONOGRAFIA DIVINA AL FEMMINILE
E LA DONNA MISTICA

di PAOLA RESTANI


“Colui che è stato creato a immagine di Dio
possiede una totale somiglianza col suo modello”
San Gregorio di Nissa


L’iconografia divina al femminile trova la sua ragione d’essere nel fatto che la rappresentazione della SS. Trinità con sembianze Femminili rimanda al profondo significato di Dio inteso come madre, Dio legato alla creazione e, dunque, inscindibile dal ruolo della donna incarnato mirabilmente dalla Madonna, madre del Cristo e fulcro dell’evento della salvazione dell’intera umanità.

Questa tematica vuole cercare di suggerire delle riflessioni tra l’iconografia divina al femminile, lo spirito che l’ha animata, la dignità della donna e la perfezione della stessa in relazione alla mistica. L’iconografia divina al femminile trova la sua ragione d’essere nel fatto che la rappresentazione della SS. Trinità con sembianze Femminili rimanda al profondo significato di Dio inteso come madre, Dio legato alla creazione e, dunque, inscindibile dal ruolo della donna incarnato mirabilmente dalla Madonna, madre del Cristo e fulcro dell’evento della salvazione dell’intera umanità. La dignità della donna consiste nell’elevazione soprannaturale all’unione con Dio in Cristo Gesù ed ella rappresenta l’archetipo di tutto il genere umano: simboleggia l’umanità che appartiene a tutti gli esseri umani, sia uomini che donne, mentre d’altra parte la nascita di Cristo mette in rilievo una forma di unione con Dio che può appartenere solo alla donna: l’unione tra madre e figlio . Anche la via mistica ci porta al Dio inteso come madre. La maternità è simbolo dell’immedesimazione, fonde il corpo con il corpo; per la donna mistica dare a Dio il nome di madre significa realizzare una unione di natura vietata all’uomo. La forza morale e spirituale della donna, di cui le mistiche sono un mirabile esempio, si uniscono con la consapevolezza che Dio affida alla donna in un modo speciale l’uomo, cioè l’essere umano, in virtù proprio della sua femminilità. In questo modo la donna perfetta diventa un insostituibile sostegno e una fonte di forza spirituale per gli altri che percepiscono le grandi energie del suo spirito . Per cercare di spiegare tale tematica abbiamo scelto uno dei più importanti affreschi divini al femminile: si tratta dell’affresco situato sul lato sinistro del portale d’ingresso dell’Abbazia di S. Pietro in Perugia, è uno dei pochi in tutto il mondo che rappresenta Dio, Uno e Trino con volto di donna ed è un emblematico esempio dello spirito che anima la rara ed insolita iconografia. Bisogna precisare che esistono pochissime opere ritraenti Dio con sembianze femminili ed anche pochi studi sono stati fatti a tale proposito. Da sempre rappresentare Dio al femminile è stato il compito più audace: Bonifacio VIII emise perfino un decreto che vietava la rappresentazione di Dio Uno e Trino, quindi per intenderci con Tre Teste, si poteva solo rappresentarLo con un cerchio, un occhio, un triangolo, figuriamoci poi con sembianze femminili. La gerarchia ecclesiastica, adattata al concetto di uomo, ha teso attraverso i secoli ad emarginare il ruolo della donna nonostante lo stesso Gesù affidi alle donne compiti fondamentali e discuta con loro dei più profondi misteri di Dio. Uno tra gli esempi più significativi è quello della Samaritana con la quale Gesù discute presso il pozzo di Sichem del dono infinito dell’amore di Dio e le rivela di essere il Messia. Possiamo facilmente immaginare lo scalpore provocato dall’affresco in questione, databile agli inizi del 1300 ed attribuito alla scuola di Giotto; anzi tracce di tratti bizantini addolciti, in particolare ci riferiamo a quelli dei volti e l’impiego di colori delicati e chiari, tendono ad attribuire l’affresco alla scuola di Duccio di Boninsegna (1318) o almeno a pittori locali che si ispirarono a quella scuola . L’affresco raffigura la SS. Trinità con tratti Femminili, soggetto che nel tempo si farà sempre più raro fino all’ultimo divieto emanato nel 1745 da Benedetto XIV di rappresentare tale sublime mistero. La figura tricefala, seduta maestosamente in trono, emana quella tipica espressione di grazia contenuta, comune alla pittura senese. Anche l’angelo a destra si presenta ritto e statico nella sua aristocratica bellezza; non sfugga l’austera semplicità del panneggio e l’assenza nel trono di quel meticoloso cesellamento così gradito alla pittura bizantina. Tutti questi elementi donano all’affresco un valore non indifferente, soprattutto perché esso rappresenta una delle pochissime opere di transizione dalla pittura bizantina a quella umbra. Nel 1614 venne eretto un muro per coprire l’affresco e soltanto nel 1979, grazie alla felice intuizione del monaco benedettino Don Pietro Inama, si procedette all’abbattimento del muro ed a riportare alla luce l’opera. Tale intuizione venne sostenuta dall’affresco del Bonfigli datato 1469, ubicato nella Cappella del Palazzo dei Priori di Perugia ed intitolato alla Deposizione di S. Ercolano avvenuta nel 547. In tale opera si raffigura il trasporto della salma del Santo dalla chiesa di S. Ercolano alla Abbazia di S. Pietro. Quest’ultima viene descritta in dettaglio e nella facciata è possibile scorgere segni dell’esistenza dell’affresco in oggetto. Non esiste una documentazione riguardante l’opera poiché parlarne era considerato blasfemo. Attraverso l’esempio di tale affresco si vuole mettere in luce lo spirito che ha animato non soltanto l’opera in questione, ma soprattutto l’iconografia divina al femminile. Due sono i principali motivi ispiratori di tale iconografia: la creazione e l’umanità. La creazione. Dio materno, legato alla creazione, Dio che crea dal nulla, che interviene all’atto di generazione tra lo sposo e la sposa. Tale immagine è da collegarsi alla immagine della Madonna, infatti la creatività di Dio è da collegarsi alla maternità della donna. Dio non può essere solo Padre, il generare per gli esseri umani rimanda sia all’uomo che alla donna. Giovanni Paolo I nel 1978 durante L’Angelus Domini (Domenica 10 settembre) sottolinea che Dio è padre, ma più ancora è madre e come quando i figli che sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma, così quando noi uomini siamo malati di cattiveria, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore. Bisogna riflettere sul ruolo eccezionale affidato da Dio alla donna. Partiamo dalle parole di S. Paolo nella lettera ai Galati (4,4) “venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna”. Il Figlio, Verbo consostanziale al Padre, nasce come uomo da una donna. Questo avvenimento conduce al punto chiave della storia dell’uomo sulla terra, intesa come storia della salvezza. È significativo che S. Paolo non chiami la Madre di Cristo con il nome proprio di Maria, ma la definisca donna; ciò stabilisce una concordanza con le parole del Protovangelo nel Libro della Genesi (cf. 3,15) dove viene sottolineato il ruolo fondamentale della donna nell’evento centrale salvifico: tale evento si realizza in lei e per mezzo di lei (nota 4). Mentre Eva, come madre di tutti i viventi è testimone del principio biblico in cui sono contenute la verità sulla creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio e la verità sul peccato originale, Maria è testimone del nuovo principio e della creatura nuova, anzi ella è la prima redenta nella storia della salvezza, è creatura nuova, è la piena di grazia. L’invio del Figlio costituisce il punto culminante dell’autorivelazione di Dio al genere umano, questa autorivelazione possiede un carattere salvifico e la donna si trova al cuore dell’evento salvifico. La dignità della donna consiste nell’elevazione soprannaturale all’unione con Dio in Cristo Gesù, la donna rappresenta l’archetipo di tutto il genere umano: rappresenta l’umanità che appartiene a tutti gli esseri umani. In diversi passi della Bibbia troviamo dei paragoni che attribuiscono a Dio qualità maschili oppure femminili. Per esempio il profeta Isaia (66,13): “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati”. Anche nei Salmi, Dio viene paragonato ad una madre premurosa e in diversi passi l’amore di Dio è presentato a somiglianza di quello di una madre. Aggiungiamo, inoltre, che anche la via mistica ci porta al Dio inteso come madre. La maternità è simbolo dell’immedesimazione, fonde il corpo con il corpo, per la donna mistica dare a Dio il nome di madre significa realizzare una unione di natura vietata all’uomo. Il binomio donna-pace, sempre attuale , rimanda all’identità profonda della donna. La donna è colei che riceve amore per amare a sua volta, non intendendo solo o innanzi tutto lo specifico rapporto sponsale legato al matrimonio, ma rimandando a qualcosa di più universale, senza tempo, fondato sul fatto stesso di essere donna nelle relazioni interpersonali che nei modi più diversi strutturano la convivenza e la collaborazione tra le persone. Il legame Donna/Madre-Dio/Trinità rimanda al fondamento della donna, alla sua vocazione ed alla sua dignità, perchè nel Dio/Trinità c’è il donare e l’accogliere, il ricevere e l’offrire, cioè l’essenza della tenerezza materna. La donna di oggi tenta di affrancarsi dall’ingerenza dell’uomo, ma nel farlo non può rischiare di perdere la sua originalità femminile che costituisce la sua essenziale ricchezza. L’uomo guerriero e tecnico, secondo Nikolaj Berdjaev, disumanizza il mondo, mentre la donna, orante, lo umanizza nelle sue qualità di madre, inoltre sostiene il filosofo russo, la donna è predestinata, dopo il fiat della Vergine, a dire no, ad arrestare l’uomo ai bordi dell’abisso, a mostrargli la sua vera vocazione. A tale proposito nell’antica Grecia si soleva dire che la guerra è il padre di tutte le cose, al contrario, l’armonia è la madre di ogni cosa. La donna è armonia, di comunione, di pace, di unità. Questa missione della donna nei confronti della civiltà necessita di una più efficace sintesi fra le valenze della personalità femminile, ad esempio la valenza della affettività e della maternità, quella personale e domestica, sociale, la dimensione umana e soprannaturale. La donna ha come caratteristica originaria l’apertura alla percezione del sovrasensibile e, come sostiene Bachofen, l’elemento misterico costituisce la vera essenza di ogni religione e la donna ha coltivato tale elemento con straordinaria predilezione, poiché in modo naturale in lei è presente la inclinazione ad unire il sensibile al sovrasensibile. Bachofen richiama Pitagora nel sottolineare la particolare attitudine della donna . Nella esperienza cristiana non mancano donne mistiche, ispiratrici e profetiche come Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Teresa D’Avila, Rita da Cascia, Chiara d’Assisi, Giovanna d’Arco. L’ultimo spunto di riflessione che questa introduzione all’iconografia divina al femminile vuol suggerire, è recuperare la valenza della rappresentazione figurativa che non può far conoscere Dio che è infinito, ma può stimolare, accendere, infiammare il desiderio della conoscenza di Dio. La rappresentazione manifesta il visibile dell’invisibile e al tempo stesso è fonte di comunicazione che esprime contemporaneamente la presenza e l’assenza di Dio. I Padri della Chiesa vedono il ruolo pedagogico dell’iconografia, la quale, accanto alla parola, ha il compito di trasmettere al popolo cristiano le verità dogmatiche attraverso l’arte. La fede che anima le rappresentazioni figurative supera i secoli poiché è pregna del soprannaturale, è il segno luminoso che manifesta il mistero di Dio. Vi è un legame tra immagine-parola/liturgia come manifestazione della bellezza e della creazione. La parola è anche essa immagine, l’immagine è anch’essa parola. L’immagine di Dio è rappresentata nelle sembianze della Trinità poiché se in Gesù si può vedere l’immagine vivente del Padre, è perché lo Spirito Santo stesso rivela e manifesta Cristo e, in lui, la perfetta immagine del Padre e la sua unione con lui. Dio in sé trascende ogni immagine, viene rappresentata la natura umana e divina unite senza mescolanza in Gesù. Il cammino della conoscenza di Dio va dunque dallo Spirito che è uno, attraverso il Figlio che è uno, fino al Padre che è uno . Il simbolismo dell’immagine non abolisce la distanza tra l’uomo e Dio, ma ci permette di contemplare e gustare la bellezza di Dio, l’esserne rapiti attraverso una rappresentazione è una esigenza dello spirito e guardarla vuol dire scoprire l’amore di Dio per l’umanità. L’esperienza del linguaggio simbolico manifesta il desiderio dell’uomo di toccare e vedere il Signore e di riconoscere la distanza tra umano e divino attraverso la contemplazione. L’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, aspira incessantemente a contemplare il modello divino che porta in sé, secondo le parole stesse di San Gregorio di Nissa: “l’amante che arde del desiderio della bellezza, ricevendo continuamente ciò che gli appare come una immagine di ciò che desidera, aspira a saziarsi della figura dello stesso archetipo”.

© copyright Associazione Centro Culturale Leone XIII, Perugia 2004

Al Centro : Uno e Trino, Scuola di Leonardo da Brescia, Cristo Triforme 1542 circa, Vigo di Fassa (Trento) Chiesa di Santa Giuliana

A Sinistra : Trinita Fridolin Leiber Holy Trinity - A Destra : Trinita Etiopia Gondar Monastary

Uno e Trino : Tra le sfide più alte affrontate dall’arte occidentale, nella sua strettissima connessione con l’iconografia religiosa, spicca quella di offrire una rappresentazione, percepibile e chiaramente intelligibile, della sintesi prima e ultima del credo cristiano: la Trinità divina: Sin dalle origini, rappresentare fenomenicamente il mistero fondamentale della Fede implicava il dover distinguere, senza operare una scissione, tre elementi disgiunti, dando forma visibile alla compresenza, contiguità e continuità di Padre, Figlio e Spirito Santo. Nell’arte più primitiva, in una fase anteriore a quella in cui la pittura, in modo particolare, ne avrebbe dato una connotazione maggiormente descrittiva e naturalistica, la rappresentazione della Trinità cristiana venne affidata ai simboli (specie quelli geometrici, come il triangolo equilatero o i tre cerchi intrecciati). Ovviamente l’uso del simbolo, oltre che consentire un rapporto più stretto con il concetto astratto del sacro, rispondeva bene alle esigenze di sintesi e di chiarezza nel corso di un lungo periodo di tempo. Un filone iconografico che andò affermandosi a partire dal XII secolo e che ebbe una larga diffusione in ambito centroeuropeo, prevedeva la rappresentazione della Trinità come figura umana costituita da un solo corpo e da tre teste, oppure, secondo una soluzione preferita in Italia, da una testa con tre volti, il cosiddetto Vultus Trifrons. Scuola di Leonardo da Brescia, CristoTriforme”, 1542 circa. Vigo di Fassa (Trento), chiesa di santa Giuliana. I precedenti più immediati di ogni rappresentazione trinitaria cristiana vanno rintracciati nei simulacri della dea Ecate di epoca classica, a loro volta direttamente discendenti dai tricefali egizi (come Serapide). Il volto trifronte compariva pure nelle arcaiche raffigurazioni allegoriche della Prudenza. Nel contesto della diffusione dell’Umanesimo e dell’ammirazione per il lascito culturale dell’antica Roma tale rappresentazione, coerente con le divinità bifronti o trifronti del Pantheon dell’Urbe, dovette apparire una soluzione molto elegante ai pittori italiani dell’epoca. Ma fu proprio la sospetta contaminazione con il paganesimo a far sì che queste immagini della Trinità venissero guardate con sospetto dalla Chiesa post-tridentina. Poche sono in verità le testimonianze pittoriche di tale tipologia iconografica sopravvissute alla dichiarazione di eresia emessa nel 1628 da Papa Urbano VIII e ai conseguenti roghi dei dipinti. Tale figura, di cui è stata anche notata un’ascendenza celto-germanica, era chiamata dai protestanti il “Cerbero Cattolico”, mentre in contesto cattolico giunse ad essere indicata come “emblema diabolico” e “immagine improba”, fino alla soluzione definitiva imposta dal pontefice. Tra gli esempi rimasti vi è un affresco che decora l’abside della chiesa, di origine precarolingia, di santa Giuliana a Vigo di Fassa, in Trentino: nel mezzo troneggia, al posto del più consueto Cristo Pantocrator, l’icona della Santissima Trinità in un’unica persona a tre visi con aureola crociata, colta nell’atto di benedire con la mano destra e reggente con la sinistra il globo sormontato dalla croce. La posa della figura è ieratica, con un manto rosso ornato col monogramma del nome di Gesù e con fiori, fregiato da una larga bordatura. Come era consuetudine in questo tipo di immagini, gli occhi sono quattro, con una funzione “necessitante” alla immanentizzazione terrena della triade trascendente. Il viso di mezzo ha una barba bianca lunga, quello a destra una barba sempre bianca ma più corta, quello di sinistra una barba rossiccia; il colore dei capelli corrisponde a quello delle barbe. L’Opera, eseguita all’incirca nel 1542, è stata assegnata ad un pittore vicino alla scuola di Leonardo da Brescia, attivo all’epoca a Bressanone.

Descrizione Topologico Istorica della Città di Perugia Volume I
esposta da Serafino Siepi 1822 Stampato da Garbinesi e Santucci Perugia


ORATORIO della GONFRATERNITA di S.AGOSTINO. Non può determinarsi l'anno in cui fu questo Oratorio edificato, come neppur quello in cui fu istituita questa nobile Confraternita. Certo è però che l'Oratorio fu fabbricato sul principio del sec. XV e fu ridotto alla nobilissima forma in cui si vede sulla fine del sec. XVII e principio del seguente. Ascesi pochi gradini, si entra in un'Atrio e a sinistra si presenta l'ingresso del picciolo Tempio quadrilungo presso ai quattro angoli del quale, quattro porte sono simmetricamente collocate, e l'ultima di esse nella parete sinistra è appunto quella dell'ingresso. Nella parete estrema è un finestrone posto a cristalli nel 1800. Le mura sono ricoperte da quadri frammezzati a vaghissimi intagli a fogliami di legno dorato, opera del francese Carlo d'Amuelle compiuta sulla fine del sec. XVII unitamente agli intagli di cui tutto è rivestito il soffitto , fuorché nei comparti ove sono allogate tre pitture in tela entro allor proprie cornici sostenute ciascuna da Angeli parimenti intagliati in legno. L'Oro che cinge la superficie di questi ornati è così forbito e cosi dilicato artificio preparato, che serba il suo antico splendore, quantunque da Pierantonio Lazzi da Lucca posto in opera fin dall'anno 1700. — I tre fondi o pitture suddette del soffitto sono tra le migliori opere di Mattia Batini perugino e rappresentano il principale prossimo all'altare dell'Apostolo s. Filippo, il secondo s. Agostino, il terzo l'Apost. s. Giacomo il Minore in atto di essere recati alla gloria degli Angeli. Nella indicata stanza evvi pure una tavola colla Vergine sedente e il Bambino in braccio ed ai fianchi i ss. Agostino e Sebastiano inginocchiati, col campo oscuro, fregj alle vesti e diademi di oro. Nel gradino del trono è notato il 1510. Si attribuisce a Pietro, ma l'Orsini, riflettendo ch'egli avea in quel tempo ingrandito il suo fare , la reputa di qualche suo allievo. — Sotto al presente Oratorio è. un salone a volta che fu un tempo o l'antico Oratorio o l'antico Spedale di questa Confraternita e che ora serve da granajo. In esso veggo usi ancora gli avanzi di alcune vecchie pitture a fresco, tra le quali è notabile quella con cui si è voluto esprimere la Trinità , consistente una figura la cui faccia è composta di tre volti uniformi in un sol capo, servendo a tatti tre i volti quattr'occhi soli. (*) La mano destra di questa figura è in atto di benedire con tre dita elevate, e la sinistra tiene un libro aperto in cui a caratteri gotici é scritto „ Ego sum Via Veritas et Vita „ Da altro lato si veggono le immagini di s. Agostino e di s. Domenico. Si credono ,ambedue queste pitture opere di arteficì perugini eseguite verso la meta del sec. XIV. ( v. Mariot. Let. Pit. pag. 53 ) In prospetto poi ove credesi che fosse l'altare, è dipinto similmente nel muro un Crocefisso colla Vergine semiviva sostenuta da una Maria, s. Giovanni, e la Maddalena che abbraccia la croce, opera, come si crede, della scuola di Pietro, ma assaissimo danneggiata .
(*) Questa mostruosa maniera di esprimere il più augusto de' nostri misterj fu praticata piu volte dai pittori (v.Joh. Nolani de ss. Imag. et Pictur. L2.c4 ) e noi abbiamo veduta alcuna simile pittura anche posteriore alla condanna, che ne fece Urbano VIII, nel 1628
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BAPHOMET - 4 OCCHI

realizzato da Gilberto Quattrocchio

Così lo descrive Franco Cuomo nel romanzo storico "Gunther d'Amalfi": E vide il Baphomet. Non erano due facce, come si aspettava per tutto quello che aveva sentito dire sul demone, ma un unico viso, per metà d'avorio e per metà di bronzo, per metà bianco e per metà moro, per metà glabro e per metà barbuto. Sulla parte glabra splendevano due occhi di zaffiro, su quella mora due occhi di topazio. Sorreggeva la testa un corpo androgino, laminato d'oro e d'argento, avviluppato di segni lunari e solari al tempo stesso, dalla sessualità indefinibile. Una miriade di cordicelle variamente annodate pendeva dal capo dell'idolo, come una capigliatura incolta o una maledizione.

 

Baphomet Interpretazione di Eliphas Levi (Dogma e Rituale dell'Alta Magia, Parigi, 1865)


Durante il processo contro i Templari, in molte delle confessioni rese dagli imputati, risultò che essi veneravano un idolo barbuto cui davano il nome di Baphomet. Questi riferimenti fecero sì che al novero delle accuse mosse contro l'Ordine si aggiungesse quella di idolatria pagana. Le numerose descrizioni che ne sono state date sono spesso discordi tra loro, ma generalmente si può affermare che tale idolo, se mai sia esistito, era costituito da una testa, provvista di barba, spesso con due o addirittura tre volti. L'Adorazione di questa Testa era parte integrante delle cerimonie d'iniziazione dei nuovi cavalieri, insieme ad altre pratiche "oscure" quali quella del triplice sputo sulla croce o quella del famigerato "osculum sub cauda", il bacio alla base della spina dorsale, per le quali i Cavalieri vennero accusati anche di blasfemia e sodomia. Nonostante il fatto che molte di queste confessioni furono estorte sotto torture inimmaginabili, e poi ritrattate, i riferimenti ad una testa nel culto templare sono troppi ed in troppi luoghi diversi per essere soltanto l'invenzione di un singolo cavaliere o gruppo. Di teorie, a tale proposito, ne sono state fatte tante. Di seguito verrà esaminato un compendio di quelle maggiormente intriganti, se non proprio plausibili. L'Etimologia - Un primo enigma riguarda proprio il significato del nome, per il quale sono state avanzate diverse ipotesi. Secondo alcuni il nome sarebbe semplicemente una contrazione del nome di Maometto, e deriverebbe dai contatti segreti che i Templari ebbero in Medio Oriente con i maestri arabi, durante le Crociate. Altri la ritengono una corruzione del termine arabo abufihamet, che i Mori di Spagna pronunciavano bufihimat. Questo termine significa «Padre della Conoscenza» o «Padre della Sapienza», e potrebbe indicare un principio soprannaturale o divino. Non si comprende, però, che cosa potrebbe differenziare il Baphomet da qualsiasi altro principio divino. Non mancano ipotesi ancora più fantasiose: alcuni vi vedono l'anagramma della locuzione ebraica "Tem-oph-ab" che significa, parola per parola, «doppio-uccello-generazione». Il "doppio uccello della generazione" corrisponderebbe ad un chiaro simbolo sessuale, analogo al linga ed allo yoni del culto indiano: in tal caso i Templari avrebbero continuato e rinnovato gli antichi culti fallici dell'Oriente? Sembrerebbe poco probabile. Altri ancora fanno derivare il termine dalla radice greca del verbo battezzare, interpretando la parola come «Dio che battezza nello Spirito Santo». Tra le varie ipotesi, una delle più accattivanti risulta quella formulata da Hugh J. Schonfield, uno dei maggiori studiosi dei Rotoli del Mar Morto. Nel suo libro "The Essene Odissey", Schonfield descrive un cifrario crittografico a sostituzione chiamato codice Atbash, già presente in alcuni passi della Bibbia ed utilizzato per dissimulare dei nomi in alcuni testi Esseni. Il codice Atbash consiste nel ripiegare in due l'alfabeto ebraico di 22 lettere in modo che la prima venga sostituita dalla 22°, la seconda dalla 21° e così via fino all'11°. Poggiando questo cifrario sulla base inferiore, le prime due coppie di sostituzioni sono aleph-taw e beth-shin, e queste quattro lettere, lette di seguito, formano il nome del cifrario, a-t-b-sh. Secondo questo codice il nome Baphomet andrebbe scomposto nelle sue cinque lettere del corrispondente termine ebraico, che vanno sostituite con le loro corrispondenze nel cifrario Atbash: beth pe wav mem taw beth pe wav mem taw B Ph O M T shin wav pe yod aleph shin wav pe yod aleph S O Ph I A In questo modo, Baphomet traslitterato in Atbash da "Sophia", il termine esoterico che indica la "Sapienza". Il culto della testa caput mortuum. Etimologia a parte, il significato di questa testa rimane oscuro. Può darsi che essa abbia a che vedere con le pratiche alchemiche. In Alchimia, una delle fasi principali della Grande Opera veniva chiamata caput mortuum, o "Testa di morto", ed era la "nigredo" o l'annerimento della materia che si diceva avvenisse prima della precipitazione della Pietra Filosofale. Secondo altri, però, la testa era un cranio vero e proprio, una reliquia: per alcuni la testa di Hugues de Payen, padre fondatore dell'Ordine, sul cui stemma araldico comparivano tre teste nere in campo d'oro; per altri, il cranio decapitato di San Giovanni Battista, figura di spicco nel culto templare. Alcuni autori, in effetti, sostengono che i Templari erano stati influenzati dall'eresia giovannita, o mandea, secondo cui Gesù era soltanto un "falso profeta" mentre in Giovanni veniva riconosciuto il vero Messia. Ian Wilson propone l'ipotesi che l'idolo templare non fosse altro che la riproduzione della faccia di Cristo effettuata dal Mandylion, la famosa reliquia cristiana che in seguito è stata identificata con la Sacra Sindone di Torino. Secondo le ipotesi più comuni, la Sindone fu nel periodo fra il 1204 ed il 1307 custodita dai Templari, ed essa, opportunamente ripiegata, sarebbe apparsa proprio come una testa barbuta. In effetti, nel presidio templare di Templecombe, nel Somerset (Inghilterra), venne ritrovata la riproduzione di una testa che presentava una rassomiglianza impressionante col volto impresso sulla Sacra Sindone. Per altri, infine, la descrizione terrificante che alcuni ne hanno data richiama la figura di Asmodeo, il demone guardiano del tesoro del Tempio di Salomone. I Templari l'avrebbero posto a guardia del loro tesoro ed è in questa stessa chiave che molti interpretano la presenza della statua di Asmodeo che sorregge l'acquasantiera all'ingresso della chiesa della Maddalena a Rennes-le-Château. Il Santo Graal e il Femminino Sacro. Un ultimo filone di interpretazioni riconducibili alla figura del Baphomet è quella legata alla simbologia del Graal e del Femminino Sacro, recentemente riportata in auge dal successo mondiale del romanzo "Il Codice Da Vinci" di Dan Brown. In effetti, durante gli interrogatori che seguirono gli arresti del 1307, si parlò di una testa in altre due occasioni. Secondo i verbali dell'Inquisizione, tra gli oggetti requisiti nel Presidio di Parigi figurava uno strano reliquiario a forma di testa di donna. La parte superiore era mobile, incernierata su cardini, e conteneva alcune reliquie. Ecco come viene descritta: «Una grande testa di argento dorato, bellissima e lavorata a immagine di donna. Nell'interno vi erano due ossa del cranio, avvolte in un piccolo drappo di lino bianco, e quindi un drappo rosso. Vi era fissata una targhetta recante la legenda "CAPUT LVIIIm". Le ossa all'interno erano di una dona piuttosto piccola.» [Oursel, "Le procès des Templiers", p. 208] La natura della reliquia rimane misteriosa, e non aiutano certo le dichiarazioni di uno degli interrogati, che affermò che in ogni caso questa testa non aveva nulla a che fare con l'idolo barbuto utilizzato nei riti dell'Ordine. Qualcuno ha voluto leggere nella targhetta anziché la lettera "m" il simbolo virgo, il segno usato in astrologia per indicare la Vergine e la relativa costellazione. In tale accezione la stessa testa viene menzionata nei "Dossiers Secrets" di Henry Lobineau, raccolta di documenti e genealogie legati al cosiddetto ordine del Priorato di Sion. È stato provato, a onor del vero, che i "Dossiers" e tutto quanto riguarda il Priorato, compresa l'esistenza attraverso i secoli dell'Ordine stesso, fu una macchinazione e una mistificazione architettata da Pierre Plantard (di cui Lobineau era uno dei tanti pseudonimi) e dalla sua cerchia di esoteristi. Ad ogni modo, l'autore dei "Dossiers" non inventa tutto di sana pianta, ma pesca a piene mani in tradizioni e correnti esoteriche dell'epoca, ben radicate. Se, dunque, in questo documento, si fa riferimento ad un "CAPUT LVIII virgo", ossia "Testa 58 Virgo", a che cosa si riferirebbe questo rimando alla Vergine? Una testa è ancora al centro di un altro episodio, tradizionalmente legato ai Cavalieri Templari. Eccone una delle tante versioni: «Una nobilissima dama di Maraclea era amata da un Templare, un Signore Re di Sidone; ma ella morì giovane, e la notte in cui fu sepolta il perverso amante penetrò nella tomba, esumò il cadavere e lo violò. Allora uscì dal nulla una voce che gli comandò di ritornare dopo nove mesi perché avrebbe trovato un figlio. Il cavaliere obbedì all'ingiunzione e al momento stabilito aprì di nuovo la tomba e trovò una testa sulle ossa delle gambe dello scheletro (teschio ed ossa incrociate). La stessa voce gli comandò: "custodiscila con ogni cura, poiché sarà dispensatrice di ogni bene". Perciò egli la portò con sé. La testa divenne il suo genio protettore, ed egli poté sconfiggere i suoi nemici semplicemente mostrandola. A tempo debito, la testa entrò in possesso dell'Ordine.» Ward, "Freemasonry and the Ancient Gods", p. 305. Questo macabro episodio si può far risalire fino ad un certo Walter Map, che lo riportò verso la fine del XII sec. Tuttavia né Map né alcun altro autore che riportò lo stesso fatto successivamente specificano che lo stupratore necrofilo era un Templare. Ma nel 1307 la leggenda era ormai associata all'Ordine, viene menzionata più volte nei verbali dell'Inquisizione e più di un imputato dichiarò di esserne a conoscenza. Il teschio e le ossa incrociate erano un simbolo templare, dal quale sembra derivare il celebre Jolly Roger, la classica bandiera dei pirati. La storia della tomba violata venne successivamente tramandata dalla Massoneria, che mutuò dai Templari il simbolo del cranio con le ossa incrociate e spesso lo usò sulle pietre tombali degli affiliati. Ma ancor di più racconta il contesto del racconto, che potrebbe sembrare un rito iniziatico di morte e resurrezione, come quelli associati alla dea Iside. Un cronista, anzi, riporta anche il nome della donna, Yse, che richiama palesemente quello di Isis. Le proprietà magiche della testa richiamano quelle attribuite a Bran il Beato, nota figura della mitologia celtica, nonché quelle del Graal, ed a tale proposito, è bene ricordare che il mistico paiolo di Bran è stato identificato da molti autori come il precursore pagano del mito del Santo Graal.

 

THE BOOK OF QUATTROCCHI - FOUR EYES
© 2005 Chicago. J. P. Maher

In 1485-87 His Holiness commissioned Domenico Ghirlandaio to fix him up in the Vatican Gardens with un casino a belvedere - a little hut with a nice view. The phrase shrank to a word: -the belvedere of art historians. Surname and toponym collide here. The noble lineage boasts a coat of arms with the pictogram, or rebus writing, of four eyes .The Quattrocchi clan has no mythic freaks in their family tree: their name was inspired by other “eyes”, those of an ancestral abode in Tuscany. At this spot once upon a time stood a long gone church dedicated to the Virgin Mary, built on the bank of the once rushing river Bure. Which was once spanned by a now long-gone bridge. The torrent was filled-in to end its destructive floods. After diversion of the river bed, the old bridge was no longer needed and was dismantled and its stones re-cycled. De-consecrated, the church’s stones were re-used to build a farm house. This was the church of St Mary at the bridge with four arches - ‘eyes’ ”- Santa Maria a Quattrocchi

SENTENZE E PROVERBI EUROPEI:
EI, QUI LEGERE ET SCRIBERE SCIT, QUATTUOR OCULI SUNT (ALBANIA)

IL MUSEO PIO-CLEMENTINO ILLUSTRATO E DESCRITTO DA ENNIO QUIRINO VISCONTI - DESCRIZIONE DI GIANO CON QUATTRO OCCHI

"...orni gli fur dati di duplice , di veggente intorno intorno , di fornito di quattro occhi. O che pensassero che niuna cosa dovesse essere ascosa a colui per cui tutto era comparso ed aveva aspetto, o che piuttosto volessero con Orfeo, Argon..".e più chiaramente in quel verso conservatoci nel commentario ms. d' Ermia, sul Fedro di Piatone, e riportato nell' Orfeo di Gesnero, pag. 4o5 , dove Fanete è descritto Quatuor oculis adspioiens hinc et inde : dal che inferisce Eimia, che Fanete è la Tetrade , opinione a Cui possono anche averlo indotto gli ermi o si. uni laci i quadrangolari del Bacco Fanete. Così geminus si denominò da,' Latini anche Giano , a cui da Ovidio oculos diversa tuentes ( Fasi. , lib. I ) , espressione equivalente all' Orfico fteptoiréa : vero è che alle volte questa duplicità del Bacco Fanete fu interpretata per diversità di sessi , quindi il Bacco Androgino, e le immagini con due teste, una virile, mia muliebre, ciò esprimere l' altro nome di Metì ossia Intendimento, che allo stesso oggetto si attribuiva, del quale è singolarmente proprio il vedere ad un tempo innanzi e indietro , il prima e il poi delle cose;

Trattato dell'arte della pittura, scultura ed architettura -Paolo di Giovanni

Riferisce Eusebio, che la sorella di Saturno Dea dei Fenicj , chiamata dai Sidonj Astarte , con un cimiero che avea quattro occhi , due dinanzi e due di dietro, i quali si chiudevano e dormivano a vicenda, sicchè due ne erano aperti sempre; con quattro ali agli omeri , delle quali due stavano distese come se volassero

Quatuor oculis

..In castello autem quodam, quod Pompeius invaserat, tantus fuit imber sagittarum, ut sine vulnere defensorum nullus evaderet, quin et centuriones quatuor oculis *capti essent, et quum sero diurni laboris ac periculi summam imperatoris non tam auribus, quam oculis subiicere ac representare decrevissent, triginta sagittarum millia numerarent. Inter cuncta Cesii Sceve centurionis admirabilis virtus fuit, cuius scutum relatum Cesari perfossum CXX foraminibus est inventum. De quo quidem varia est fama.......

*nota:il termine "quatuor oculis" viene qui usato nell'accezione di "360 gradi".
La centuria usava la strategia militare della formazione a triangolo per
tenere sotto controllo il territorio e il nemico nelle 4 direzioni.


LA COMPAGNIA DEGLI SPEZIALI A BOLOGNA

Non sappiamo con esattezza quando sia sorta l’Arte degli Speziali a Bologna. Alla fine del Trecento si credette opportuno aggiungere, a quello della stessa Arte degli Speziali, anche il controllo, delle autorità mediche. Nel 1554 avvenne l’atto di sottomissione ufficiale della Compagnia al Protomedicato, sponte et volontarie; ma in realtà era un atto imposto e per nulla volontario e lo dimostreranno negli anni e nei secoli successivi i continui attriti tra i due gruppi. Venne istituito il Catalogo degli Aromatari (una specie di albo dei farmacisti), per mettere ordine nella variopinta accozzaglia di venditori di medicine e affini e fu compilato il Catalogus medicamentorum tam simplicium, quam compositorum quae in pharmacopaeis tam civitatis quam Comitatus Bononiae assidue servasi debent (1563). Nel 1574 fu stampato, come si è detto sopra, il primo Antidotario. Tra i capitoli più salienti, vi è quello della visita alle farmacie, che avveniva trimestralmente in città e circa due volte all’anno nel contado. I farmacisti dovevano obbligatoriamente tenere la scorta di medicinali semplici descritti nell’Antidotario ufficiale. Le visite sanitarie non si svolgevano soltanto nelle farmacie; il capitolo 2 delle leggi del 1666 del Protomedicato prevedeva anche le visite alle “sostanze aromatiche e ai medicinali” una volta all’anno, i Protomedici dovevano ispezionare anche le farmacie degli Ospedali. Le visite erano seguite da un rapporto dei protomedici all’Assunteria di Sanità. A volte si tratta di relazioni laconiche che danno l’impressione di abitudinarietà, ma nella maggioranza sono rapporti molto circostanziati che rivelano serietà e impegno dei singoli protomedici.

LIMONE QUATTROCCHI

Frutta in via di estinzione, una «banca» per salvare centinaia di specie italiane - Corriere della Sera 2002 - LIMONI Preoccupa, in particolare, la sorte di tre tipi di limone: il Femminiello di Messina, il Quattrocchi di Catania, il Santu Ghironi di Cagliari. Tante le qualità da proteggere. Tre nella zona di Torino e di Milano e poi le Appio di Sassari, le Zamboni di Bologna e le Limoncella di Roma. Femminello: Di origine sconosciuta coltivata da epoca remota in Sicilia e da cui attraverso mutazioni gemmarie si sono originate numerose selezioni clonali («S. Teresa», «a zagara bianca», «incappucciato», «sfusato di Favazzina» (Calabria), «Quattrocchi» «Scandurra») o poco tolleranti al «malsecco» («comune», «siracusano») e con caratteristiche morfologiche e bio-agronomiche più o meno diverse. Attualmente è diffusa soprattutto in Sicilia (Catania, Palermo, Siracusa, Messina) e in Calabria (Reggio Calabria). La pianta è di vigore debole («Quattrocchi»), medio («comune», «a zagara bianca», «apireno Continella», «sfusato di Favazzina»), mediamente elevato («S. Teresa» e «incappucciato») ed elevato («siracusano») con portamento assurgente, espanso («a zagara bianca», «apireno Continella»), o globoso («Quattrocchi»), selezionato da un solerte limonicultore di Acicatena, il cav. Quattrocchi, resistente ai venti, con produttività costante ed elevata, con foglie ellittiche con apice leggermente arrotondato, con picciolo corto e robusto.

SCIENZA IN CUCINA di Dario Bressanini Papà Mandarino e Nipote Limone


Gli Agrumi, una famiglia (botanicamente il genere Citrus) che comprende Aranci Amari, Aranci Dolci, Cedri, Mandarini, Clementine, Pompelmi, Limoni e via dicendo, sono coltivati da almeno 4000 di anni e una serie di incroci successivi hanno generato almeno 25 specie diverse. Dal punto di vista economico l’agrume più importante è l’arancia dolce, prodotta soprattutto in Brasile, nei paesi mediterranei, in Cina e in USA. Negli ultimi anni però si è osservata una riduzione del mercato a favore dei mandarini. Di solito associamo le arance e i limoni al sole delle nostre regioni meridionali, ma forse stupirà qualche lettore scoprire che la domesticazione degli agrumi è iniziata migliaia di anni fa in Asia. I primi documenti scritti che citano gli agrumi sono il testo cinese Tributo a Yu (2205-2197 BC), dove vengono menzionate alcune specie di agrumi, probabilmente mandarini e pomelo, e l’indiano Vajaseneyi sambita (800 BC) che cita i cedri e i limoni. La genealogia di questi frutti è rimasta per lungo tempo misteriosa sino a quando il recente sequenziamento del genoma di alcuni agrumi ha permesso di ricostruirne parzialmente i complessi rapporti di parentela. La scoperta più sorprendente è il fatto che quasi tutti gli agrumi coltivati al mondo sono il risultato di incroci di sole tre specie: il Cedro, il Mandarino e il Pomelo.
I Progenitori. Il Cedro (Citrus medica) è stato il primo agrume a raggiungere l’Europa. Probabilmente originato in India, è coltivato nel Sud-Est asiatico da migliaia di anni. È stato introdotto nel Mediterraneo dalla Persia e la Grecia da Alessandro Magno attorno al 300 avanti Cristo. Usato per il suo aroma, era l’unico agrume diffuso in epoca romana, e fu Plinio a chiamarlo citrus. In commercio oggi si trovano molte specie differenti di Mandarini: si intendono con questo termine comunemente frutti piccoli, dolci e facilmente pelabili. Il progenitore di tutti, originario della Cina, è il Citrus reticolata. Sebbene in Asia si coltivassero mandarini da millenni, questi non furono introdotti in Europa sino al 19 secolo. Le nuove varietà sono frutto di mutazioni genetiche, spontanee o indotte. Sempre più importanza ricevono le varietà senza semi, il cui genoma è stato modificato per ottenere dei triploidi (sono presenti tre cromosomi di ogni tipo) invece dei normali diploidi con i semi. Il terzo capostipite è il Pomelo o pummelo. Sembra un grande pompelmo, largo fino a 30 cm di diametro, ma con una forma un po’ a pera e con molto albedo: la parte spugnosa bianca non commestibile. È nativo del Sud-Est dell’Asia ed è stato introdotto in Spagna dagli Arabi, insieme ad altri agrumi, attorno all’anno 1000. È arrivato in Italia nel ‘700 grazie al capitano inglese Shaddock, che lo esportò anche in Giamaica. In Liguria questo agrume è per questo motivo chiamato Sciaddocco. Figli e nipoti Tutti gli altri agrumi coltivati sono risultati di incroci. Quello più importante, dal punto di vista economico, è l’arancio dolce (Citrus sinensis). Non esiste allo stato selvatico perché è il risultato di un incrocio, probabilmente avvenuto 4000 anni fa, tra il mandarino e il pomelo. Non sappiamo se l’incrocio sia avvenuto casualmente o se sia stato guidato dall’uomo, ma quel nuovo frutto dolce e succoso è stato immediatamente notato, propagato e coltivato e, forse, ulteriormente reincrociato con il mandarino. Poiché non esiste allo stato selvatico ma è il risultato di uno o pochissimi incroci originari, la sua biodiversità è estremamente bassa. Il bacino del Mediterraneo, nonostante vi sia stato introdotto solo dal basso medioevo, ne costituisce il principale centro di diversificazione genetica, con diverse mutazioni, in tre regioni distinte. La principale è la penisola Iberica, caratterizzata da arance bionde e dolci. Le popolari arance Navel e le Washington Navel, una loro mutazione genetica, sono le più diffuse al mondo, e sono state inizialmente coltivate in Spagna e Portogallo. Anche la varietà Valencia, senza semi e ottenuta in California nell’’800, è una delle più importanti e diffuse al mondo. La seconda area di diversificazione comprende la Tunisia, Malta e la Sicilia. Le arance del gruppo Moro hanno origine in Liguria ma si sono diversificate in Sicilia. Le Tarocco sono, in quel gruppo, ora le più coltivate. Il vicino oriente è la terza area di diversificazione delle arance. L’Arancio amaro (Citrus aurantium), detto anche arancio di Siviglia, non è come alcuni credono l’antenato dell’arancio dolce, ma è anch’esso un incrocio tra il mandarino e il pomelo. Introdotto in Italia nel medioevo, con il nome di melangolo, si usava per aromatizzare carne o pesce. Ora il suo uso è limitato a bevande, marmellate o prodotti affini. Questi due aranci sono a loro volta i progenitori di altri agrumi ottenuti per incroci successivi. L’Arancio Amaro si è incrociato con il Cedro, probabilmente tra il Nord-ovest dell’India e il Sud della Cina, e ha generato il Limone (Citrus limon). Mosaici romani del 100 DC mostrano che il Limone era già conosciuto, forse portato dai mercanti, ma non ci sono prove di una sua coltivazione. Portato dagli Arabi in Sicilia, le prime coltivazioni risalgono al basso Medioevo. Colombo lo portò a Haiti nel suo secondo viaggio del 1493 e da lì si diffuse nel continente americano. Non pensiate che gli incroci siano avvenuti solo in tempi lontani. Il Pompelmo (Citrus paradisi) per esempio, si è originato nell’isola di Barbados nel ‘700 con un incrocio tra l’arancio dolce e il pomelo. Ancora più recente, solo di un secolo fa, è l’incrocio casuale, avvenuto in Algeria nel giardino di un orfanotrofio, tra un mandarino mediterraneo, discendente del mandarino asiatico, e un arancio dolce, che ha generato la Clementina (Citrus clementina). Nel 1925 è stata importata in Spagna, dove sono state trovate alcune mutazioni genetiche interessanti, ed ora è il mandarino più importante del Mediterraneo. Il Lime (Citrus aurantifolia), chiamato anche limetta, arrivò nel 1500 nei Caraibi e in Messico grazie agli esploratori spagnoli dando il via a una coltivazione importante ancora oggi. È un incrocio tra il Cedro e il Citrus micrantha, un agrume selvatico. Poiché generati da incroci, la biodiversità degli agrumi coltivati è molto ridotta. Avendo chiaro quali incroci hanno generato aranci, limoni, pompelmi e così via, si potrà forse in futuro creare nuovi incroci con le caratteristiche desiderate di aroma, sapore, forma, colore ecc. ma anche, si spera, creare varietà resistenti alle malattie come il citrus greening che sta danneggiando le piantagioni di tutto il mondo.

CORRIERE DELLA SERA 6 APRILE 2008

India, nata una Bimba con due facce

Nel paesino a 50 km dalla capitale Delhi la gente le rende onori e la considera una reincarnazione di Ganesh. NOIDA (India) - In un piccolo villaggio rurale nell'India settentrionale è nata una bambina con due facce: la piccola ha quattro occhi, due nasi e due bocche. Centinaia di persone hanno iniziato a visitare il paesino Saifi a circa 50 chilometri da Nuova Delhi per rendere culto alla neonata affetta da malformazione, che ora viene vista come un'incarnazione divina. I genitori della piccola, tuttavia, hanno finora rifiutato qualsiasi analisi medica. E la sua storia sta già facendo il giro del mondo.

ANTIQUARIAN RARE BOOKS

Historia Iemanae [by Ibn al-Daiba] ed. C.T. Johannsen Di Abd al-Ramân b.

Narra dell'avvenimento prodigioso della nascita di un bambino settimino, figlio di una fanciulla di nome Ganna, nato con due corna, quattro occhi, naso curvo, le orecchie sulle scapole e quattro piedi con quattro diti ciascuno, denti grandi e capelli duri, sotto il regno di Mudjahidi, anno 744.
"Prodigium quoque sub regno Mudjahidi evenit, nimirum puer, facie haedi, duobus cornibus et quatuor oculis, binis ab anteriore, binis a posteriore parte instructus, cuius aures in extremis scapulis positae, naso curvo praeditus, cui dentes hominis et crines multum asperi erant, caeterum quatuor pedes, quorum singuli quatuor digitos habebant, dati, e puella quadam Ganna appellata, septimo post conceptionem mense natus est a. 744."

TEOGONIE di Aldo Vincent
COSMOGONIA GRECA - (FANETE)

Se per Babilonia ed Egitto in principio era il Caos acquoso e informe, per i Greci in principio erano le squame dei due serpenti primigeni che si attorcigliavano tra di loro: Ananke, la necessita’ e il Tempo che non scorreva. Da loro sortirono Etere, Caos. Ma il prodigio si ebbe quando dal coito dei due serpenti venne generato un uovo che si dischiuse generando la luce, e nella luce un Protogonos con quattro occhi e quattro corna, zoccoli e ali d’oro, teste d’ariete di toro, di leone e serpente, un corpo di giovinetto con fallo e vagina. Era Fanes: la chiave della mente. Pregno di luce Fanes si ingravido’ da solo e genero’ Echidna il serpente dal magnifico volto di donna. Poi genero’ la Notte che esisteva gia’ prima di lui e che divenne la sua concubina da cui ebbe Urano e Gea. A poco a poco tutte le cose apparvero nella caverna di Notte compresero i luoghi degli dei e degli uomini. Il Tempo comincio’ a scorrere e Fanes rimaneva nella caverna finche’ tutto il fattibile si fece. Fu allora che Fane’ con il suo scettro si reco’ con il suo cocchio sopra il dorso del cielo. Urano e Gea intanto si univano in un coito ininterrotto e a mano a mano che nascevano i figli Gea era costretta a ricacciarli nel suo utero finche’ nacque Crono con un falcetto dentato che taglio’ i testicoli al padre, i quali candendo nel mare generarono Venere che in greco vuol dire: nata dalla schiuma (Afrodite), assistita dalle sue due ancelle Apate e Zelos (Inganno e Rivalita’). L’interruzione del coito sparse per lo spazio molti esseri quali i Titani, i Ciclopi ed i Centimani. Crono si congiunse con Rea e tutti i figli che essa generava venivano inghiottiti dal padre che non voleva rivali. Quando nacque Zeus, Rea lo nascose nella caverna della Notte. Quando i tempi furono maturi, Notte preparo’ un pranzo di miele e ambrosia per Crono che ebbro si appisolo’. Allora Zeus lo lego’ con una catena e comincio’ ad inghiottire ogni parte dell’Universo fino ad arrivare a Fanes che preso dalla contemplazione di se’ stesso, non si accorse di nulla. Quando Zeus ebbe ingurgitato tutto il mondo, lo vomito’ tutto uguale a prima ma legato da una catenella d’oro. Quando tutto ritorno’ come prima Zeus ebbe il desiderio di congiungersi con sua madre Rea che ora era diventata Demetra. Per sfuggirgli lei si trasformo’ in serpente e pure Zeus che la colse in una stretta soffocante. La stessa dei due serpenti primigeni che generarono il Tutto. La stessa che Ermes porta sempre con se’, e mostra nelle sue apparizioni. Da questa congiunzione nacque Persefone, l’inguardabile e il cui nome significa: “colei di cui non si puo’ pronunciare il nome”. Tutto questo accadde a Creta.

"Mr. Four Eyes" - The History of Monsters - Aldrovandi 1599

I was recently able to view some wonderful and rare antiquarian books at the rare book room of the University of Iowa Medical Library. This is the front cover and two pictures from Ulyssis Aldrovandi's 1599 "The Histroy of Monsters". Aldrovandi (1522-1605) was a first class scholar of the reniassance and collector of curiosities. He published 13 volumes based on his collections, reading, and information he picked up from others. I think this copy was from 1642 and shows mr. fancy long ears (fanesius auritus) and mr. four eyes (quatuor oculis).

Recentemente sono stato in grado di visualizzare alcuni meravigliosi e rari libri antichi presso la sezione libri Rari della University of Iowa Medical Library. Questa è la copertina anteriore e due immagini da Ulyssis Aldrovandi del 1599 "The Histroy dei Mostri". Aldrovandi (1522-1605) è stato uno studioso di prima classe del Rinascimento e collezionista di curiosità. Ha pubblicato 13 volumi sulla base delle sue collezioni, la lettura, e le informazioni prese da altri. Penso che questa copia era del 1642 e mostra mr. lunghe orecchie di fantasia (fanesius auritus) e mr. quattro occhi (Quatuor oculis.) La copertina dice in parte: Ulyssis Aldrovandi Native (patrizia) di Bologna (Bononeinsis) Monstorum Historia (La storia di mostri) con di Paralipomenis storia di tutti gli animali (?) Bartholomeus Ambrosino (e quindi alcune cose su questo ragazzo penso che come i suoi titoli, potrebbe essere stato il successore di Aldorvandi a Bologna che ha curato questo volume) alla Fiera (sereniss) e invincibile (invictum) Ferdinando II Grande e virile (?) Leader Con un indice estremamente grande (mi piace che parte) Questa è l'unica figura nella prima edizione 1628 libro "Una disquisizione anatomica riguardante il movimento del cuore e del sangue" di William Harvey (1578-1627). In questo piccolo libro 68 pagina Harvey è stato il primo a pubblicare l'idea della circolazione del sangue e quindi questo libro è a volte detto di essere il libro più importante nella storia della medicina. Il libro di Harvey è molto rara ed estremamente preziosa da quando è stato stampata su carta.

I MOSTRI IN BELLA VISTA di Carlo Ossola

Seppure il mirabile repertorio dell’Aldrovandi appaia a metà Seicento, l’autore naturalista bolognese: 1522-1605 appartiene a pieno titolo alla storia e al compimento delle scienze rinascimentali, alle quali consegnò una superba Ornithologia (1599) non meno che il De animalibus insectis, 1602. La sua opera è certo uno dei filoni come hanno mostrato Giuseppe Olmi, Jean Céard, Lucia Tongiorgi, Francesco Solinas ai quali attingerà la nuova scienza lincea, ma anche il ricettacolo di tradizioni teratologiche le cui origini si perdono nei mirabilia dei classici, da Omero a Erodoto, rinfrescati nell’enciclopedia di Plinio, o di Solino, riconsegnati alla fantasia medievale (ricca di ogni sorte di apocrifo, nelle scienze non meno che nella Bibbia, come documentarono Baltruaitis e Male) dai ricchi bestiari, naturali e moralizzati come il Liber monstrorum, attribuito ad Aldelmo di Malmesbury (640-709) o il Bestiario di Gubbio (consultabili rispettivamente nelle edizioni di Corrado Bologna e di Annamaria Carrega e Paola Navone), dispiegati infine alle fantasie romantiche foriere del neogotico da Berger de Xivrey, Traditions tératologiques (Paris 1836). I mostri sono sempre con noi: le serie dell' intrattenimento cinematografico ne hanno creato di nuovi, e le ibridazioni genetiche ormai prive di canone ne fabbricano e promettono ogni giorno, da Dolly al recente Cama (un po’ cammello, un po’ lama) del Dubai. Che cosa giova dunque risalire al Cinquecento, all’Aldrovandi? Il primo beneficio è nel far memoria del desiderio umano di pienezza e identità e dell’altrettanto forte impulso a fuggirla, allorquando essa si disegni come possibile. Nata appena la divina prospettiva, l’ordine delle proporzioni, l’onore delle membra e dell’intelletto, già l’uomo del Cinquecento come ricapitola Aldrovandi ripensa alla propria informe infanzia e al caos originario del mondo. All’origine il babazw dell’infante pag. 66, l’inarticolato emettere suoni di pueri e cuccioli, quel vagio (donde vagito) che i latini attribuivano ai pargoli come ai capretti e in Marziale persino al grugnito del maiale. L’uomo si distacca a fatica dal regno animale di cui è insieme sovrano e propaggine dell' ultimo giorno; nella mitologia, a contrappesare le bellezze di Venere, molti degli idoli sono mostruosi, dal Giano bifronte al centauro, dalla sfinge alle sirene, alle arpie. Aldrovandi studia questi innesti e gemmazioni e le magnifiche tavole che ritmano il volume e sono parte essenziale del suo fascino (rinfrescato da questa elegantissima edizione) riproducono queste duplicità: l’eccesso tale è la prima condizione del mostruoso pag. 319 raddoppia, duplica; duplica teste e occhi (Vitulus biceps quatuor oculis), gambe e braccia (Homo sex brachiis refertus), maschile e femminile (Hermaphroditus, Androginus). Aldrovandi osserva che si tratta di Naturae lusus; scherzi di natura. Ma certo non dimenticava che Deus ludit in orbe terrarum, e che la natura lo imita. E questa è la seconda lezione che ci viene dalla teratologia: perché o il mondo è finito, compiuta la creazione, e il creatore, «dato il calcio al mondo», si ritira; oppure esso è aperto, la creazione continua, tutto rigermina, si trasforma, muta, riproduce, conglomera, dissolve, dispare. «Infinita fere dictu et auditu mirabilia circa humanum corpus»: infinite sono le meraviglie già solo del corpo umano, osserva l’Aldrovandi, e il mostruoso è il prezzo, estremo, da pagare alla varietà del mondo, al piacere della sorpresa, al desiderio della novità. Miracolo, del risanamento, e mostruoso, della deformità, diabolico e divino si contendono l’umano: lo stesso Aldrovandi contempla e illustra, in pagine giustapposte (e mirabilmente illustrate) un Monstrum marinum Daemoniforme e un altro Monstrum marinum rudimenta habitus Episcopi referens pagg. 357-358. E come il bene è bello, così il male è mostruoso: qui è l' altro ricordo della teratologia rinascimentale: il male deforma l' uomo e, come osservava il Castiglione alla fine del suo Cortegiano, è sempre più frequente trovare un «principe di così mala natura, che sia inveterato nei vicii, come li fisici nella infirmità» (IV, 47). L’ultimo Cinquecento e il Seicento incrementarono quella galleria: Ambroise Paré, Des monstres et prodiges, 1573; Martin Weinrich, De ortu Monstrorum, 1595; Fortunio Liceti, De monstrorum natura, caussis et differentiis, 1616; e Céard li percorre con sapienza attenta al liber naturae, a sceverare dal prodigioso la lenta nascita del fisicamente dato e controllabile. Pur tuttavia, il controllo del prodigioso fu molto lento: ancora nel 1613 appariva a Venezia Il Serraglio de gli Stupori del Mondo di Tommaso Garzoni, «diviso in diece appartamenti», che contenevano: «mostri, prodigi, prestigi, sorti, oracoli, sibille, sogni, curiosità astrologica, miracoli in genere, maraviglie in specie». Garzoni, che aveva allestito un Teatro de’ cervelli, un Ospedale de’ pazzi, si cimenta infine con la «parte in ombra» dell’umano, cercando di portarla in luce, richiamando «tutte le ragioni formate dal clarissimo Francesco Veniero in favore de’ Mostri per la perfezzione dell’universo». Che sarebbe infatti il bene dell’omunculus in un mondo compiutamente armonico? Non bisogna forse che crescano insieme il grano e il loglio? Perché, chiosava il Castiglione, «essendo il male contrario al bene e’ l bene al male, è quasi necessario che per la opposizione e per un certo contrapeso l’un sostenga e fortifichi l’altro, e mancando o crescendo l’uno, così manchi o cresca l’altro perché niuno contrario è senza l’altro suo contrario» (Cortegiano, II, 2). Tale è dunque la «dispettosa maraviglia» con cui «si mirano le cose monstruose» (ivi, I, 20); e l’Aldrovandi almeno in questo ci consola, che se tanta è com’è la mostruosità del mondo contemporaneo, da qualche parte, a noi nascosta, a noi ignota, deve pur esserci il necessario contrapeso di armonia. E se anche non si trovasse, occorrerà allora trovar rifugio nei suoi Moralia ab humanis aegritudinibus petita, poiché, suggerisce l’adagio, non tutto il male vien per nuocere; e soprattutto né per mostri né per miracoli la terra è mai da contemplare: cor ne devores, perché tu non abbia a mangiarti il cuore.


Xenophontis Scripta quae supersunt Di Xenophontos ta Sozomena,trad. Friedrich Dübner

Ero praeterea, inquit, bac etiam in parte mcliorí conditione quam hippocentaurus : duobus prospiciebat , el auribus duabus au- diebat; ego vero quatuor oculis in explorando utar, et auribus quatuor priesentiam. : aiunt enim equum eliam oculis multa prospicientem hominibus indicare, et significare itidem multa quae auribus ipse prius percipiat. Itaque me , ait, illiii in ? in numerum adscribe, qui equitare vebemen- tissimecupiunt. » Et nos quoque , profecto, inquiunt reliqui omnes. Turn vero Cyrus , Quid igitur , ait , quandoquidem nobis li.i'c mirítice probantur, si etiam legem nobis ipsis feramus, ut turpe sit quenquam eorum, quibus equos ego suppeditavero, peditem in profeclione conspici, sive magnum , sive parvum er faciendum sil? ul omnino nos hippocetauros esse arbitrenturbomines.

Di Gottfried WilhelmLeibniz, NiedersächsischeLandesbibliothek Hannover Leibniz-Archiv., Akademie der Wissenschaften in Göttingen, Akademie der Wissenschaften in Berlin (1991- )

DATUM NEAPOLIS IDIBUS JANUARII 1693NUNE MITTITUR TARANTO URBE APULIAE STILLIONIS FIGURA QUATUOR OCULIS

Fragmenta philosophorum graecorum Di Friedrich Wilhelm August Mullach-

Aureis alis hue et illuc volitans. Quatuor oculis hue atque illuc spectans-

LINGUAGLOSSA

DESCRIZIONE ANALITICA DEI TOPONIMI-V.FRANCESCO COPANI, POETA

Figlio di Domenico e di Elisabetta Vecchio, Francesco Copani vide la luce a Linguaglossa nel 1636, ultimo di quattro figli, e a Linguaglossa si spense nel 1723, dopo avervi esercitato la professione di notaio. Legò parte delle sue sostanze ad opere di beneficenza. Scrisse poesie in dialetto siciliano. Della sua produzione vernacola ci rimangono, purtroppo, soltanto i titoli, (con il relativo numero di versi), di otto poesie: Alle anime del Purgatorio, in sedici versi; Per la morte di una giovane, in ottanta versi; Funesto di Catarina Copani e Quattrocchi, in centocinquantadue versi; Passaggio del Padre Rev. Mastro La Guzza, (sicuramente quel Francesco La Guzza carmelitano ricordato da Vito Amico), in trentadue versi; Superbia Umana, in trentadue versi.Un poemetto invece, Pianto della città di Linguaglossa in tempo della penuria dell’anno 1672-73, di quattrocentottanta versi, si è salvato per merito di Giuseppe Copani Mannino che nel 1909 ne curò la pubblicazione. Il poemetto è una pagina viva e palpitante della storia linguaglossese del Seicento rivissuta sullo sfondo cupo della carestia; usi e costumi del nostro centro, chiese e feste tradizionali, ricchi e borghesi e poveri (manti, cappeddi, e birritti), laici ed ecclesiastici e sbirraglia, tutto e tutti sono passati in rassegna dalla Musa costernata del nostro inconsolabile Notaro.

Linguaglossa (Linguarossa in siciliano) è un comune di 5.361 abitanti della provincia di Catania.

LA GRANDE FRONTIERA
Uomini e donne del West-Titolo originale The Westerners Autore Dee Brown
Editore Mondadori-Anno 1974-Altre edizioni Mondadori 2000-Traduzione Andrea D'Anna

Contenuto. «La storia del West americano ha tutti gli elementi dell'Iliade e dell'Odissea. E' un mondo eroico di conquiste e di guerre, di viaggi in terre lontane, di audaci cacce, estreme resistenze, imprese leggendarie. E' un'epopea di grandi gesti, di trionfi e fallimenti, del più vasto campionario di eroi e di eroine. Il West è una tragedia temperata da interludi di commedia. E' una storia del bene e del male, un dramma allegorico fatto di astrazioni personificate». Così Dee Brown, autore del famoso best-seller Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, introduce a questa sua nuova opera dedicata a un West tutto da rivisitare, da riscoprire, da riconsiderare sotto una nuova luce. Brown ci guida in un'appassionante cavalcata attraverso i secoli, alla scoperta di un mondo emblematico dove si sono date convegno genti di ogni angolo della terra e si sono scatenate tutte le cupidigie, tutte le passioni, tutte le forme di sfruttamento. In questo autentico ombelico del mondo, nella cornice di una natura maestosa e selvaggia, si sono consumate le vicende personali di uomini e di donne d'eccezione, e la travolgente avanzata della civiltà bianca ha condotto all'estinzione stirpi umane e specie zoologiche. Essa si apre col primo uomo che giunse nel West dal mondo non-indiano, un negro marocchino di nome Esteban, per poi presentare volti spesso inediti di altre figure rappresentative del favoloso West - compreso un nobile, indomito e fondamentalmente mite Toro Seduto accanto a un fatuo e pusillanime generale Custer - e concludersi col cow-boy vagamente grottesco che per due volte diede con successo la scalata alla Casa Bianca: Teddy Roosevelt, alias Quattrocchi, alias il Cavaliere di Ferro, colui che «rappresentò il distillato finale dell'esperienza del West, e come presidente fece molto per imprimere durevolmente questi tratti nel carattere del popolo americano

I TRE SERGENTI RACCONTO BREVE PUBLICATO IL 30 MARZO 1918

quando mi domando: Che cosa siamo veramente, resto perplesso e non so che cosa rispondere. Quattrocchi: alto, magro, dinamico, I'anima del reparto è il braccio destro del tenente che non fà nulla senza averlo .consultato. Qualche volta nascono dei dissensi e allora Quattrocchi s'irrigidisce e dice Agli ordini signor tenente, eseguisco ma declino ogni responsabilità. Il Caro e impareggiabile compagno; grazie alla sua instancabile attività noi trascorriamo le giornate piu tranquille e sedentarie che ne siano concesse dal 1914 a questa parte, è sempre in moto. Entra di corsa, guarda controlla, stilizza rapporti; e prima di alzarsi rimane pensieroso col mento appoggiato alla mano. Allora un'ombra passa sulla sua fronte. Ma e solo un momento. Subito si riprende, ci guarda, sorride ed esce a grandi passi.Volevano che facesse l'ufficiale, ma lui non ha voluto;non so perchè. Quattrocchi è senza dubbio la piu bella e simpatica figura di soldato che abbia finora incontrato. Io e Brancherella siamo personaggi piu insignificanti: due figure scalcinate di secondo piano, forse anchemeno.Che dire di me che sono il piu infagottato e il più ragazzo? Un giorno che lo avevo fatto arrabbiare Brancherella mi ha detto: A te, invece della baionetta, dovevano infilare nel fodero un tagliacarte. Ammazzo il tempo leggiucchiando tutti i libri che mi capitano per le mani e scarabocchiando certi taccuini. Ogni tanto mi fermo e guardo sottocchi quei due triangoli d'argento che da poco tempo mi porto cuciti sulle maniche. La recente promozione mi ha messo in orgasmo. Non dico, c'entrerà l'ambizione,la quale, ahime, è come la gramigna, mette le barbe in tutte le fessure. Ma ne sono anche molto sorpreso e inquieto. Sarà un premio oppure un castigo? Tre sergenti, tre vecchi compagni di scuola, che un capriccio del destino ha fatto incontrare, vestiti di mezzocappotto, fra, le mura di un convento. qualche volta brontoliamo ancora, ci sfugge qualche gesto impaziente; ma sono spumeggiamenti involontari e passeggeri. Ormai ci siamo arresi. Sappiamo quale è la via e, costi quel che costi, siamo decisi a percorrerla fino in fondo. I soldati" dei reparto ci chiamano ironicamente «Lo Stato Maggiore »... Quello che c'e sotto veramente Dio solo lo sa.

CURIOSITA' CANINA: ZOROASTRO E CAPACITA' ESORCIZZANTI DEL CANE QUATTROCCHI

I cani quattrocchi c'erano già, ed erano chiamati così, al tempo di Zoroastro. Hanno il pelame tutto nero,e una macchia color di fuoco sopra ciascuno dei due occhi. Sta scritto nell'Avesta che quando si è portato un morto lungo una strada, affinché possano poi i vivi tenere senza danno la medesima via, bisogna farci passare per tre volte un cane quattrocchi. In mancanza di un cane ci si può far passare un prete che dica queste vittoriose parole: «gathâ chû aairyô...». In Piemonte si dice dei cani di questa razza che essi hanno quattro occhi, e si chiamano «cani quattrocchi».

MASTINO TIBETANO - MIG BZHI CAN (QUATTROCCHI)

Mastino Tibetano chiamato Mig bZHi Can (Quattrocchi). Il possesso di tali cani è da considerarsi in Tibet uno status symbol, è difficilissimo trovarne uno in vendita, e se ciò accade il prezzo è solitamente quello di un buon cavallo. Hanno il tipico muso pesante, occipite fortemente pronunciato, labbra pendenti, gli occhi che mostrano il rosso (della congiuntiva),e i potenti arti anteriori dei mastini. La coda,piuttosto lunga, ha un pelo piuttosto folto e viene portata in un ampio ricciolo. Il colore è solitamente nero - sempre nero nella razza considerata "pura"- con focature su muso, collo e zampe, solitamente con del bianco sul petto, e focature sopra gli occhi, che gli hanno valso il nome di Mig bZHi Can (Quattrocchi). Riguardo alla taglia, pesa circa 160 libbre (72,6 kg). La caratteristica più tipica è il profondo abbaio, più simile alla tonalità di un corno da nebbia che alla voce di qualsiasi animale. Scopo della loro vita, dicono i Tibetani, è quello di "custodire la proprietà contro i predatori e i ladri", e nel compierlo ci mettono la loro vigilanza e la loro ferocia.Lo sapevate che un esemplare di Mastino Tibetano, e precisamente un Mastino Rosso, si è assicurato il primato di cane più costoso del mondo? Il cane in questione, di nome Big Splash, è stato comprato da un milionario cinese per un totale di quasi 10 milioni di yuan pari a 1.1 milioni di euro. Il suo valore spropositato lo ha fatto entrare nel Guiness dei primati come il Cane più costoso del mondo! Prima di Big Splash i cani più costoso al mondo erano altri due mastini tibetani di nome Red Lion e Yangtze River Number Two. Una vera razza da record ! Il Mastino Tibetano Quattrocchi (Tibetan Mastiff) è l'antenato di numerosi "mastodonti" della specie canina, e a questo proposito, figura in tutte le opere di cinologia. Peraltro, bisogna confessare che, fino a non molto tempo fa, ben pochi cinofili avevano avuto il privilegio di osservarlo realmente. Così possiamo citare il testo del dottor Luquet, autore di "Dogues et Bouledogues", che ammetteva si trattasse di un cane "totalmente sconosciuto nelle nostre contrade" e che egli stesso non ne aveva mai incontrati in 50 anni di frequentazione assidua delle esposizioni canine. I Mastini Tibetani Quattrocchi sono dei cani potenti e ben costruiti, il cui aspetto, che è contemporaneamente maestoso e pieno di bontà, può comunque impressionare. Ma non dobbiamo lasciarci ingannare: il mastino tibetano ha assimilato la saggezza orientale e, pur avendo un carattere forte, il suo umore è molto stabile. Marco Polo lo definì "grande come un asino e feroce come un leone". Nessuna delle due asserzioni, probabilmente, corrispondeva a verità neppure ai tempi dell'esploratore veneziano: sicuramente sono lontanissime dal Tibetan Mastiff di "oggi". Grande, ma non certo gigantesco, imponente e bellissimo, l'odierno Tibetan è un cane che ha nell'equilibrio caratteriale la sua dote maggiore. Questo cane, progenitore di tutti gli attuali molossoidi, guarda tutto e tutti con pacata benevolenza, dall'alto della sua antica maestà.

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MASTINO TIBETANO - QUATTROCCHI

QUATTROCCHI DEGLI ORSI DI BERNA "VIVERE CON IL BERNESE"

In questa sede cercherò brevemente di far capire cosa significhi vivere con un Bovaro del Bernese a coloro che stanno pensando di adottarne uno. I cuccioli di Bovaro del Bernese sembrano veramente degli splendidi peluches, hanno un musetto dolcissimo e un'espressione indifesa che commuoverebbe chiunque. In realtà, questi cagnetti che a 2 mesi pesano già sugli 8 Kg, sono dei veri terremoti. Sono dotati di un carattere forte che permette loro di ambientarsi in men che non si dica alla nuova casa. Sono in grado di capire da subito quale sarà la persona della famiglia che più si fa intenerire, e di sfruttarla da subito per raggiungere i propri scopi (a questo proposito è molto importante tener conto del fatto che i maschi sono più testoni e necessitano di una educazione più ferma di quella che servirebbe per una femmina). I cuccioli sono inoltre estremamente curiosi, è necessario diventare molto ordinati in quanto si mangiano tutto quello che trovano abbandonato in giro (non è infrequente essere contattati dai proprietari disperati perché il cane si è ingoiato calzini o mutande!). Il Bovaro del Bernese cresce molto rapidamente e spesso, se non ben educato, non riesce a controllare la sua forza e la sua irruenza quando tutto agitato vuol fare le feste a chi nonvede da un pò. Inoltre si deve tener conto del fatto che anche il giardino di casa può subire qualche modifica! I cuccioloni sono degli eccellenti scavatori e adorano rosicchiare il legno. Spesso, guardando fuori dalla finestra, vedrete il vostro cane scorrazzare tutto felice con un bel ramo in bocca o, perché no, beatamente sdraiato sui fiori appena piantati. Da grandi ovviamente si calmano, ma il loro fortissimo bisogno di coccole e di contatto li spinge sempre a strusciarsi un pò contro di voi o i vostri ospiti, lasciando sui vestiti qualche strisciata di terra o bava. Mi piace definere il bernese come un cane mediamente intelligente, non ha certo l' astuzia venatoria dei Bassotti Tedeschi o la filosofica saggezza del Collie (razze che ho avuto la fortuna di allevare e di conoscere a fondo); lui rimane per tutta la vita un bambinone grosso ed egocentrico. A questo punto vi chiederete perché ci si dovrebbe innamorare di questa razza! Ebbene, tolti questi piccoli inconvenienti il bernese è un cane che si fa voler davvero bene.Da subito i suoi occhi saranno puntati solo su di voi, sarà sempre la vostra ombra, controllerà tutto quello che fate ed, appena vi fermerete, ne approfitterà per sedersi sui vostri piedi. Se non lo guarderete vi darà insistentemente la zampa per reclamare la vostra attenzione. Dal momento che odia la solitudine sarà sempre pronto a saltare in macchina per una gita; sarà disposto a farsi piccolo e silenzioso in una camera d'albergo, ad aspettarvi pazientemente sotto il tavolo del ristorante. Il Bovaro del Bernese sa essere un ottimo cane da famiglia, un inseparabile compagno per i bambini (si fa fare di tutto ed, all'occorrenza, è in grado di capire situazioni di pericolo). E' un cane che abbaia poco ed è amico di tutti, insomma l'anti-cane da guardia. In sintesi il bernese è un grosso cane da famiglia, affidabile con i bambini e con gli estranei; equilibrato e giocherellone; bisognoso di un padrone il più possibile presente e sempre pronto a "sganciare" qualche coccola .

 

SEGUGIO AUSTRIACO ( QUATTROCCHI ) BASSET BLEU DE GASCOGNE

Grazie alle sue particolari attitudini per il lavoro faticoso in alta montagna, ma anche in pianura, il segugio nero e focato (quattrocchi) è molto apprezzato sia come cane da seguita, sia come cane da sangue per la ricerca di animali feriti. Il Segugio Austriaco Nero e Focato è considerato come l’autentico discendente del segugio celtico. Il basset bleu ha origine in Francia ed è stato ottenuto da programmati incroci di Gran Bleu de Gascogne. Infatti la razza rinasce alla fine del diciannovesimo secolo per merito di alcuni cacciatori dell'ovest e da allora la sua evoluzione è stata costante sia dal punto di vista di miglioramento morfologico che di preservazione della sua qualità di cane chiamato del "sud della Francia".

BRANDLBRACKE VIERAUGL (QUATTROCCHI)

Il Brandlbracke ovvero il Segugio Austriaco, prende il suo nome alle focature presenti sul mantello, in tedesco “Brand“, alle gambe, al petto, alla testa, e alle due macchie grandi e ben delimitate sopra gli occhi, le quali gli hanno valso il nomignolo di “Vieräugl“, ossia “Quattrocchi“. I cani nero focati erano molto ricercati un tempo, ma non è il colore che ha procurato al Brandlbracke la sua popolarità. L’origine del Brandlbracke è da attribuire, con grande probabilità, al cosiddetto “Segugio delle Alpi“ e all’antico “Segugio dei Celti“. L’imperatore austriaco Massimiliano I (1459 – 1519) era già noto per la sua predilezione di portare gli antenati del Brandlbracke a caccia di selvaggina maggiore, ma solo a metà del XIX secolo iniziò la selezione mirata per creare un segugio austriaco puro. Il 1883 è stato l’anno della fissazione dello standard di razza, con la registrazione del primissimo esemplare nel libro genealogico austriaco. Nel suo Paese d’origine solo i rappresentanti di razza,che dimostrano ottime performance alle braccate, vengono ammessi come riproduttori.

 

Quattrocchi Pastore Australiano come i Tabui (Pastore Biellese). "Ereditarietà e Tabui" di G.Strona.

In un recente studio, Megens e Groenen (2012) hanno osservato che migliaia di generazioni di selezione effettuata dall’uomo hanno prodotto una vasta quantita’ di fenotipi distinti, che costiuiscono un tipo di esperimento genetico che i ricercatori possono solo sognare di effettuare. Poche persone sfideranno il potere della selezione artificiale, ma la mia ultima visita al mio veterinario mi ha fatto pensare che forse qualcosa di più complesso sta succedendo. Egli infatti era riuscito di recente a definire lo standard di una nuova razza che riassume le caratteristiche migliori di un cane da pastore locale che noi chiamiamo "Tabui". Dopo aver visitato il mio cane Pastore Australiano "Rocco" (che fra l’altro era sano come un pesce), il veterinario accarezzandogli la testa, mi disse: "ha Quattrocchi come i miei Tabui". Si riferiva a due piccole macchie marroni sulla fronte di Rocco, che imitano la forma e il colore dei suoi occhi. Gli Australian sono di tre distinte varietà di colore, tutti caratterizzati dalla presenza dei falsi occhi. Anche i Tabui hanno diversi colori del mantello, ma hanno quasi sempre i quattr'occhi. Il veterinario mi ha detto che che secondo lui gli occhi "falsi" aiutano i cani guardiani nel mantenere le vacche sotto controllo confondendole. Questo sembra quasi sicuro. L'uso di macchie sopra oculari per imitare e confondere è un adattamento piuttosto comune in molte specie animali (Ruxton 2005;Ohno e Otaki 2012). Forse un cane quattr'occhi potrebbe sembrare sveglio anche mentre dorme, in questo modo, anche mentre dorme risulta un efficiente guardiano. Io non penso che i pastori locali siano stati consapevoli della potenzialità dei falsi occhi nell'allevare generazioni di Tabui,e sono sicuro che l’avere quattr'occhi non fosse una delle principali caratteristiche per una selezione artificiale mirata. Ma l’essere un buon guardiano sì. Molte altre razze di pastori hanno quattr’occhi. E’ difficile credere che questo è il risultato di una vasta selezione consapevole associata alla presenza dei quattr'occhi. Pero’ possiamo fare l'ipotesi che, attraverso le generazioni, i cani con quattro occhi abbiano lavorato meglio dei loro colleghi. Da un lato questo è coerente con il concetto della selezione artificiale: l'allevatore sceglie di accoppiare gli individui più adatti per i particolari scopi a cui serviranno (Driscoll et al, 2009).Dall'altro lato, avendo quattr’occhi non e’ esattamente lo stesso che avere le gambe corte o la coda forte, che ad esempio rende piu’ facile per il cacciatore tirare fuori il suo cane da una tana. Il discorso dei falsi occhi non puo’ essere attribuito al concetto di Darwin della selezione artificiale (Darwin, 1890),o a quello moderno (Driscoll et al,2009), o interpretato come una risposta correlata a una selezione artificiale di caratteristica particolare (Cereau et al, 2012).E una questione fra di loro: cani e vacche. Mi chiedo quanto spesso la strada della selezione artificiale è incisa da caratteri che rendano piu’ porobabile la selezione di un individuo rispetto ad un altro senza essere sotto il controllo diretto delll’allevatore.Forse fra le caratteristiche indotte dall’uomo ,ma non completamente controllate,una quasi selezione artificiale è piuttosto comune.

Quattro Occhi Predatore Yawunik kootenayi 508 milioni anni fa

IL PREDATORI DEI MARI DI 500 MILIONI DI ANNI FA - Aveva due paia di occhi, lunghe antenne e tenaglie 'dentate': è stato uno dei primi predatori del pianeta e popolava gli oceani oltre 500 milioni di anni fa, ben 250 milioni di anni prima dei dinosauri. E' stato chiamato Yawunik kootenayi dai ricercatori dell'Università di Toronto che lo hanno scoperto e descritto sulla rivista Palaeontology. E' stato il 'papà' comune di farfalle, ragni e aragoste. Il fossile di questo bizzarro animale è stato ritrovato nel sito di Burgess Shale, sulle Montagne Rocciose, celebre per aver permesso il rinvenimento della ricche e 'strana' fauna che popolava il pianeta durante il periodo Cambriano. La nuova specie venuta alla luce era una creatura marina dotata di 4 occhi e lunghe appendici poste sulla fronte, che ricordano le antenne di coleotteri o gamberi moderni, ed erano composte da tre lunghi artigli che aiutavano l'animale a catturare le prede. Secondo i ricercatori lo Yawunik kootenayi è stato uno dei primi predatori 'complessi' e progenitore dei moderni artropodi, la famiglia a cui appartengono molti animali, come farfalle, ragni e aragoste. Il nome è ispirato a una divinità della popolazione nativa della regione, i Ktunaxa. Si trattava di una feroce mitologica creatura marina che, a causa della sua cattiveria, fu segregata sottoterra dagli altri animali.

Una Strana Lucertola con "Quattro Occhi" vissuta 49 Milioni di anni fa

Analizzando un fossile recuperato circa 150 anni fa ricercatori tedeschi hanno scoperto una curiosa lucertola con quattro occhi. Due normali, un occhio pineale e un occhio parapineale, le cui funzioni erano forse legate all’orientamento o alla regolazione dell’orologio biologico, come avviene col ‘terzo occhio’ ancora presente in alcune classi di vertebrati inferiori. Gli studiosi, coordinati dal dottor Krister Smith, ricercatore presso il Senckenberg Research Institute in Germania, suggeriscono infatti che questi due occhi dovevano essere in qualche modo diversi dall'organo pineale ancora oggi presente in molti animali, e che si sarebbero evoluti in modo distinto. Le funzioni probabilmente erano legate all'orientamento e/o alla regolazione dei ritmi circadiani e degli ormoni, proprio come avviene con l'attuale organo pineale, ma non vi è certezza. Il terzo e quarto occhio sono stati rilevati anche in un secondo esemplare fossile di Saniwa ensidens, confermando la natura biologica del secondo foro. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cell. La lucertola estinta aveva due di questi occhi ‘speciali' ed è stata scoperta tra i reperti di una collezione museale, raccolti nel lontano 1871 durante la Yale College Expedition al Bridger Basin, nel Wyoming (Stati Uniti). A causa dei quasi 150 anni trascorsi dal recupero e del fatto che si ritenesse poco interessante, il fossile del rettile – il cui nome scientifico è Saniwa ensidens – era in pessime condizioni, ma grazie a scansioni a raggi X all'avanguardia gli scienziati sono riusciti a individuare due fori sulla sommità del suo cranio. I due corrispondevano al terzo e quarto ‘occhio', organi fotosensibili collegati alle ghiandole pineale e parapineale, dei quali tuttavia non sono note le funzioni.

RAZZA QUATTROCCHI Classe: Elasmobranchii Fam. Rajidae

Il disco è romboidale, più largo che lungo, e occupa poco meno della metà della lunghezza totale dell'animale. Il muso è prominente e appuntito, più acuto nei maschi che nelle femmine. Gli occhi sono più grandi degli spiracoli. La pelle del lato dorsale è liscia con alcune spicule apicali del muso estese, nei maschi, in due fasce marginali lungo il lato anteriore del disco. Gli adulti maschi sono dotati di due o tre serie di spine (alari) nella parte esterna delle pinne pettorali e da tre a cinque verso l'orlo dei disco all'altezza degli occhi e degli spiracoli (malari). Nella coda sono presenti 3 serie di spine e due o tre spine inter-dorsali. Il lato ventrale è liscio, tranne dell'estremità apicale del muso che nei maschi è spinulosa. Lungo la coda, fino alla prima pinna dorsale, vi sono 14-18 spine, più altre due situate tra le due dorsali. La coda è lunga meno della metà della lunghezza totale. I denti nei maschi sono appuntiti e acuti (40 - 42 serie verticali con massimo 12) e nelle femmine sono appiattiti e ottusi. I denti delle serie mediane sono robusti e con la punta diretta verticalmente verso l'interno della mascella. I denti esterni sono un poco smussati. Le pinne pettorali sono ampie ed hanno i margini anteriori sinuosi e quelli posteriori convessi; gli angoli sono più o meno arrotondati (più a punta quelli laterali). Le due pinne dorsali sono rugose e poco sviluppate, la caudale è piccola.

Dendrochirus Biocellatus o Nemapterois Biocellata o Ombrellino Cinese Quattrocchi

Splendido pesce appartenente alla famiglia degli Scorpenidi, proveniente dalla Tailandia, dalle isole Maldive, Marshall, e da tutto l'arcipelago delle Filippine. Livrea coloratissima, di color rosso con sfumature gialle, zebrato di nero, bordo delle pinne turchese, sull'ultima pinnula della pinna dorsale una coppia di macchie nere contornate di giallo o di turchese.

IL“PESCE ALIENO”HA QUATTRO OCCHI VIVE A 1000 METRI DI PROFONDITÀ

Il Barreleye glasshead, pesce con quattro occhi
BERLINO - La specie si chiama “Barreleye glasshead” e vive a mille metri di profondità: ha due grandi occhi principali a forma di grandi cilindri, ed altri due di lato che gli permettono una vista davvero eccezionale. L'impatto da vicino è realmente spaventoso anche perché non di piccola razza. La specie di pesce può, infatti, crescere fino a 16 centimetri. Il “pesce alieno”: ha quattro occhi e vive a mille metri di profondità

Le immagini del Rhynchohyalus natalensis, pesce con quattro occhi, che vive tra gli 800 e i 1.000 metri di profondità nel Mar di Tasmania, in Nuova Zelanda. Questa caratteristica gli permette la visione a 360°; la specie può raggiungere i 16 cm di lunghezza.(Olycom)

L’Inquietante Pesce quattr’occhi (Dolichopteryx longipes)

La controilluminazione del Dolichopteryx e’ concettualmente simile: accende due file di lucine (cromatofori) sotto le linee laterali in modo che chi guarda da sotto si confonda tra la luce solare dello sfondo e la luce da bioluminescenza della pancia del pesce, cosi’ che la sagoma scompaia nel chiarore uniforme. Questo trucchetto certamente aiuta, ma non risolve tutti i problemi del nostro pesce dalle lunghe pinne (questo il significato del nome specifico, le pinne anali sono lunghissime). Posto infatti che possa guardare in su, e non essere visto da sotto, ha il problema di dover guardare a sua volta in basso. Ma per vedere cosa? Altri puntini di bioluminescenza, ovviamente! Deve pur mangiare anche lui, in fondo. La conformazione del cristallino e la retina specializzata tuttavia non aiutano: i puntini luminosi verrebbero visti, per fenomeni di rifrazione, sfuocati e confusi anche se l’occhio potesse puntare verso il basso. Infatti la luce, passando attraverso l’unica lente del cristallino, verrebbe piegata e convogliata tutta nello stesso modo (come succede anche nel nostro occhio) e l’immagine di tanti puntini alla fine apparirebbe confusa. Per ovviare a cio’ il Dolichopteryx longipes si e’ inventato, nel corso dell’evoluzione, una caratteristica assolutamente unica -almeno per quanto ne sappiamo- tra i vertebrati: un occhio inferiore con uno specchio parabolico al posto del cristallino. Sebbene esternamente sembra che il pesce abbia quattro occhi, due sopra e due sotto, in realta’ internamente le due strutture sono in comunicazione e condividono lo stesso umor vitreo, pur avendo due retine diverse e due sistemi ottici differenti. La camera inferiore e’ dunque dotata, anziche’ di un cristalino sferico come in tutti i pesci (e non lenticolare come per noi), di una superficie curva riflettente che riceve la luce da una cornea in basso e la invia verso una apposita retina posta ad un angolo di circa 90 gradi. Questa invenzione, rivoluzionaria a prima vista, sembrerebbe pero’ una scoperta dell’acqua calda: molti vertebrati (inclusi i nostri cani e gatti), sono dotati di una superficie riflettente dentro l’occhio, il tapetum lucidum. Si tratta di cellule della coroide, una delle tre membrane che rivestono l’occhio, specializzate nel riflettere la luce ricevuta in modo da amplificare il segnale luminoso. Lo specchio tuttavia sta a valle del segnale luminoso, e riceve fotoni che sono stati gia’ deviati dal cristallino, e non sostituisce il sistema rifrattivo in blocco come nel caso di questo pesce. La scoperta e’ recentissima, risale a dicembre 2008. Il motivo per cui finora non si era capita la particolarita’ di questo pesce, gia’ noto alla scienza da 120 anni, era che non si erano catturati animali vivi. La scoperta e’ stata quindi effettuata per caso da un gruppo di ricercatori della City University London coordinati dal Dr. Hans-Joachim Wagner dell’Universita’ di Tubinga intenti a censire le acque tra Samoa e la Nuova Zelanda con una nuova trappola di profondita’ che -suppongo- consente la compensazione quando gli animali vengono portati in superficie e che evidentemente e’ abbastanza mimetica da non essere sgamata da nessuno dei quattro occhi del pesce-spettro.

NOME ITALIANO: Pesce dai quattro occhi
SPECIE: Anableps anableps
LUNGHEZZA: 20-30 cm
PHYLUM: Cordati
ORDINE: Ciprinodontiformi
CLASSE: Pesci di Superficie - DISTRIBUZIONE: Venezuela, Brasile

RAGNI 4 OCCHI

Nei ragni salticidi il paio centrale degli ocelli è molto acuto; il paio esterno funge da vista secondaria, come pure le restanti due paia di occhi posizionati sui lati e in cima alla testa. La maggior parte dei Ragni ha quattro paia di occhi nella parte frontale del cefalotorace, posizionati in schemi (detti patterns) che variano da una famiglia all'altra. Il paio posizionato sulla fronte è del tipo chiamato ocelli pigment-cup (contenitori del colore), che nella maggior parte degli artropodi servono solo ad individuare la direzione dalla quale arriva la luce, adoperando l'ombra proiettata dalle superfici negli ocelli stessi. In ogni caso gli occhi principali della parte frontale delle teste dei ragni hanno la capacità di formare delle immagini abbastanza nette e distinte.La gru regolabile di seta del ragno saltatore. Senza questa “gru” di seta i ragni potrebbero scivolare o addirittura cadere, Fonte di ispirazione per i robot del futuro.I ragni salticidae sono cacciatori diurni con una vista acutissima e con efficienti strategie predatorie con le quali balzano sulle prede, gli scienziati si chiedevano da tempo come questi predatori riuscissero a dare stabilità ai loro atterraggi rendendoli morbidi, visto che non possono sfruttare l’inerzia di appendici oscillanti o le forze aerodinamiche sbattendo le ali come fanno altri animali. i salticidae utilizzano un meccanismo diverso per darsi stabilità in aria, utilizzando una “dragline” di seta che prima si credeva fosse una specie di “corda si sicurezza”. Maratus Volans o Ragno Pavone - Colorato, bello e amorevole, il Ragno Pavone è una specie di ragno saltatore che vive in Australia. Grande dai 5 ai 7 millimetri, non è pericoloso per l'uomo. Una caratteristica? Durante il corteggiamento il ragno pavone muove, come un ventaglio, la parte pelosa che si trova sugli addominali e la terza serie di zampe. Si genera così una danza che serve per conquistare la femmina ! Ragno Sorridente Quattrocchi o Grallator Theridion Conosciuto come ragno dalla faccia felice, vive alle Hawaii. Totalmente innocuo per l'uomo, questo ragno abbia modificato il proprio corpo per difendersi dai predatori. Animale a rischio d'estinzione, il Ragno Sorridente è l'unico a prendersi cura dei piccoli dopo la nascita.

Quattrocchi [Bucephala clangula]

E’ un Anatide a corologia oloartica. La particolarità del nome è dovuta alla presenza di un caratteristica macchia bianca posta sotto l’occhio, tipica nel maschio. Si tratta di un "anatra tuffatrice" con il caratteristico corpo affusolato, si tuffa nuotando sott’acqua alla ricerca del cibo, involandosi dopo una breve corsa sul pelo dell’acqua. Si nutre principalmente di molluschi e crostacei. E' presente nella nostra regione durante le migrazioni e lo svernamento. Nell’ambiente lagunare di Marano e Grado è descritta come svernante e migratrice regolare. Frequenta il mare, la si rinviene in particolare nel Golfo di Panzano, la foce dell’Isonzo, Primero e nella zona antistante il porto di Grado. Le zone umide costiere della nostra regione rappresentano un sito di importanza internazionale e l’area più importante a livello nazionale per lo svernamento di questa specie. Curiosità: Il nome inglese della specie, Common Goldeneye, deriva dal colore giallo dell’iride di questa anatra dalla struttura ben tornita. Stretta parente del Quattrocchi d’Islanda, ha l’abitudine di “parassitare” le nidiate di altri individui della sua specie e di altre specie di anatre. Le coppie nascondono con cura il nido dentro cavità naturali degli alberi: ecco perché nel loro ambiente di nidificazione non manca la vegetazione arborea

AURELIA AURITA - LA MEDUSA QUATTROCCHI O QUADRIFOGLIO


Aurelia Aurita, la medusa gentile. Lesina e Varano, due laghi vicini, lungo la costa nord del Promontorio del Gargano. Vicini ma diversi. A Varano, da dieci anni, è costantemente presente una densa popolazione di meduse che, a Lesina, non c’è. A seconda delle correnti, le meduse sono portate in varie parti del lago e i pescatori, ormai, sanno come evitarle. Prima ostruivano le loro reti e rendevano la pesca difficile, ora pescatori e meduse convivono in pace. La specie è Aurelia Aurita, la Medusa Quattrocchi, per i quattro cerchi che assomigliano a occhi che decorano il suo ombrello. Aurelia non è una specie urticante, non punge. Si può avvicinare impunemente e si può osservare in tutta la sua bellezza. Le Aurelia hanno un diametro che varia tra 10 e 30, persino 40 cm. Sono quindi animali abbastanza grandi, molto visibili. Nuotano elegantemente, pulsando incuranti della nostra presenza. Si possono toccare, anche se è meglio lasciarle stare, per non disturbarle o danneggiarle. A est delle Filippine, in Oceano Pacifico, c’è un’isola famosa, si chiama Palau, e deve la sua fama al lago delle meduse, il Jellyfish Lake. Anche le meduse di Palau sono innocue, non pungono e si può nuotare impunemente in mezzo a loro. I turisti affrontano viaggi lunghissimi per provare l’emozione di un incontro ravvicinato con questi antichissimi animali. E negli acquari di tutto il mondo la vasca delle meduse è oramai la prima attrattiva. Aurelia aurita è presente anche in un altro lago nell’area adriatica, un lago a Mliet, un’isola della Croazia. Evidentemente questa specie trova condizioni sempre migliori rispetto al passato e si sta affermando in ambienti particolari, come i laghi costieri in comunicazione col mare. Anche da noi, quindi, ci sono i jellyfish lakes, e anche da noi potrebbero diventare un’attrattiva turistica.
Sono andato a Varano (Gargano - Foggia), per vedere le Aurelia. Studio questi animali da una quarantina d’anni, ma quell’esperienza con le Aurelia mi ha impressionato più di ogni altra. L’acqua era calda, non avevo neppure la maschera, le vedevo da sopra e poi scendevo con loro, le accarezzavo e loro restavano lì, a pulsare attorno a me, senza curarsi della mia presenza. Sono pochi gli animali che mostrano tale indifferenza verso di noi, che si lasciano avvicinare senza fuggire e solo alcune meduse si possono toccare senza danno. Ma Aurelia è una medusa gentile e cerca di farci cambiare idea sulle sue cugine, almeno in parte. Assieme a Aurelia. Se vi capita di andare a Varano, cercate le meduse, i pescatori vi diranno dove trovarle, e, se andate in estate, fate il bagno con loro. È un’esperienza che lascia il segno, ma questa volta lo lascia nella memoria, non sulla pelle.


GATTO CON QUATTRO OCCHI


SATELLITE-COSMO-SkyMed detto Quattrocchi

Il mio vero nome è COSMO-SkyMed e sono un sistema OT (Osservazione della Terra); cos'è un OT? Semplice: intanto diciamo che non dovete confondermi con ET, anche se un po' Extra Terrestre lo sono anche io; un OT è un sistema (satellite e base Terra) che serve a guardare il nostro pianeta da lontano, dall'alto, insomma dallo Spazio. Mi hanno spedito a 620 Km dalla Terra, una bella altezza non c'è che dire; qualche volta mi gira un po' la testa! Ho un bellissimo occhio a "raggi X"; ragazzi che sballo, vedo proprio tutto! Riesco a vedere attraverso la nebbia, le nuvole e anche di notte.Allora le donne e gli uomini della Terra mi hanno mandato, uno alla volta altri tre fratelli gemelli, anche loro con un occhio a raggi X e così, volando insieme uno dietro l'altro a distanza fissa, passava pochissimo tempo tra due osservazioni successive della stessa zona della Terra. Gli altri OT allora hanno cominciato a chiamarmi "Quattrocchi".Con le immagini che io spedisco, le donne e gli uomini della Terra sanno fare cose grandiose: studiano i mari, le foreste e le città, prevedono le catastrofi e possono intervenire per salvare la vita sul pianeta. Sono molto compiaciuto di me stesso, anzi quando mi chiamano "Quattrocchi"comincio a ridere d'orgoglio a mettere in mostra tutte la mie capacità.

CROPCIRCLE TRINITA' QUATTROCCHI

CIBI QUATTROCCHI

 

KEIMA KATSURAGI - OTAKU QUATTROCCHI - THE WORLD GOD ONLY KNOWS


Keima Katsuragi, otaku Quattrocchi nella vita reale è un liceale quattrocchi e sfigato, non altri che un "otamegane" (un otaku con gli occhiali), che viene sempre preso in giro e occasionalmente picchiato. Invece, nel mondo virtuale è un asso dei gal games, ed è stato soprannominato “Dio della Conquista”. La sua vita ordinaria viene stravolta quando firma inconsapevolmente un contratto infernale: per aver salva la vita dovrà dare la caccia ai kaketama nascosti nei cuori delle ragazze umane! e infatti non c'è ragazza in 2D in grado di sfuggire alle sue tattiche di seduzione. Un giorno, Keima riceve un'e-mail, dove li viene detto di conquistare delle ragazze praticamente irraggiungibili, e lui, prendendola come una sfida, accetta. Sfortunatamente però, le ragazze da conquistare non sono virtuali, ma reali e lui nella realtà non ci sa proprio fare, anzi, lui odia oltre ogni dire le donne vere. Comunque, quel che fatto è fatto, e una volta firmato il contratto con il diavolo, a sua insaputa, non può più tirarsi indietro. Così, inizia la sfida di Keima in cui dovrà catturare gli spiriti fuggiti che si trovano nel cuore delle fanciulle predestinate, conquistandole. Durante la sua bizzarra avventura, sarà affiancato dalla bellissima demone Elsee.Questa volta il nostro Dio avrà a che fare con un genio degli shogi che non accetta la sconfitta; risolto questo “caso”, si imbatterà in una ragazza beneducata e di nobile famiglia che però prova il nascosto desiderio di… suonare la batteria! ...................... La Serie è ideata da Tamiki Wakaki.

 

Significato di Quattrocchi in Calabria Appartenenti alla famiglia di Giudici e Baroni

VOCABOLARIO DEL DIALETTO SICILIANO ITALIANO

Quattrocchi = persona che non leva mai gli occhiali o persona che porta gli occhiali. 1 Sinonimo di occhialuto 2 Sin. domenicano.

a Quattr'occhi, da solo a solo, senza testimoni per estensione, in confidenza, in segreto: parlare con qualcuno a quattr’occhi; raccontare qualcosa a quattr’occhi.

Traduzione di "Quattrocchi" in inglese: - foureyes - garrot - garrots

Traduzione di "Quattrocchi" in Tedesco: - Bebrillter mensch - Vieräugl

INVENZIONI - COME SONO NATI GLI OCCHIALI DA VISTA (LA STORIA)

L’indebolimento della vista legato all’età o ad altre imperfezioni dell’Occhio non è una novità di noi moderni: già i greci e i romani dovevano fare i conti con le difficoltà a leggere i testi o ad osservare il mondo esterno, ma non possedevano certo le conoscenze e le tecnologie per porvi rimedio. Solo nel 1400 i monaci italiano scoprirono che era possibile ingrandire le lettere usando una tipologia di quarzo, sviluppando una sorta di lente di ingrandimento che tuttavia non era ancora una lente da occhiali. Gli Occhiali veri e propri sono nati a Murano in provincia di Venezia, nel 13° secolo: gli artigiani del luogo erano gli unici in grado di fabbricare il vetro plasmabile creando lenti a base convessa e con il bordo di ferro o legno. Naturalmente era disponibile un’unica tipologia di supporti per la lettura ed era riservata ai presbiti, per permettergli di leggere; la repubblica veneziana tenne segreta questa scoperta e impedì di divulgarne i segreti, pena la condanna a morte (e ai tempi non esisteva l’iniezione letale). I supporti più simili agli Occhiali moderni sono stati creati solo 300 anni fa, nel 1700: al posto di tenere in mano le lenti di vetro, furono creati gli occhiali indossabili con una montatura unica in ferro o bronzo, che potevano permettersi solo i ricchi. Possedere un paio di occhiali era simbolo di nobiltà ed istruzione e quindi presto divenne uno status symbol, specialmente in Spagna; tuttavia non si poteva risolvere il problema della pesante montatura, che tendeva a scivolare sul naso. Intorno alla fine del 1700 divennero popolari i monocoli, cioè gli occhiali con una sola lente, indossati dall’alta società tedesca e inglese: in Francia invece furono inventati gli occhiali pince-nez, cioè pinza-naso, per la presenza di una molletta che li teneva al loro posto. Le stanghette invece comparvero più tardi, nel 1730. In tutto il restante 1700 e agli inizi del 1800 l’arte di costruzione delle lenti migliorò esponenzialmente e negli anni ’20 del 1800 furono create le prime lenti per astigmatici e le lenti trifocali. I primi occhiali in celluloide risalgono al 1873; solo negli anni ’30 del 1900 gli occhiali da sole divennero un accessorio di moda come le scarpe, le borse e i cappelli, diffondendosi nella popolazione con l’aiuto delle celebrità della Hollywood emergente. Al giorno d’oggi, gli occhiali hanno ormai perso la connotazione negativa di metà secolo in cui chi ne aveva bisogno era chiamato quattrocchi: con la maggiore istruzione e diffusione dell’alfabetizzazione, si è scoperto che quasi la metà della popolazione necessita di occhiali da vista, quindi sono diventati un oggetto di moda.


 

 

Indice
America del Nord Quattrocchio e Quattrocchi
America del Sud Quattrocchio e Quattrocchi

Araldica Quattrocchio Quattrocchi
Basilicata Quattrocchio Quattrocchi
Biografia Gilberto Quattrocchio
Calabria Quattrocchio Quattrocchi
Campania Quattrocchio Quattrocchi
Curiosita Quattrocchio Quattrocchi
Emilia Ferrara Quattrocchio Quattrocchi
Esempi di genealogie disinvolte
Francia-Tunisia Quattrocchio Quattrocchi
I miei genitori: Gildo Quattrocchio e Emanuela Cuomo
Liguria Quattrocchio Quattrocchi
Lombardia Quattrocchio Quattrocchi
Marche Quattrocchio Quattrocchi
Piemonte Quattrocchio Quattrocchi
Puglia Quattrocchio Quattrocchi
Lazio Quattrocchio Quattrocchi
Roma Quattrocchio Quattrocchi
Roma Famiglie imparentate con Quattrocchio Quattrocchi
Roma curiosità Quattrocchio Quattrocchi
Sator-Cistercensi-Terdona-storia e mito
Sicilia Quattrocchio Quattrocchi
Simboli Quattrocchio Quattrocchi
Toscana Quattrocchio Quattrocchi
Umbria Quattrocchio Quattrocchi
Veneto Quattrocchio Quattrocchi

Quattrocchio Quattrocchi nel terzo millennio

Spanish and English text Quattrocchio Quattrocchi

 

 

sito a cura di Gilberto Quattrocchio e Patrizia Prodan

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