MARSIGLIA- MARSEILLE

Anno 1225 - Nel medesimo mese la compagnia di Giovanni Pagano, Musso Calderario, Feliciano Feliciani, Guglielmo Quattrocchio e soci, creditrice di somme importanti del Tesoro francese, oltre a compiere varie operazioni di cambio in fiera vende pellicce e panni, dà denaro a mutuo e terreno in affitto, compera case nei sobborghi di Marsiglia. Alla compagnia Piacenza dette pieni poteri per trattare gli affari comuni: Guglielmo Leccacorvo era uno di loro. Finalmente lo stesso comune di Piacenza si acconciò alla situazione tanto da servirsi del banco Leccacorvo per far versare una somma dovuta a Pagano Fieschi conte di Lavagna. In questo caso non è possibile dubitare che il pagamento fu eseguito.

ARTICOLO GIORNALE BANCA FLASH - ANNO II - n. 3 - 1988
notiziario riservato agli azionisti della Banca di Piacenza.
Banche e banchieri nella storia piacentina
LA FORTUNA MEDIOEVALE DEI MERCANTI E DEI CAMBIATORI PIACENTINI

"Pierre Racine, in uno dei suoi pregevoli studi sulla storia di Piacenza, ha dimostrato che le prima pratiche bancarie medioevali nascono e si sviluppano a Genova nella seconda metà del XII secolo. A quell'epoca i piacentini hanno già rapporti economici con la città ligure, ma solo di carattere esclusivamente mercantile, vendono fustagno lavorato e comprano materie prime per il settore del tessile, allora in grande espansione, oltre a cuoio e pelli. Una comunità di mercanti della città padana si stabilisce a Genova per partecipare agli affari del porto e, con il tempo, i singoli mercanti si diffondono anche nei porti mediterranei, specie a Montpellier e a Marsiglia. Nei documenti notarili genovesi cominciano ad apparire i nomi delle nobili casate piacentine: Anguissola e Bracciforti. Con lo sviluppo progressivo del commercio europeo, grazie soprattutto alle fiere di Champagne, nel XII secolo si affinano i metodi di prestito e di cambio: proprio in questo settore a Genova, che all'epoca rappresenta il massimo porto di scambio tra Mediterraneo e continente, i piacentini perfezionano - se non inventano, dice Racine - il contratto di cambio. Raccolgono, cioè, il denaro su una piazza e, tramite un agente, lo cambiano in una valuta differente su un'altra piazza, dove ad esempio, si tiene un mercato, per poter evitare il trasporto del denaro. Il primo banchiere citato nei rogiti notarili nel 1206 proviene da Rivergaro e non ne conosciamo il nome, ma durante il 1200 affiorano i più importanti: Giovanni Ascherio, Gregorio Nigrobono, Simone di Gualtiero, Guglielmo Leccacorvo che, con il socio Leonardo Rozo, è quello più attivo. Sulla piazza di Marsiglia sono invece presenti gli Anguissola, i Bagarotti, gli Speroni, i Villani, i Bracciforti, i Quattrocchi e gli Stravillani. La loro attività non si limita al cambio, ma si estende al deposito, al credito per attività commerciale e al commercio medesimo. Nella seconda metà del 1200 i piacentini cominciano poi a stanziarsi in Oriente per poter commerciare direttamente in prodotti di lusso, spezie e seta. Nel 1268 sono presenti ad Acri i piacentini Oberto Capitale, Lanfranco Brixiense, Giacomo de Torsello, Giacomo de Tado e Fulcone de Rodico."

PARIGI - PARIS

Etudes sur la bourgeoisie parisienne: Gandoufle D'Arcelles et les Compagnies Placentines a Paris (fin du XIII siècle)

Anno 1246 - Guglielmo Quatuoroculi Parigi - Champagne
Ugo Quatuoroculi fa parte dell'Assemblea di Lagny- Parigi
Anno 1253 - Guglielmo Quatuoroculi è l'agente francese di Giovanni Pagano
Josep Quatuoroculi prima a Marsiglia, poi a Parigi, banchiere e negoziante all'ingrosso.

All'inizio del 1200, sotto la spinta espansiva dovuta al notevole incremento demografico dei primi due secoli del nuovo millennio e allo sviluppo delle attività agricole, artigianali e commerciali che sollecitano la rinascita dell'economia monetaria, sono coniate nuove monete d'argento e d'oro a Venezia e a Firenze, e poi a Genova, in Francia, in Inghilterra e in Ungheria, ai cui giacimenti si aggiunge l'afflusso di oro dalle miniere sudanesi per effetto dei commerci con le popolazioni africane. La più sostenuta circolazione monetaria, l'uso di nuovi mezzi di pagamento, la frequenza delle Fiere, il miglioramento delle vie di comunicazione, comportano la formazione di un ricco ceto di banchieri che finanziano commerci, viaggi, spedizioni navali, signorie, regni e guerre.

Avvenimenti Fondanti la Francia. Papa Innocenzo III promuove contro Ottone di Brunswick (nato 1175-76 - morto 1218- Imperatore dal 1209 al 1215), Giovanni Senzaterra (1167-1216) e alcuni grandi feudatari francesi, una coalizione facente capo al re di Francia Filippo Augusto (nato 1165-1223 - re dal 1180), che in Fiandra presso il ponte di Bouvines, il 27 luglio 1214, riporta una vittoria considerata tra gli avvenimenti fondanti della Francia. Da questa vittoria e dall'alleanza con il Papato che la monarchia francese recupera sotto la propria sovranità i territori occupati dagli Inglesi a nord della Loira, la Provenza, il Poitou, il Saintonge e la Linguadoca sotto Luigi VIII (1187-1226), i possedimenti di Raimondo VII di Tolosa sotto Luigi IX (1214-1270) incassa la definitiva rinuncia, con la pace di Parigi del 1259, di Enrico III di Inghilterra (1207-1272) alla Normandia, al Maine, all'Angiò e al Poitou e il suo riconoscimento dello stato di vassallo per il ducato di Guienna (Aquitania), estende il regno alle Contee di Tolosa e di Champagne al tempo di Filippo l'Ardito (1245-1285) figlio di Luigi IX. Il consolidamento della corona francese trova una conferma nel consenso di Papa Urbano IV (1200 circa, morto nel 1264, Papa dal 1261) alla conquista del Regno di Sicilia da parte del fratello di Luigi IX, Carlo d'Angiò (1226-1285, re di Sicilia dal 1266 al 1282).

Per esempio la grande società di Giovanni Pagano, Musso Calderario, Feliciano Feliciani, Guglielmo Quattrocchio etc., creditrice di somme importanti dal Tesoro di Francia per la settima Crociata (Belgrano, Documenti inediti riguardanti le due Crociate di S. Ludovico IX re di Francia, Genova 1859, passim), oltre a ricevere e a dare denari a cambio (F 30, 57, 116; P 20) vende vai (F 60) e panni (F 211), dà denaro a mutuo (F 123); uno di loro dà in affitto terreni (P 113) e compra parecchie case nei sobborghi di Piacenza (P 117); altri due partendo per le fiere di Champagne vengono incaricati, da persone estranee alla società, di varie commissioni certo non gratuite, tra le quali parecchie riscossioni e il ritiro di mercanzie depositate laggiù (F 42, 81, 196). Similmente Ugo Burrino e soci oltre a qualche cambio effettuano vendite di panni (F 24, 28, 45, 203, 210) e di pelli (F 59); Antonio Bicuollo e Guglielmo Rato oltre al cambio vendono feltri (P 72) e panni (F 143); Oberto de Cariis e soci oltre al cambio vendono panni (F 64, 167) etc. Genovesi (82). Ma il più delle volte questi ultimi sono mercanti non specializzati nel cambio, e le altre loro attività sono piuttosto coordinate che non subordinate ad esso. In loro è rimasto qualche cosa del mercante - marinaio dei primi tempi, che nel viaggio d’andata non sa con certezza dove approderà (dopo il luogo di destinazione, tutte le commende aggiungono ancora « exinde quo Deus mihi melius administraverit »; e dopo il porto designato per effettuare il pagamento, tutti i cambi marittimi avvertono: « vel ubicumque portum fecerit ») nè con quale carico tornerà indietro (sono ben rari nella nostra serie i contratti dove sia prestabilita la merce da portare al ritorno). Ormai, però, s’è sviluppata a Genova come altrove la figura del capitalista che non si muove di persona ma finanzia altri che si muovano per lui, e a sua volta accetta finanziamenti da altri (83); sono rimasti l’individualismo, l’elasticità, la varietà degli affari propria del grande traffico marittimo, ma ognuno tende a raggruppare le fila del proprio commercio in modo che si completino tra loro, che in ogni luogo le merci da vendere pareggino per valore quelle da comprare, e che i mezzi di trasporto siano gestiti in proprio; in breve, ci troviamo spesso di fronte a una integrazione del commercio — commercio a catena — che precede di poco l’integrazione dell'industria.

11 marzo 1252 — (Simone) fu Martino D’Oria fa procura a Musso Calderario, Guglielmo Quattrocchio e Silvestro P . . . . lamberto per esigere da frate Guy de Basenville precettore del Tempio L. 125 torn. mandate da fra Raynault de Viquier (Raynaldus de vicherio) Maestro del Tempio (per lettere sigillate del 1° maggio 1252).

17 marzo. Simone Gualterio fa procura a Musso Calderaro e a Guglielmo Quattrocchio di Piacenza per ricevere da Pierre Blondel(Petro Brondello) di Lagny 12 balle di zenzero depositato presso di lui da Lanfranco Gualterio suo parente

LA BOURGEOISIE PARISIENNE I Piacentini a Parigi Persée 2005-2014 - Ministère de l'Enseignement supérieur et de la Recherche

 

Natura-Cultura: l'interpretazione del mondo fisico nei testi e nelle immagini : atti del convegno internazionale di studi, Mantova, 5-8 ottobre 1996.Giuseppe Olmi, Lucia Tongiorgi Tomasi, Attilio Zanca - 2000

... Audubon, Bonaparte coinvolgeva artisti comunque allenati nella riproduzione di antichità, come il romano Carlo Ruspi che aveva disegnato urne cinerarie e pitture tombali etrusche per Eduard Gehrard, o di dipinti, come il giovane e dotato Alessandro Capalti, pittore di grido, allievo di Tommaso Minardi, formatosi sulle copie e le riproduzioni dai maestri antichi. Le tavole, eseguite tra il 1832 e il 1839 anche dai valenti e ingiustamente dimenticati Pietro Quattrocchi e Costantino Squanquerillo.

Bird Books and Bird Art: An Outline of the Literary History and ... J. Anker - 2014 -

The year of publication for Fasc. I—XXX may also be found in a paper by Tom. Salvadori . The plates (lithographs coloured by hand) have been lithographed by Battistelli, most of them from drawings by Carolus Ruspi and Petrus Quattrocchi. 1850. Monographie des Loxiens. Par Ch. L. Bonaparte et H. Schlegel. Ouvrage accompagné de ... planches coloriées, lithographiées d'après les dessins de M. Badeker et autres naruralistes . Arnz & Comp. Leiden. pp. [V] + XVII + 55.

PRIMI FARMACISTI IN FRANCIA - GIURAMENTO DE’ FARMACISTI - ORDINANZE REGALI

Dopo aver dato un rapido cenno sui farmacisti dei più celebrati tra gli antichi popoli, noi vogliamo di presente occuparci di tempi non guari così remoti, e verremo esponendo la storia di questa così importante branca della medicina appo le più civili nazioni del mondo. La divisione della medicina e della chirurgia era cominciata nel corso del primo secolo dell’ Era cristiana sotto il regno dell’ imperatore Calìgola e nel tempo in cui fioriva il gran Celso. Ma questa divisione non fu consacrata che oltre mille anni dopo, sotto i regni dei re di Francia Luigi VII e Filippo Augusto. In quanto alla farmacia, non si potrebbe con aggiustatezza assegnare il tempo preciso in cui essa fu disgiunta dalla medicina e dalla chirurgia. Faremo di ricercare un po’ di luce in queste tenebre. Vedemmo che fin dalla più lontana antichità la medicina, la chirurgia e la farmacia non formavano che un’arte sola; che, in appresso, il numero delle sostanze medicamentose si accrebbe con le cognizioni mediche. La farmacia fu disgiunta dalla medicina e dalla chirurgia per formare una branca distinta dell’arte salutare. Questa separazione, effettuata secondo Celso circa 330 anni prima dell’ Era volgare, nel tempo di Erofilo e di Erasistrato, vale a dire nel tempo in cui fioriva la Scuola di Alessandria siccome vedemmo nel II Capo di questa opera, si mantenne per alquanti secoli, in sin tanto che le scienze si perdettero nello stato di barbarie che caratterizza l’ultimo periodo dell’ impero romano e il medio evo. Questa si fu la prima separazione della farmacia. La seconda ebbe luogo nel tempo in cui gli studi medici rifiorirono per effetto dello impulso che l’araba civiltà dette alle scienze in Europa. Ma con maggiori elementi di sicurezza si può asseverare che il tempo in cui la farmacia cominciò a diventare una scienza tutta propria e disgiunta dalle altre affini è l’epoca della istituzione delle Università in Europa, vale a dire che dobbiamo riconoscere nella infanzia del XIII secolo il tempo in cui i farmacisti formarono un ceto distinto e civile. Già da lungo tempo i medici avevano rinunziato alle preparazioni de’ medicamenti, e ne avevano affidato la cura agli allievi che studiavano sotto la loro direzione. Un tal motivo spiega quella specie di patronato che essi esercitarono su i farmacisti, i quali dovevano prestare un curioso giuramento, che ci piace di qui riportare: “Io giuro e prometto innanzi a Dio, autore e creatore di tutte le cose, unico in essenza e distinto in tre persone eternamente beate, che manterrò punto per punto tutti gli articoli seguenti: E primamente giuro e prometto di vivere e morire nella fede cristiana.
Item. D’amare ed onorare i miei genitori il più che mi sarà possibile.
Item. D’onorare, rispettare e far servire, per quanto le mie facoltà consentiranno, non solamente i dottori medici che m’avranno istruito nella conoscenza dei precetti della farmacia, ma anche i miei precettori e maestri sotto i quali avrò imparato il mestiere.
Item. Di non isparlare di nessuno de’ miei antichi maestri, dottori farmacisti od altro o di chicchessia.
Item. Di riferire tutto ciò che mi sarà possibile per l’onore, per la gloria, per l’ornamento e per la maestà della medicina.
Item. Di non insegnare agl’idioti ed agl’ingrati i segreti e le rarità della detta scienza.
Item. Di non fare niente temerariamente senza l’avviso dei medici e con la speranza del lucro.
Item. Di non dare alcun medicamento o purgante agli ammalati affetti da qualche malattia senza prima chiederne consiglio a qualche dotto medico.
Item. Di non toccare in verun modo le parti vergognose ed occulte delle donne, tranne che non sia per grande necessità, cioè a dire allorché sarà necessario di applicarvi qualche rimedio.
Item. Di non isvelare a nessuno il segreto che mi sarà stato affidato.
Item. Di non dare giammai a bere alcuna qualità di veleno, né consigliare ad alcuno di darne nemmeno ai più grandi nemici.
Item. Di non dar giammai a bere pozioni abortive.
Item. Di non tentare giammai di fare uscire dal ventre della madre il frutto, in qualunque siasi il modo, senza prima chiederne consiglio a qualche medico.
Item. D’eseguire punto per punto le prescrizioni dei medici senza aggiungere o togliere niente in quanto che saran fatte secondo l’arte.
Item. Di non servirmi mai di qualche succedaneo sostituto senza il consiglio di qualcuno di me più saggio.
Item. Di disapprovare e fuggire come la peste le pratiche scandalose e perniciose di cui si servono oggi i ciarlatani empirici suggeritori di alchimia, a grande vergogna dei magistrati che li tollerano.
Item. Di prestare aiuto e soccorso indifferente mente a tutti quelli che chiedono l’opera mia, e finalmente di non tenere alcuna cattiva o vecchia droga nella mia bottega. Il Signore mi benedica sempre fintantoché adempirò a tutte queste cose.

I farmacisti di quel tempo erano annoverati nella classe degli speziali, de’ droghieri e degli erbolai.
È noto che la parola speziale derivò da species ovvero aromi ed altre cose forti. Prima della scoverta delle Indie occidentali ed orientali, perciocché lo zucchero era caro e rarissimo, si faceva uso semplicemente di spezie od aromi; il che diede agli speziali una certa importanza; ed a Londra questo uso era tenuto in tanta considerazione che Guglielmo III volle formar parte del ceto degli speziali. Qualche tempo di poi, la corporazione degli speziali-farmacisti pervenne ad occupare un posto secondario tra le classi sociali; vivea sotto la disciplina di sei maestri o custodi, i quali, al pari de’ giudici e de’ consoli delle città, municipali, portavano la veste di panno nero orlata di velluto dello stesso colore, col collare e le maniche, pendenti. In virtù di un titolo accordato nel 1312 da Filippo il Bello e confermato nel 1321 da Carlo IV, furono chiamati il comune degli uffiziali mercanti incaricati dei pesi dacché avevano in deposito il campione de’ pesi e delle misure di Parigi. Avevano il diritto di visitare i pesi di tutti gli altri mercadanti, ma eglino stessi erano tenuti di far verificare i loro in ogni sessennio sulle matrici originali. Perlocché, la prima ordinanza emanata per la corporazione degli speziali e de’farmacisti riguarda precipuamente i pesi e le stadere. Questi primi regolamenti non si applicano che alla parte esterna del mestiere, cioè i pesi , il modo di comprare , di vendere e di stabilire la senseria; bensì non parlano di repressione che pel solo furto delle merci. Ma ben presto si sentì il bisogno di esercitare su i farmacisti una sorveglianza più attiva di quella che non si applicava che ai pesi. Non solamente i custodi della corporazione, ma eziandio i medici furono incaricati di vegliare sulla vendita delle droghe. Questi furono i princìpii della legislazione farmaceutica. Questa corporazione mista portava ancora il nome di corpo di mercanti in grosso, speziali e farmacisti; e a somiglianza de’ pannaiuoli, avea per protettore S. Nicola.
Le riunioni di questa strana confraternita si tennero primamente nella chiesa dell’ospedale di S. Caterina; poscia, nel 1546, nella cappella di Nostra Donna (Nôtre-Dame), di poi a Sainte-Magloire: nel 1572, nel coro della chiesa di Santa Opportuna, e finalmente, nel 1589, appo l’altare maggiore de’ Grandi Agostiniani. Bisognava fare un capolavoro prima di entrare in questo collegio; e i farmacisti erano più che altri rigorosamente astretti a questa formola. Siffatte ordinanze e regolamenti non ebbero dapprima applicazione che nella sola città di Parigi, e non si estesero in tutta la Francia che poco appresso. Esse abbracciano complessivamente le due classi di speziali e di farmacisti. Ma una certa rivalità non tardò a manifestarsi tra questi due ceti, rivalità che nacque in sulle prime per pretensioni di priorità, e si accrebbe in seguito fino a durare per secoli; ed oggi non è cessata del tutto.
Dodici anni prima della memorabile battaglia dei Greci, vale a dire nel 1336, Filippo di Valois stabilì la superiorità de’ medici su i farmacisti, per mezzo di un mandamento al prevosto di Parigi per costringere i farmacisti, i loro commessi e gli erbolai a custodire le ordinanze riguardanti l’esercizio dell’arte farmaceutica e le spezierie. A seconda che si moltiplicavano i regolamenti, i farmacisti cercavano di concentrare nelle oro mani il monopolio della composizione e della vendita di rimedii: ottennero che fosse espressamente vietato a quelli che non erano della loro corporazione lo spacciare alcuna droga. Era questo un savio provvedimento di legittima precauzione, il quale non si potrebbe abbastanza raccomandare anche ai dì nostri, sendo di somma importanza che uomini non competenti e non facoltati non pongano a gravi pericoli la pubblica salute. A tal uopo, venne emanata da Giovanni il buono una ordinanza nel 1352 secondo la quale, il capo della corporazione de’ farmacisti, assistito da due maestri in medicina nominati dal decano della Facoltà di medicina, e da due farmacisti eletti dal prevosto di Parigi o dal suo luogotenente, dovea fare due visite all’anno, circa la festa di Pasqua e quella di Ognissanti, a tutti i farmacisti di Parigi e sobborghi. E questa visita era di tale importanza che i visitatori doveano giurare, alla presenza del prevosto o del suo luogotenente, che secondo la loro scienza e coscienza, senza odio né favore per nessuno, si confermerebbero allo spirito della ordinanza, e che la loro visita non avrebbe altro scopo che quello della pubblica utilità e del bene de’ corpi umani; giuramento che precedentemente dovea esser fatto eziandio dal capo della corporazione. I farmacisti della città e dei sobborghi giuravano dal canto loro, al cospetto del capo della corporazione e di quattro assistenti, che essi direbbero la verità tanto sulle medicine quanto su ogni altra cosa pertinente al loro mestiere; che dichiarerebbero pure quali fossero le loro medicine antiche e quali le novelle; che terrebbero il loro libro, cioè l’Antidotario Nicola corretto da’ maestri del mestiere ; che non porrebbero in vendita nessuna medicina corrotta e non sostituirebbero alle fresche le antiche; che non farebbero uso che di pesi riconosciuti buoni da’ visitatori; che quando volessero preparare una medicina lassativa ovvero un oppiato, ciò non farebbero senza il consiglio di un maestro del mestiere, e che, dopo aver composto una medicina, scriverebbero sul vaso da contenerla il mese in cui fu fatta, e che la gitterebbero via se cominciasse a corrompersi; che non venderebbero né darebbero alcuna medicina che potesse cagionare danni o aborti, tranne che non avessero la certezza che la dimanda fosse fatta per espressa ordinanza del medico; che non tollererebbero la frode, se qualche medico volesse far loro vendere le medicine ad un prezzo più alto del giusto ad oggetto di partecipare al lucro; insomma che nulla farebbero di contrario alla equità, alla moralità, del mestiere, per cupidigia di lucro, per particolari rancori o per altra causa qualsivoglia. La stessa ordinanza disponeva che nessuno poteva far parte della corporazione se non sapesse leggere le ricette, preparare e comporre le medicine; e che, attesoché i garzoni de’ farmacisti facevano spesso delle medicine di nascosto, dovessero prestare lo stesso giuramento de’ loro padroni; che, se i maestri trovassero cattive composizioni, dovessero torle vie.
Presso a poco lo stesso giuramento era prestato dagli erbolai. Se queste ordinanze riguardavano il leale e legittimo esercizio dell’ arte farmaceutica, questa pertanto non era ancora uscita dalla infanzia. Più di un secolo scorse senza notabili mutamenti nella legislazione farmaceutica. Certo è pertanto che la professione di farmacista era già sottoposta, fin dal secolo decimo quarto, ad una severa disciplina. Fino al termine del secolo appresso, le ordinanze disciplinari non mutarono gran fatto. Intese primamente a tutelare gl’interessi del pubblico in quanto alla giustezza de’ pesi, affinché il compratore non venisse frodato sulla quantità, ebbero poscia in mira di accertare la buona qualità, delle droghe. Prima di chiudere questo capitolo, per tener dietro ad in certo ordine cronologico, diremo che le prime tracce di una corporazione farmaceutica in Bruges si ritrovano nell’anno 1297. Questa corporazione possedeva, al cominciar del IV secolo, una spaziosa sala per trattarvi i suoi affari, un suggello, statuti ed una cappella. Essa aveva il privilegio esclusivo della vendita delle medicine. Membri di distinte famiglie appartenevano a questa corporazione e vi tenevano uffizi di magistratura. Essendo provvista di ricchezze e di privilegi , essa offerì alla città, in tempi diversi, grosse somme per patriotiche cause. La prima bottega conosciuta di farmacia in Londra fu nel 1345, la prima in Norimberga nel 1404, e la prima in Francia nel 1336. Bruges aveva invece le sue farmacie fin dal principio del secolo decimo quarto. La prima legge che riguarda la loro ispezione porta la data del 1497. Nello intento di limitare il numero delle farmacie, un’ordinanza fu emanata nel 1582, la quale prescriveva che nessuno potesse aprir farmacia, se pria non avesse studiato le scienze relative pel corso di tre anni e dato saggio delle sue cognizioni e della sua capacità; dovesse in pari tempo prestare il giuramento della corporazione. Nel 1585, un’altra ordinanza ebbe per oggetto la vendita dell’ arsenico. Nel 1683, dietro reclami dei farmacisti, fu proibito ai medici, sotto gravi multe, il dispensare da sé stessi i medicamenti. Soltanto nei primi tre giorni della fiera annuale erano tollerati nella città i cerretani e i cavadenti. Nel 1697, per porre un freno ai prezzi arbitrarii delle medicine, fu ordinata una tariffa. Nel 1760, Maria Teresa decretò la nomina di una Commissione medica, composta di due medici, di due chirurgi e di due farmacisti , la quale dovea sindacare le operazioni de’ medici. Questa Commissione fu annullata in sullo scorcio del secolo decimo ottavo , e fu surrogata da un giurì medico.

I Catari, gli Uomini Buoni Uccideteli tutti ! Dio riconoscerà i Suoi !!!

La storia dell’Europa è disseminata di massacri, persecuzioni, repressioni politiche e religiose. Le vicende storiche che impariamo a scuola sono state scritte dai popoli vincitori, e pertanto non possiamo aspettarci che siano racconti attendibili. I Celti, sui libri di scuola, vengono liquidati in poche righe, definiti come popoli barbari. Eppure la loro storia millenaria e la loro cultura raffinata traspaiono continuamente sotto forma di miti e leggende, di preziosi reperti e ritrovamenti archeologici. Questa cultura, presente per millenni in tutta Europa, era rappresentata da una variegata moltitudine di etnie tenute unite dal druidismo, il quale, più che un movimento, era un’idea. I principi tolleranti e libertari del druidismo, fondati essenzialmente sul rapporto mistico con la Natura, sono stati il collante della cultura celtica, ma paradossalmente ne hanno decretato anche la fine. I movimenti massificati, basati sulla sopraffazione e la schiavitù, non possono tollerare il confronto con culture basate sulla libertà. Per questo devono eliminarle. Ne abbiamo esempi in tutti i continenti. Intorno all’anno Mille, gli eredi della cultura celtica sopravvissuti agli stermini dei romani mandavano avanti le loro tradizioni in maniera discreta, cercando di mimetizzarsi tra l’ortodossia di una Chiesa sempre più invadente e intollerante. La filosofia druidica veniva trasmessa in segreto all’interno di movimenti come i Templari e i Càtari, i quali si dimostravano alleati della Chiesa per la sopravvivenza della loro tradizione. La croce càtara, adottata da tutte le comunità occitane Il movimento càtaro era una grande minaccia per l’ortodossia cattolica. Nacque in un momento molto delicato, quando la Chiesa era all’apice della sua grandezza e il potere temporale aveva ormai assunto una dimensione spropositata mentre, dall’altro canto, il popolo soffriva fra la miseria, la fame, la malattia. I Càtari, definiti Bon Hommes (uomini buoni) per la loro filosofia di vita basata sull’umiltà, sulla tolleranza e la fratellanza, con il loro modo di vivere fondato sull’esercizio di povertà, umiltà e carità, avevano una tale presa sulle popolazioni che presto si diffusero in gran parte dell’Europa. Si dimostrarono una concorrenza troppo temibile per la Chiesa, poiché erano più vicini alla povera gente di quanto non lo fossero gli alti prelati con i loro sfarzi e le loro sottili discussioni teologiche. Papa Innocenzo III fu uno strenuo avversario delle idee ritenute eretiche che si stavano diffondendo in Europa. La filosofia dei Càtari, nel sud della Francia, aveva affascinato tutte le categorie sociali, dagli aristocratici ai ceti più umili. Questo spinse Innocenzo III a proclamare la ben nota crociata capeggiata dall’abate di Citeaux contro gli Albigesi, nome che deriva dal fatto che i primi fondatori del catarismo provenienti dai Balcani si stanziarono nella regione di Albi nel sud della Francia.
La crociata durò più a lungo del previsto, dal 1209 al 1244, ma ebbe come risultato l’annientamento quasi totale dei Càtari. La Chiesa si assunse così la responsabilità di massacri di ferocia inaudita, fra cui spicca il massacro di Béziers del 22 luglio 1209, quando i crociati massacrarono non meno di 20.000 abitanti fra uomini, donne e bambini. Questo diede il via alla legittimazione dell'Inquisizione nel 1233: l'eresia doveva essere punita per il bene spirituale dell'individuo e per la conservazione della Chiesa. Per risolvere il problema spinoso del catarismo, fu appositamente creato da papa Gregorio IX il Tribunale dell'Inquisizione, con le conseguenze storiche che tutti conosciamo. I ruderi della fortezza di Montségur Il cronista cistercense Cesario di Heisterbach riporta: Corsero nella città (le armate dei Cattolici), agitando spade affilate, e fu allora che cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume. Durante il massacro di Béziers, un gruppo di Càtari cercò rifugio in una chiesa, accolti da cattolici che fino al giorno prima erano legati a loro da amicizia e parentele. Il legato pontificio Arnaud Amaury, non potendo distinguere gli eretici ma risoluto a non porre fine al massacro, pronunciò la famosa frase che passerà alla storia: Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi. Gli stessi crociati, al loro rientro dal massacro, stimarono di aver sterminato almeno un milione di persone, sia cattolici che Càtari, uomini, donne, bambini, anziani. Lo sterminio iniziò all’improvviso. I Càtari, che fino quel momento avevano convissuto pacificamente con i cristiani, e che venivano considerati da questi ultimi uomini buoni per via del loro stile di vita armonico e tollerante, improvvisamente si trovarono accanto quelli che erano da sempre i loro amici, fratelli, parenti stretti, trasformati nei loro peggiori nemici, decisi a trucidarli nella maniera peggiore per una legge divina. Interi villaggi furono rasi al suolo, veniva lasciata in vita solo una minima parte della popolazione, composta da bambini e vecchi, ai quali con metodo scientifico venivano cavati gli occhi e tranciati gli arti, in modo che potessero testimoniare ai villaggi vicini quanto fosse pericoloso continuare nell’eresia. La croce càtara antica, lo stesso simbolo usato anche dai Templari La crociata assunse la forma di un vero e proprio genocidio che si estese ai territori della Linguadoca e della Provenza, e arrivò al culmine nel 1244 con la caduta della roccaforte càtara di Montségur. Dopo questi fatti il catarismo non scomparve del tutto. In parte si salvò dandosi alla clandestinità, in parte emigrò nell'Italia centro-settentrionale, dove il catarismo era presente da tempo. Già nel 1028, il vescovo di Milano catturò un’intera comunità càtara arroccatasi nelle Langhe, a Monforte d’Alba. Il Castello, i cui feudatari, come la popolazione, si erano indirizzati verso le ideologie catare, venne assediato ed espugnato dalle forze dell'arcivescovo di Milano, Ariberto da Intimiano unite a quelle del vescovo di Asti, Alrico. La popolazione, deportata a Milano, venne condotta al rogo, anticipando di circa 200 anni la pratica dell’Inquisizione. Il Corso Monforte a Milano è stato così chiamato in ricordo di questi avvenimenti. La fortezza di Montségur, in Linguadoca, è stato l’ultimo estremo rifugio dei Càtari ed è diventato il simbolo storico della loro persecuzione. Dopo la crociata indetta da Innocenzo III, alcune centinaia di Càtari si erano rifugiati in questo castello-fortezza, in cima ad una collina rocciosa. La fortezza venne espugnata nel marzo del 1244 e duecento Càtari, tra uomini, donne, vecchi e bambini, vennero bruciati sul rogo. Montségur, Champ des Brulés. L’antica stele a memoria del martirio degli ultimi Càtari E’ rimasto leggendario il fatto che i Càtari, mentre venivano condotti in catene verso il rogo, intonarono un canto. Un canto lento e solenne come una evocazione magica, che diventò sempre più potente man mano che si avvicinavano al luogo del martirio, inquietando profondamente i loro nemici. Chi erano i Càtari? Il termine deriva dal greco katharos (puro). Benvoluti e considerati santi dal popolo occitano, i Càtari erano divisi in credenti, ovvero i simpatizzanti, non tenuti ad applicare tutte le norme della disciplina càtara, che venivano chiamati Buoni Uomini e Buone Donne, e i perfetti, coloro cioè che praticavano la rinuncia ad ogni proprietà e vivevano unicamente di elemosina. I semplici credenti potevano divenire Perfetti attraverso un cammino iniziatico che era sancito dalla cerimonia del consolamentum, una iniziazione mediante l’imposizione delle mani, rito che avveniva in luogo segreto poiché considerato come stregoneria dalla Chiesa e, se scoperto, punito con la pena di morte. Il Consolamentum era uno dei pochi riti càtari, insieme ad una sorta di confessione collettiva periodica. Al Consolamentum potevano accedere adulti di entrambi i sessi i quali, dopo il rito, diventavano i Perfetti. Questi dovevano essere vegetariani poiché i Càtari rispettavano ogni forma di vita, e dovevano dedicare la loro vita a viaggiare ed insegnare le dottrine catare. I Perfetti erano le guide delle comunità dei Càtari. Vivevano nella povertà ed erano soliti predicare non in luoghi di culto ma in mezzo al popolo. Il catarismo non era una cultura patriarcale: le donne officiavano i riti come gli uomini. Il termine "Càtaro", che significa "puro", è stato equivocato con "casto", ma è da intendersi invece come una qualità interiore. Il loro dio non aveva un significato antropomorfo: lo intendevano come una fonte luminosa. La loro filosofia, così come quella del druidismo, si basava su tre principi: da un principio assoluto erano nate due polarità opposte facenti parte della stessa natura. Da questo concetto emerge chiaramente il principio druidico del ternario. I Càtari credevano nel principio assoluto della conoscenza intesa come crescita interiore. La pratica della conoscenza era intesa nel riferimento alla Natura nella sua accezione immateriale. In definitiva, un movimento pacifico, tollerante, profondamente mistico, che rispettava ogni forma di vita. Càtari e Occitani, stesse radici L'Occitania, chiamata anche Pays d'Oc, è l'area geografica dell'Europa che comprende larga parte della Francia meridionale, in cui, accanto alle lingue ufficiali, è parlata fin da epoca storica la lingua occitana. L’Occitania è stata definita anche come una nazione-non nazione, o nazione proibita, in quanto è difficile definire quale sia il reale collante di questa cultura che si estende a macchia di leopardo su un territorio tanto vasto. La definizione è comunque legata alla lingua occitana. Una manifestazione occitana odierna Così come per la Bretagna, l’Occitania non è una entità giuridica, ma una cultura, un’idea, esistente come realtà che va al di là degli stati legalmente costituiti che il suo territorio attraversa. Questa cultura comprende il sud della Francia (fino al confine del Massiccio Centrale), parte della Spagna (Val d'Aran e zone circoscritte della Catalogna) e, in Italia, parte delle valli occitane del Piemonte a ridosso delle Alpi Cozie e delle Alpi Marittime e il comune di Guardia Piemontese in Calabria, fondato intorno al XIII secolo da profughi valdesi, anch’essi una derivazione di questa cultura. Il termine "Occitano" risalente al medioevo, si ritiene un risultato della combinazione di oc, "sì", e "Aquitania", termine che nel medioevo indicava un territorio che comprendeva la Provenza, la Linguadoca, la Guascogna e il Delfinato. Esiste una numerosissima serie di varianti di questa lingua, a seconda dei territori, conosciuta anche come franco-provenzale o patois. Le origini di questa cultura sono misteriose e i libri di storia non fanno certo chiarezza. Si legge che nel XII secolo le regioni di lingua occitana costituivano un insieme di feudi autonomi, ma non si spiega da quale cultura o popolazione derivasse questa lingua che copriva trasversalmente paesi tanto diversi. Sembra chiaro che la cultura occitana tragga le sue radici dalla cultura celtica. Le tracce archeologiche sono purtroppo esigue ma nella tradizione, nella lingua, nei toponimi permangono forti connotazioni celtiche. L’Occitania per molti studiosi sembra essere l’erede quasi naturale delle usanze e delle tradizioni celtiche ma, proprio per la mancanza di una sistematica ricerca archeologica tutti i legami con la cultura celtica rischiano di rimanere ignorati. È un dato di fatto che in queste regioni era diffuso il catarismo, con una propria organizzazione istituzionale, parallela a quella ufficiale della chiesa romana presente sul territorio. Si potrebbe pensare che gli occitani fossero il popolo, e i Càtari l’organizzazione spirituale di questo stesso popolo. I druidi avevano il motto: un dio, una idea, un popolo. Questo motto corrisponde a ciò che si può arguire dal legame tra occitani e Càtari: i primi, il popolo; i secondi, i detentori di un’idea; al di sopra di tutto, la Natura, unico elemento di riferimento delle culture pre-cristiane. Càtari e Templari Tra i Càtari e i Templari c’è una relazione molto stretta, anche se apparentemente si manifestano come due istituzioni separate. A cominciare dai simboli: la croce càtara è molto simile a quella templare; il Graal, simbolo per eccellenza attorno cui ruota tutta la cultura celtica, era il segreto custodito sia dai Templari che dai Càtari. Entrambi i movimenti si sono manifestati in uno stesso periodo storico ed hanno convissuto in territori comuni, dividendo molte volte anche castelli, roccaforti e fortezze. Entrambi professavano la parità assoluta tra i sessi e non prevedevano distinzioni di caste sociali. I Bounòm, antichi monumenti votivi composti da pietre ammassate, che i ricercatori fanno risalire alla cultura càtara Anche i Templari, così come i Càtari, sono stati sottoposti a feroci persecuzioni, che ebbero come epilogo il rogo del 1314 in cui l’ultimo gran maestro dell’Ordine, Jacques de Molay, venne arso vivo insieme ai suoi dignitari. Famosa è rimasta la maledizione che de Molay lanciò prima di morire. Rivolgendosi a papa Clemente V e al re Filippo il Bello, che ne avevano decretato la morte sul rogo, pronunciò questo anatema Vi affido entrambi al tribunale di Dio, tu Clemente nei prossimi 40 giorni e tu Filippo prima della fine dell’anno. La predizione di Jacques de Molay si realizzò poiché il papa Clemente V morì un mese dopo e il re Filippo il Bello fu vittima, nello stesso anno, di un incidente di caccia a Fontainebleau. Si può ipotizzare che sia i Càtari che i Templari fossero l’espressione delle società iniziatiche detentrici dell’antica tradizione dei Nativi europei, con la missione di tutelare e tramandare le conoscenze ancestrali dei druidi. Se lo scopo di queste istituzioni era quello di fare in modo che l’antica tradizione celtica non fosse cancellata, possiamo dire che la loro missione è riuscita. Nonostante le feroci persecuzioni, infatti, questa conoscenza ancestrale non è mai morta. Come si spiegherebbe altrimenti la pervicacia con cui vengono tramandate antiche usanze, celebrazioni di chiara ispirazione pagana, feste folkloristiche di stampo celtico? Tutte manifestazioni che non hanno riferimento con la religione e la cultura attuale, e che lasciano trasparire una antica conoscenza che qualcuno evidentemente mantiene viva, se nonostante i tentativi di soppressione operati nei secoli è ancora presente nei giorni nostri. E oggi? Dalla Côte d'Azur alla Languedoc, ad un osservatore attento non sfuggiranno certe associazioni occitane che si riuniscono discretamente, senza troppa pubblicità, con lo scopo di preservare la loro lingua e le loro tradizioni. Alcune di queste sono molto antiche ed hanno partecipato alla fondazione di diverse cittadelle della Languedoc e della Provenza. Ancora oggi il loro potere si estende alla gestione delle comunità locali. Società segrete moderne di discendenza càtara? Se è così di certo non lo danno a vedere. Il passato è stato una dura lezione. Croce càtara in una stele antica Ma sta di fatto che le croci occitane si trovano un po' ovunque, come del resto anche nelle valli del Piemonte, e la mescolanza tra simboli càtari, templari e occitani, antichi e moderni, sembra voler confondere apposta le idee. O forse è il messaggio piuttosto esplicito di una tradizione pagana sopravvissuta alle persecuzioni religiose, una delle molte espressioni dell'antico druidismo europeo che non è mai morto. Anche se apparentemente i Càtari non esistono più da secoli e gli storici sorridono indulgenti quando gli si chiede se esistano ancora, i simboli dei Càtari misteriosamente compaiono dal nulla. E' risaputo che uno dei loro simboli principali era il pentacolo, la stella a cinque punte, un bel simbolo dal significato molto profondo, riferito all'evoluzione spirituale, che purtroppo (e non a caso) è stato demonizzato e relegato dal luogo comune nella sfera dell'occultismo di bassa lega. Ebbene, è capitato che in certe spiagge poco frequentate del Midi della Francia ci si sia imbattuti in uno spettacolo fuori del comune: una cerimonia officiata da un gruppo di persone che compivano passi rituali su un grande pentacolo disegnato sulla sabbia, cantando una nenia come fossero in trance. La presenza dei Càtari rimane anche nei Bonhom, gli enigmatici monumenti di pietra disseminati nelle valli piemontesi, che nel nome ricordano l’appellativo dato ai Càtari: Bon Hommes. Non a caso il termine è usato oggi in modo dispregiativo: i bun om, nei modi di dire piemontesi, sono persone non molto intelligenti. Cumuli di pietre stranamente simili agli Inukshuk degli Inuit, o alle singolari offerte votive che sono ancora oggi erette nella foresta di Brocéliande in Bretagna. Oggi sono interpretati come piloni votivi e sopra molti di essi è stata collocata una croce cristiana. I Bonhom hanno origini incerte, ma il nome e le zone dove si trovano fanno pensare ad una eredità càtara. Gli storici sostengono che i Càtari non esistono più da almeno sei secoli. Ma esiste una realtà che con la giusta chiave si può cogliere. Simboli come il Graal, la colomba, la croce càtara la stessa degli occitani, la rosa a cinque petali, il pentacolo sono presenti in tutti i paesi toccati dai Càtari. I Càtari, ovvero i Druidi del Popolo Occitano, sono stati apparentemente annientati. Eppure la cultura occitana non è mai morta, e rimane vivissima nei paesi dove risiedeva anticamente. Chi le permette di sopravvivere?

1 Settembre 2011 di Rosalba Nattero

Il martirio dei Càtari. In Terra Occitana

I CATARI . Come l'Ordine dei Templari, i Catari non volevano assolutamente credere alla tesi che Gesù fosse morto sulla croce. A ovest nord-ovest di Marsiglia, sul Golfo del Leone, si stende l'antica provincia della Linguadoca i cui abitanti, nel 1208, vennero ammoniti da papa Innocenzo III° per la loro condotta poco cristiana. L'anno successivo, un esercito papale di 30.000 soldati al comando di Simone di Montfort calò sulla regione. Portavano ingannevolmente sul petto la croce rossa dei Crociati in Terra Santa, ma il loro scopo era ben diverso. In realtà erano stati mandati a sterminare la setta ascetica dei catari (i Puri), che risiedevano il Linguadoca e che, secondo il Papa e Filippo II° di Francia, erano eretici. Il massacro, durato 35 anni, costò decine di migliaia di vite umane e culminò con l'orrendo eccidio al seminario di Montségur, dove oltre 200 ostaggi furono bruciati sul rogo nel 1244. In termini religiosi la dottrina dei catari era essenzialmente gnostica: erano persone dotate di grande spiritualità e credevano che lo spirito fosse puro, ma che la materia fisica fosse contaminata. Sebbene le loro convinzioni fossero poco ortodosse, il timore del papa in realtà era causato da qualcosa di molto più minaccioso. Si diceva che i catari fossero i custodi di un grande e sacro tesoro, associato ad un'antica e fantastica conoscenza. La regione della Linguadoca corrispondeva sostanzialmente a quello che era stato il regno ebraico di Septimania nell'VIII° secolo, sotto il merovingio Guglielmo de Gellone. Tutta la zona della Linguadoca e della Provenza era impregnata delle antiche tradizioni di Lazzaro (Simone Zelota) e di Maria Maddalena e gli abitanti consideravano Maria la "Madre del Graal" del vero Cristianesimo Occidentale. Ai pari dei Templari, i catari erano apertamente tolleranti verso la cultura ebraica e musulmana e sostenevano anche l'uguaglianza dei sessi. Nondimeno, furono condannati e brutalmente soppressi dall'Inquisizione cattolica (istituita ufficialmente nel 1233) e accusati di ogni sorta di empietà. Contrariamente alle accuse, i testimoni chiamati a deporre parlavano soltanto della "Chiesa dell'Amore" dei catari e della loro tenace devozione a Gesù. Credevano in Dio e nello Spirito Santo e gestivano una società modello con il proprio sistema assistenziale di scuole e ospedali. I catari non erano eretici, ma semplicemente anticonformisti; predicavano senza autorizzazione e non avevano bisogno di preti, né delle chiese riccamente decorate dei loro vicini cattolici. San Bernardo aveva detto: "Nessun sermone è più cristiano dei loro e la loro morale è pura". Tuttavia l'esercito papale venne, sotto le mentite spoglie di una santa missione, a estirpare la loro comunità dalla regione. L'editto di annientamento si riferiva non soltanto ai catari stessi, ma a tutti i loro sostenitori, che comprendevano quasi tutti gli abitanti della Linguadoca. Per dare maggiore peso alla Santa Inquisizione, i cittadini della regione furono accusati da monaci domenicani di dedicarsi a pratiche sessuali contro natura. Questa accusa ha portato successivamente a ogni tipo di congetture sulla natura di tali perversioni ma di fatto gli abitanti catari della Linguadoca praticavano semplicemente il controllo delle nascite. Come livello di apprendimento e di educazione, i catari erano tra i più colti nell'Europa di quel periodo, permettendo uguale accesso all'istruzione ai ragazzi e alle ragazze. Di tutti i culti religiosi nati in epoca medievale, il catarismo era il meno minaccioso, ma la tradizione sviluppata in Provenza, già dal I° secolo, sulla storia dei discendenti di Gesù alla Chiesa romana non piaceva. Al pari dei Templari i catari non volevano assolutamente sostenere la tesi che Gesù fosse morto sulla croce. Si riteneva così che possedessero sufficienti informazioni attendibili per smentire clamorosamente la storia della crocifissione. C'era soltanto una soluzione per un regime disperato che aveva paura di perdere credibilità. Dalla Chiesa di Roma fu impartito un ordine: "Uccideteli Tutti". CONCLUSIONI. Tutta la zona della Linguadoca e della Provenza in cui si sviluppò il movimento cataro era impregnata delle antiche tradizioni di Lazzaro (Simone Zelota) e di Maria Maddalena e gli abitanti consideravano Maria la "Madre del Graal" del vero cristianesimo occidentale. Ai pari dei Templari, i catari erano apertamente tolleranti verso la cultura ebraica e musulmana e sostenevano anche l'uguaglianza dei sessi. Di tutti i culti religiosi nati in epoca medievale, il catarismo era il meno minaccioso, ma la tradizione sviluppata in Provenza, già dal I° secolo, sulla storia dei discendenti di Gesù alla Chiesa romana non piaceva. Al pari dei Templari i catari non volevano assolutamente sostenere la tesi che Gesù fosse morto sulla croce. Si riteneva così che possedessero sufficienti informazioni attendibili per smentire clamorosamente la storia della crocifissione. I Catari furono condannati e brutalmente soppressi dall'Inquisizione cattolica (istituita ufficialmente nel 1233) e accusati di ogni sorta di empietà. Il massacro, durato 35 anni, costò decine di migliaia di vite umane e culminò con l'orrendo eccidio al seminario di Montségur, dove oltre 200 ostaggi furono bruciati sul rogo nel 1244. I TEMPLARI. Il 13 ottobre 1307 i Templari furono arrestati in tutta la Francia. Sembra che le loro ricchezze vennero caricate su una flotta di diciotto galere. La maggior parte delle navi fece vela per la Scozia. Nel 1099 la Prima Crociata riconquistò Gerusalemme. Il suo maggiore ispiratore fu Pietro l'Eremita, che guidò una sfortunata crociata di uomini, donne e bambini di umili condizione attraverso l'Europa per riconquistare la Terra Santa. La maggioranza di loro non arrivò mai a destinazione; migliaia vennero massacrati lungo la strada da banditi e soldati sbandati dell'esercito bizantino. Sulla scia della sfortunata impresa dell'Eremita, papa Urbano II° radunò un formidabile esercito, guidato dai migliori cavalieri d'Europa. Erano coordinati da Adhémar, vescovo di Le Puy, e alla testa delle truppe c'era Roberto, duca di Normandia, insieme con Stefano, conte di Blois, e Ugo, conte di Vermandois. Il contingente fiammingo era condotto da Roberto, conte di Fiandra, e comprendeva Eustachio, conte di Boulogne, con i suoi fratelli Goffredo di Buglione e Baldovino. Il Sud della Francia era invece rappresentato da Raimondo de S.Gilles, conte di Tolosa. A quel tempo Goffredo di Buglione, era Duca della Bassa Lorena. Aveva ereditato il titolo tramite la madre, Sant'Ida, che aveva fatto ricostruire la grande cattedrale di Boulogne. Da Ida Goffredo aveva ricevuto il castello e le terre di Buglione, ma ipotecò tutta la sua eredità a favore del Vescovo di Liegi per finanziare la sua campagna in Terra Santa. Quando la Prima Crociata prese il via, Goffredo era diventato il suo comandante supremo e dopo la vittoria finale nel 1099, fu proclamato re di Gerusalemme. Di fatto preferì non usare il titolo di re e assunse invece l'appellativo di "Guardiano del Santo Sepolcro". Durante questo periodo nacquero vari ordino cavallereschi, fra cui "L'Ordre de Sion" fondato da Goffredo di Buglione nel 1099. Altri ordini erano i Cavalieri Protettori del Santo Sepolcro e i Cavalieri Templari. Goffredo morì nel 1100, poco dopo il suo trionfo a Gerusalemme, e gli succedette il fratello minore, Baldovino di Boulogne. Dopo 18 anni, a Baldovino succedete (nel 1118) suo cugino, Baldovino II° du Bourg. Secondo le cronache ortodosse, i Cavalieri Templari furono istituiti in quell'anno come "I Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone". Si diceva che erano stati fondati da un gruppo di nove cavalieri francesi, che avevano fatto voto di povertà, castità e obbedienza e avevano giurato di proteggere la Terra Santa. Lo storico franco Guillaume de Tyre scrisse in piena epoca delle crociate (intorno al 1180) che la funzione dei Templari era quella di presidiare le strade percorse dai pellegrini. Ma data l'enormità di un simile compito, è inconcepibile che nove uomini vi riuscissero senza arruolare nuove reclute fino al loro ritorno in Europa nel 1128. In realtà l'Ordine era qualcosa di molto più complesso di quanto appaia dalla cronaca di Guillaume. I Cavalieri esistevano già da qualche anno prima della loro presunta fondazione di Ugo di Payns e la loro funzione non era certamente quella di pattugliare le strade. I Cavalieri Templari erano i diplomatici di punta del re francese in un ambiente musulmano e come tali si sforzavano di ricostruire i rapporti dopo le atrocità commesse da crociati indisciplinati contro gli inermi sudditi del Sultano. Il vescovo di Chartre scrisse di loro fin dal 1114, chiamandoli "Milice du Christi" (Soldati di Cristo). A quell'epoca i Cavalieri erano già insediati nel palazzo di Baldovino, che era situato all'interno di una moschea sul luogo dove in passato sorgeva il tempio di Re Salomone. Ugo di Payns, il primo Gran Maestro dei Templari, era cugino e vassallo del conte di Champagne. Il suo comandante in seconda era il cavaliere fiammingo Goffredo Saint Omer e un'altra recluta era Andrea de Montbard, parente del conte di Borgogna. I Cavalieri erano evidentemente tutt'altro che poveri e non risulta che questi illustri nobiluomini pattugliassero le strade infestate. Guillaume de Tyre omise quindi, volontariamente o non, la verità sul ruolo dell'Ordine. La tradizione vuole, come testimoniano le decine di libri che continuano ad essere pubblicati, ognuno con la sua teoria, che il compito dell'Ordine era quello di trovare e aprire il magazzino (la stalla di Re Salomone) collocato sotto il luogo dove sorgeva il Tempio di Gerusalemme che avrebbe dovuto contenere l'Arca dell'Alleanza, che a sua volta racchiudeva il più prezioso di tutti i tesori: le tavole della Testimonianza. Nel 1127 l'ipotetica ricerca dei Templari era terminata con successo, con il ritrovamento ulteriore di una grande quantità di lingotto d'oro. Nel 1956, all'Università di Manchester è venuta alla luce una prova dell'esistenza del tesoro di Gerusalemme, grazie alla completa decifrazione del "Rotolo di Rame" di Qumran, che ha rivelato come un tesoro inestimabile fosse stato sepolto sotto il Tempio. Alla luce dello strepitoso successo dei Templari, Ugo di Payns fu chiamato da san Bernardo a partecipare all'imminente concilio di Troyes, al quale partecipò realmente, tesoro o meno. Il Concilio di Troyes si svolse come previsto nel 1128 e in quell'occasione san Bernardo divenne il patrono e protettore ufficiale dei Cavalieri Templari. In quell'anno ai Templari venne conferito uno status internazionale come Ordine Sovrano e il loro quartier generale a Gerusalemme divenne la sede del governo della capitale. La Chiesa riconobbe i Cavalieri come ordine religioso e Ugo di Payns (Alias Ugone dei Pagani Signore di Nocera Inferiore titolo Paterno) divenne il primo Gran Maestro. In segno di particolare distinzione, i Templari vennero classificati come Monaci-Guerrieri col diritto di indossare i bianchi mantelli della purezza e con l'obbligo di farsi crescere la barba per distinguersi dalle confraternite minori. Nel 1146, i Templari ottennero dal papa cistercense Eugenio III° il permesso di fregiarsi della famosa croce di sangue convenutale. Dopo il Concilio di Troyes, l'ascesa dei Templari alla ribalta internazionale fu notevolmente rapida. Appena undici anni dopo, nel 1139, papa Innocenzo (un altro cistercense) esentò i Cavalieri da ogni obbligo verso qualsiasi autorità internazionale tranne la sua. Indipendentemente da re, cardinali o governi, l'unico superiore dell'Ordine era il papa. Prima ancora, però, ai Cavalieri furono assegnati vasti territori e cospicue proprietà in molti paesi che andavano dalla Gran Bretagna alla Palestina. Nel 1306 l'Ordine di Gerusalemme era ormai così potente che Filippo IV° di Francia lo guardava con trepidazione: doveva molti soldi ai Cavalieri ma era praticamente alla bancarotta ma temeva soprattutto il loro potere politico. Con l'appoggio del papa, re Filippo perseguitò i Templari in Francia e riuscì a eliminare l'Ordine in altri paesi. I Cavalieri furono arrestati in Inghilterra, ma nord del confine scozzese le Bolle Papali rimasero lettera morta. Questo perché Robert de Bruce e l'intera nazione scozzese erano stati scomunicati per aver preso le armi contro il genero di Filippo, re Edoardo II° d'Inghilterra. Fino al 1306 i Cavalieri avevano sempre operato senza interferenze papali, ma Filippo riuscì a cambiare la situazione. A seguito di un editto del Vaticano che gli proibiva di tassare il clero, il re francese organizzò la cattura e l'assassinio di papa Bonifacio VIII. Anche il suo successore, Benedetto XI, morì in circostanze molto misteriose poco tempo dopo e fu rimpiazzato nel 1305 dal candidato di Filippo, Bertrand de Goth, arcivescovo di Bordeaux, che divenne puntualmente papa Clemente V. Con il nuovo papa sotto suo controllo per via dei debito contratti con lui, Filippo compilò il suo elenco di accuse a carico dei Cavalieri Templari. La più facile da muovere contro di loro era l'accusa di Eresia giacché era assodato che i Cavalieri non accettavano la tesi ortodossa sulla Crocifissione e non volevano portare la croce latina verticale. Venerdì 13 ottobre 1307, i mercenari assoldati da Filippo attaccarono e i Templari furono arrestati in tutta la Francia. I Cavalieri furono imprigionati, interrogati, torturati e bruciati. Testimoni pagati furono chiamati a deporre contro l'Ordine e vennero così ottenute dichiarazioni veramente bizzarre. Malgrado tutto il re non raggiunse il suo scopo primario, in quanto non riuscì a mettere le mani sul tesoro dei Templari. I suoi uomini avevano setacciato gran parte della regione della Champagne e la Linguadoca, ma il tesoro era rimasto ben nascosto nei sotterranei della Tesoreria a Parigi. A quell'epoca il Gran Maestro dell'Ordine era Jacques de Molay, che dette disposizione affinché le loro ricchezze fossero caricate su una flotta di diciotto galere pronte a salpare da La Rochelle. La maggior parte delle navi fece vela per la Scozia, ma Filippo lo ignorava e negoziò con altri sovrani perché perseguitassero i templari fuori dalla Francia. Successivamente Filippo costrinse papa Clemente a mettere fuori legge l'Ordine e due anni dopo, nel 1309, Jacques de Molay fu arso sul rogo. Molti Templari furono arrestati in Inghilterra ma le cose andarono diversamente in Scozia, dove la Bolla Papale fu ignorata. Molto tempo prima, nel 1128, Ugo di Payns aveva incontrato per la prima volta il re Davide I° di Scozia poco dopo il Concilio di Troyes. Re Davide concesse a Ugo e ai suoi Cavalieri le terre di Ballantradoch, vicino al Firth of Forth (l'odierno villaggio di Temple) ed essi stabilirono la loro sede principale sul South Esk. L'Ordine fu quindi sostenuto e incoraggiato dai successivi re, in particolare da Guglielmo il Leone. Vasti appezzamenti di terreno furono ceduti ai Cavalieri, specialmente intorno ai Lothian e ad Aberdeen, e i Templari presero possesso di varie proprietà anche nell'Ayr e nella Scozia occidentale. Dal tempo di Robert de Bruce, ogni successivo erede Bruce e Stewart è stato un Cavaliere Templare fin dalla nascita e, in virtù di questo, la stirpe reale scozzese comprendeva non soltanto re sacerdoti, ma re-sacerdoti-cavalieri. CONCLUSIONI . Con la ripresa di Gerusalemme dagli Arabi, nel 1099, nascono diversi ordini, sia per la difesa della città, che di carattere religioso. L'"Ordine dei Templari" aveva entrambi gli scopi. Composto da uomini di rango medio-alto, i Cavalieri Templari erano i diplomatici di punta del re francese in un ambiente musulmano e come tali si sforzavano di ricostruire i rapporti dopo le atrocità commesse da crociati indisciplinati contro gli inermi sudditi del Sultano. Ugo di Payns, il primo Gran Maestro dei Templari, era cugino e vassallo del conte di Champagne. Il suo comandante in seconda era il cavaliere fiammingo Goffredo Saint Omer e un'altra recluta era Andrea de Montbard, parente del conte di Borgogna. La tradizione vuole che il compito dell'Ordine era quello di trovare e aprire il magazzino (la stalla di Re Salomone) collocato sotto il luogo dove sorgeva il Tempio di Gerusalemme che avrebbe dovuto contenere l'Arca dell'Alleanza, che a sua volta racchiudeva il più prezioso di tutti i tesori: le tavole della Testimonianza. Nel 1127 l'ipotetica ricerca dei Templari era terminata con successo, con il ritrovamento ulteriore di una grande quantità di lingotto d'oro. Alla luce dello strepitoso successo dei Templari, Ugo di Payns fu chiamato da san Bernardo a partecipare all'imminente concilio di Troyes, al quale partecipò realmente, tesoro o meno. Il Concilio di Troyes si svolse come previsto nel 1128 e in quell'occasione san Bernardo divenne il patrono e protettore ufficiale dei Cavalieri Templari. In quell'anno ai Templari venne conferito uno status internazionale come Ordine sovrano e il loro quartier generale a Gerusalemme divenne la sede del governo della capitale. La Chiesa riconobbe i Cavalieri come ordine religioso e Ugo di Payns divenne il primo Gran Maestro. In segno di particolare distinzione, i Templari vennero classificati come Monaci-Guerrieri col diritto di indossare i bianchi mantelli della purezza e con l'obbligo di farsi crescere la barba per distinguersi dalle confraternite minori. Nel 1146, i Templari ottennero dal papa cistercense Eugenio III° il permesso di fregiarsi della famosa croce di sangue conventuale. Nel 1306 l'Ordine di Gerusalemme era ormai così potente che Filippo IV° di Francia lo guardava con trepidazione: doveva molti soldi ai Cavalieri ma era praticamente alla bancarotta ma temeva soprattutto il loro potere politico. Con l'appoggio del Papa, re Filippo perseguitò i Templari in Francia e riuscì a eliminare l'Ordine in altri paesi. Venerdì 13 ottobre 1307, i mercenari assoldati da Filippo attaccarono e i Templari furono arrestati in tutta la Francia. I Cavalieri furono imprigionati, interrogati, torturati e bruciati. A quell'epoca il Gran Maestro dell'Ordine era Jacques de Molay, che dette disposizione affinché le loro ricchezze fossero caricate su una flotta di diciotto galere pronte a salpare da La Rochelle. La maggior parte delle navi fece vela per la Scozia, altri per il Portogallo e la Spagna.

La Provenza, profumo di Lavanda


Con la Crociata promossa da Papa Innocenzo III, dopo una serie di coinvolgimenti con l’Italia, culminati con lo Scisma e il trasferimento della Sede Papale ad Avignone, alla fine del 1400 la Provenza entrò a far parte definitivamente della Francia !!!

 


MEAUX

IL PIU' GRANDE MONUMENTO IN PIETRA DEL MONDO - 1932

Inscription: (On base, left:) FREDERICK MAC MONNIES STATVAIRE/THOMAS HASTINGS ARCHITECTE/EDMONDO QVATTROCCHI/AGRANDISSEMENT ET EXECVTION (On base: front elevation:) AV MOMENT OV S'ENGAGE/VNE BATAILLE DONT DEPEND/LE SALVT DV PAYS IL IMPORTE DE RAPPELER A TOVS/QVE LE MOMENT N'EST PAS PLVS DE REGARDER/EN ARRIERE TOVS LES EFFORTS DOIVENT/ ETRE EMPLOYES A ATTAQVER ET REFOVLER/L'ENNEMI VNE TROVP QVI NE PEVT PLVS/AVANCER DEVRA COVTE QVE COVTE GARDER/LE TERRAIN CONQVIS ET SE FAIRE TVER/SVR PLACE PLVTOT QVE DECVLER (On base, rear elevation:) HERE SPEAK AGAIN THE SILENT/VOICES OF HEROIC SONS OF FRANCE/WHO DARED ALL AND GAVE ALL IN THE DAY OF DEADLY PERIL/TVRNED BACK THE FLOOD OF IMMINENT/DISASTER AND THRILLED THE WORLD/BY THEIR SUPREME DEVOTION/ERECTED IN 1932/BY AMERICAN FRIENDS OF FRANCE/IN MEMORY OF THE BATTLE OF MARNE IN SEPTEMBER 1914

Meaux è un comune francese di 49.421 abitanti sottoprefettura nel dipartimento della Senna e Marna, nella regione dell'Île-de-France. Antica capitale della Brie, i suoi abitanti si chiamano Meldois.

CHALONS EN CHAMPAGNE

“La Trinité souffrante.”

Dans les œuvres d’art du diocèse de Châlons en Champagne.
A la fin du Moyen Âge, se répand une figuration de la Trinité dite “Trinité souffrante”, comme on la voit ici sur un vitrail de l’église Saint-Loup de Châlons en Champagne (fin du XVème siècle). Dieu le Père, assis sur un trône, tient dans ses bras les deux bras de la croix sur laquelle est crucifié le Christ. L’Esprit Saint est figuré sous la forme d’une colombe entre les deux têtes des deux autres personnes de la Trinité. Cette image associe donc le mystère de la Trinité à celui de la Rédemption.
Rubrique alimentée par Jean-Pierre RAVAUX, Conservateur des Musées de Châlons en Champagne
Photo de Hervé MAILLOT - Musée de Châlons en Champagne.

Rivista degli studi orientali - Università di Roma Scuola orientale - 1949

Il primo esempio di una figura con tre facce e quattr'occhi, è l'immagine dipinta sopra una vetrata di Notre Dame di Chalons (XVI secolo) che rappresenta in forma sensibile il mistero della Trinità. Questa rappresentazione simbolica ebbe successo malgrado la disapprovazione dei Vescovi e degli stessi Pontefici Urbano VIII e successivi.

IL NERO NELLA MODA

Alla fine del Medioevo il nero va incontro ad un intenso processo di valorizzazione, che lo fa diventare “un colore alla moda”. Questa rivalutazione nasce sia a livello simbolico che tecnico, come sfida alla perizia dei mastri tintori, perché il nero intenso è stato per molto tempo un colore impossibile da ottenere in ambito tessile. Nella seconda metà del Trecento anche coloro che si occupano di finanza, come i banchieri e i mercanti, iniziano a vestirsi di questo colore. Le corporazioni delle drapperie sono regolamentate da norme severe, che impediscono ad esempio di lavorare con diversi tessuti, oppure di tingere in due colori diversi. Chi tinge di rosso non può tingere di blu, e chi tinge la lana non può tingere il lino. A volte la specializzazione è ancora più radicale, e in città come Lucca, Venezia ed Erfurt i tintori si distinguono in base alla sostanza utilizzata, che sia garanza, chermes o guado. A Norimberga si distinguono i tintori ordinari dai tintori di lusso. Ma il nero costituisce un problema a parte, perché fino alla metà del Quattordicesimo Secolo nessuno è in grado di ottenere neri profondi e brillanti, ma sempre e solo sfumature di bluastro, bruno o grigio. I materiali utilizzati per le tinture nere sono cortecce, radici o frutti di ontano, quercia, castagno o noce, da mordenzare con ossidi di ferro e da utilizzare per più bagni, in modo da ottenere colorazioni più pure e stabili. Il noce è quello che fornisce risultati migliori, con la pecca di avere radici tossiche per il bestiame e di essere associato a superstizioni malefiche. Spesso si dà alla stoffa una base, ovvero un piede, e il piede del nero è il blu, perché solo chi tinge di blu può tingere anche di nero. Ci sono molti tintori fraudolenti che uniformano la tinta alla fine del procedimento usando nero di carbone o nero fumo, tinte effimere che si dissolvono dopo poco tempo, usate anche per trasformare pellicce di coniglio in sontuosi e costosi zibellini. A prova di questo, ci sono giunti molti documenti di denunce e diatribe legali di clienti insoddisfatti dai loro capi neri, soprattutto fra il XIII e il XVII secolo. L’unica tinta nera duratura è data dalla noce di galla, un’escrescenza parassitaria che si forma sopra le foglie di quercia. È un prodotto molto prezioso, perché occorrono innumerevoli noci di galla per tingere pochi metri di stoffa. Inoltre le querce europee ne producono di qualità scadente, e il prodotto va importato dall’Africa settentrionale, dal Medio Oriente e dall’Europa orientale. I tintori a poco a poco scoprono che per ottenere un nero brillante sono necessari la base di guado, ovvero il piede di blu, le noci di galla, i derivati dell’albero del noce e la mordenzatura di ferro. I Primi Neri Perfetti si ottengono in Italia, poi in Germania, e infine in tutta Europa. La moda del nero diventa un dato di fatto fra il 1360 e il 1380, e rimane sulla cresta dell’onda fino alla metà del XVII secolo. I progressi tecnici dei tintori vanno di pari passo con la rivalutazione simbolica e la richiesta di stoffe nere da parte di determinate classi sociali. I giuristi e i magistrati trovano il nero austero e dignitoso, e i professori lo scelgono per le loro lunghe pellande o cioppe. Il nero inizia a piacere a tutte le categorie di togati, ma anche e soprattutto agli strati più ricchi della borghesia, che in base alle leggi suntuarie non possono vestirsi con gli scarlatti veneziani e i blu pavonacei di Firenze, riservati all’aristocrazia. Sono questi borghesi facoltosi che richiedono neri sempre più brillanti, per superare le pellicce di zibellino dei principi, a loro interdette per legge. La Morte Nera della metà del XIV secolo fornisce uno spunto morale per l’austerità del nero. La policromia, gli scacchi, le righe, diventano a poco a poco indegni di un buon cristiano, a meno che non sia un giovane o una donna, preferibilmente di facili costumi. Si usano marchi cromatici (variabili a seconda di tempo e luogo) per contraddistinguere categorie sociali abbiette, come i lebbrosi (bianco), i boia e le prostitute (rosso), i bestemmiatori, gli ebrei, i rei di falsa testimonianza, gli eretici (giallo), i giocolieri, i folli, i musicisti (verde). I giovani eleganti invece si fanno tutti ritrarre con i loro abiti neri, e i più fortunati e ricchi fanno eternare le loro fattezze da Parmigianino, Raffaello, Bronzino, Lorenzo Lotto, Gian Battista Moroni. Anche i Principi si convertirono al Nero. I Primi sono gli italiani della fine del XIV secolo, il duca di Milano, il conte di Savoia, i signori di Mantova, Ferrara, Urbino, Rimini. Valentina Visconti lo esporta in Francia, sposando Luigi d’Orléans, che inizia a sfoggiarlo durante il periodo di follia del fratello Carlo VI. Riccardo II di Inghilterra è genero di Carlo VI, e anche la sua corte si veste di nero. Imitando le corti francesi e inglesi, la moda si diffonde anche in Scandinavia, Polonia e Ungheria. Filippo il Buono, duca di Borgogna dal 1419 al 1467, è il sovrano che per primo adotta sistematicamente questo colore per i suoi paludamenti. Lo adotta come segno di lutto per la morte del padre Giovanni Senzapaura, ucciso dagli Armagnac proprio nel 1419, e non se ne separa più. Carlo il Temerario, figlio di Filippo il Buono, prosegue la tradizione. A metà Cinquecento un’altra donna consacra l’uso del nero funebre presso la corona di Francia, la raffinata arbitra d’eleganza Caterina de’ Medici.
È così che nasce il periodo del nero curiale, ovvero del nero di corte. Diventa poi nero imperiale presso gli Asburgo d’Austria e di Spagna, eredi dei duchi di Borgogna tramite Maria, figlia di Carlo il Temerario, che porta il nero in dote a Massimiliano d’Asburgo, assieme alla rigida etichetta che diventerà un codice imprescindibile presso la corte spagnola, e verrà imitata in tutta Europa a partire dagli anni Venti del Cinquecento. L’imperatore Carlo V ama moltissimo il nero, come rivelano molti dei suoi ritratti, e Filippo II lo ostenterà quando la Spagna avrà raggiunto l’apogeo della sua potenza. Michel Pastoureau afferma che “in Spagna il secolo d’oro è un grande secolo nero.” Con la Riforma protestante il nero diventa un colore moralizzante, e la cromoclastia è da applicarsi soprattutto al tempio, un po’ come ai tempi di San Bernardo da Chiaravalle. Lutero odia in particolare il rosso, che ammanta la chiesa di Roma come la grande meretrice babilonese. Si dichiara guerra alla vanità. La cromofobia dei protestanti si rispecchia anche nell’uso dei colori che fanno i loro pittori, istruiti in particolar modo da Calvino, che dedica molte energie alla trattazione sull’arte. Rembrandt predilige l’utilizzo di pochi colori tendenti alla monocromia, focalizzandosi su una ricerca di spiritualità ed intensità. Anche per quello che riguarda l’abbigliamento i protestanti e le chiese riformate vanno nella direzione del nero. L’abito è un ricordo della Caduta, quando i progenitori dopo il peccato originale si resero conto della propria nudità, ne provarono vergogna, e si coprirono con una foglia di fico. Quindi l’abito deve essere semplice, sobrio, funzionale al lavoro. Alcuni ritratti di Katharina von Bora, moglie di Lutero, la mostrano con mantelli conici neri che ricordano il niqab in uso in Arabia Saudita. Truccarsi e adornarsi è considerato un’oscenità. Non esistono abiti rossi, gialli, verdi, rosa, e neppure viola. Il blu è tollerato se ha toni discreti. I colori accettati sono in primis il nero, il grigio, il bruno e il bianco per donne e bambini. I padri pellegrini esportano queste usanze cromatiche in America. Tutti gli uomini si vestono di nero in Scandinavia, nelle Province Unite, e nell’Inghilterra puritana della dittatura di Oliver Cromwell. Anche i cattolici controriformati si vestono di nero, pur abbinandolo ai gioielli incredibili provenienti dalla razzia d’oro nel Nuovo Mondo. Soprattutto a corte, gli abiti sono delle rigide armature punitive: ostacolano qualsiasi movimento che non sia lento e solenne, e impediscono la vista del proprio corpo peccaminoso, preclusa da enormi ruote di pizzo bianco, le gorgiere. Da allora gli uomini, a parte la parentesi settecentesca, non hanno mai abbandonato gli abiti di colore scuro. Il Seicento non è solo il siglo de oro dei fasti barocchi e delle estasi mistiche, ma è anche un periodo oscuro di disgrazie, guerre, pestilenze, conflitti religiosi e caccia alle streghe. Ovunque dilagano intolleranza, dispotismo, miseria, criminalità e violenza. Le case si incupiscono, sia a livello di ambienti che di mobilio. Le case dei poveri si allineano al gusto del nero essendo più che mai buie e sporche. L’ombra domina le opere pittoriche di Caravaggio e dei suoi successori, Bartolomeo Manfredi, Giovanni Serodine, Gerrit Van Honthorst, lo Spagnoletto, Georges de La Tour. La morte regna ovunque, il memento mori diventa un topos culturale, e a livello sociale iniziano le prime forme di lutto espresso in segni vestimentari praticate anche dalla borghesia, mentre fino a quel momento erano state un lusso esclusivo dell’aristocrazia. Era stata Anna di Bretagna, moglie di Carlo VIII e Luigi XII, a introdurre il nero luttuoso alla corte di Francia, il cui cerimoniale prevedeva fino alla fine del Medioevo il bianco per le regine e il viola per i re. La massificazione vera e propria del lutto in nero avverrà solo nel Diciannovesimo Secolo, in cui il codice comportamentale vittoriano esige una complessa etichetta funebre, con splendidi abiti e accessori ad hoc, ombrelli, ventagli, pettini, borsette, forcine, lacrimatoi cesellati, che devono essere indossati per mesi, spesso per anni a seconda del grado di parentela. Le donne a lutto hanno l’obbligo di portare il velo per un anno, assieme alla gioielleria funeraria, e tutto quanto deve essere di colore nero. Si realizzano ghirlande nere da appendere fuori dalle abitazioni, corone floreali intrecciate con i capelli del defunto, nonché fotografie post-mortem dei cari estinti in posa come se fossero vivi. Ma torniamo all’epoca delle gorgiere. Fra il 1550 e il 1660 avviene un’esplosione esponenziale di casi di stregoneria. Ad essi si affiancano i best-seller editoriali di manuali per riconoscere l’operato del demonio attraverso l’attività delle streghe, come la ristampa del Malleus Maleficarum, oppure De la démonomanie des sorciers. Quest’ultimo è opera di Jean Bodin, filosofo, spirito illuminato e propugnatore della tolleranza religiosa, che in questo caso si diletta a descrivere le forze maligne, i maghi, le streghe e le quindici categorie di criminali a loro connesse, individui che praticano l’antropofagia, il sacrificio rituale di infanti e la fornicazione col demonio. Bodin raccomanda la massima severità, l’applicazione della tortura e della pena capitale. In questa New Wave stregonesca, successiva alla prima ondata che fu a cavallo del XVI secolo, i principali indiziati non sono più gli eretici, quanto le donne, più propense ad avere rapporti sessuali con il diavolo. Il Sabba viene sdoganato nell’accezione corrente all’inizio del XVII secolo. Si svolge di notte, al buio, e i partecipanti vi vanno ricoperti di fuliggine perché sono passati attraverso i camini a cavallo delle loro scope. Sono nerovestiti e intenzionati a celebrare la messa nera, durante la quale compare un animale immondo rigorosamente nero, che sia gallo, gatto, capro, cane, orso, cervo, lupo. Le ostie profanate diventano nere assieme al sangue dei bambini sacrificati. Dopo il sacrificio e la profanazione si pratica la magia nera per poter nuocere a tutti i buoni cristiani che abitano nelle vicinanze. Gli inquisitori, nei loro paramenti teatrali, nelle celle fetide, nelle perversioni logiche e nelle sale di tortura, ostentano un nero ancora più fosco, profondamente spirituale. Anche i giudici e il boia, fino a quel momento vestiti di rosso secondo una tradizione centenaria, diventano neri. Parallelamente a tutto questo orrore superstizioso non può che svilupparsi la scienza, che all’epoca è una pratica rivoluzionaria. Dopo una serie di ricerche e di studi sulla natura del colore, nel 1666 Isaac Newton scopre lo spettro cromatico. La sequenza dei colori è sempre la stessa, il bianco della luce è dato dalla mescolanza di sette colori, che il prisma separa e fa disperdere. Scoprendo lo spettro, Newton estromette il bianco e il nero dalla categoria dei colori. Il nero rimane fuori dal sistema cromatico ancora più del bianco. Questa scoperta costituisce una svolta epocale nella percezione comune dei colori. Nel XVII secolo il colore, una volta compreso ed eviscerato dal punto di vista scientifico, perde molta di quella misteriosa pericolosità che aveva fino a quel momento dato pensiero agli uomini pii, preoccupati della moralità dei loro simili. E quindi il secolo successivo, il Settecento, chiuso fra le parentesi nere del XVII e del XIX secolo, è pieno di colori, di accostamenti sperimentali, acidi ed arditi. L’epicentro è in Francia, dove i colori di moda cambiano a velocità stupefacente. Dominano tutti i colori pastello, c’è molto rosa, azzurro, giallo, grigio. Inizia la grande moda del blu. Il nero scompare sia dai vestiti che dall’arredamento, se non nei paesi iper-protestanti. Ovunque dominano le tonalità luminose del Rococò, nei vestiti, nelle tappezzerie, nei mobili. Il nero torna solo con il Terzo Stato e la Rivoluzione Francese, sposandosi poi col rosso del sangue versato a fiumi da Madame Guillotine.

VIDEO

"Rivoluzione Francese e Massoneria" conferenza del dott. Davide Consonni

TUNISIA

LISTE DES MARIAGES EN TUNISIE DE 1801 À 1949
MATRIMONI - BATTESIMI - SEPOLTURE DEI COMPONENTI DELLA FAMIGLIA QUATTROCCHI RESIDENTI IN TUNISIA.
LISTA DEI MATRIMONI DELLE SIGNORE QUATTROCCHI


QUATROCCHI Elisabeth CATALDO Dominque Bizerte 1903 104
QUATTROCCHI Marie-Anne ANGELICA Dominique Cathedrale 1887 59
QUATTROCCHI Concetta CISCARDI Jean Sfax 1930 24
QUATTROCCHI Maria-Anna CIUFFO Sauveur Ste Croix 1922 17
QUATTROCCHI Séraphine DE MARIA Jean Sfax 1931 1
QUATTROCCHI Louise DOMINICI Jean St Joseph 1947 15
QUATTROCCHI Venera GRASSO Pascal Rosaire 1909 50
QUATTROCCHI Gaétane LA ROSA Antoine Rosaire 1947 124
QUATTROCCHI Pierrette NICOUD Lucien-Marcel Le Kram 1948 5
QUATTROCCHI Conception ORLANDO Rosaire St Joseph 1937 38
QUATTROCCHI Grâce PACENZA Eugène Sfax 1920 45
QUATTROCCHI Conception PAPARONE Pascal Bizerte 1891 10
QUATTROCCHI Lucie PERO Michel Sfax 1897 18
QUATTROCCHI Vincente PIACENTINO Antoine Sfax 1925 52
QUATTROCCHI Carmèle SALAMONE Carmel Medjez-el-Bab 1939 1
QUATTROCCHI Laurence VALENZA Gaétan Cathedrale 1913 19
QUATTROCCHI Rose-Marie VALENZA Gaétan 1914 76
QUATTROCCHI Jeanne VASSALO Joseph Bizerte 1915 24

LISTA DEI MATRIMONI DEI SIGNORI QUATTROCCHI

BATTESIMI QUATTROCCHI TUNISIA

SEPOLTURE QUATTROCCHI TUNISIA

 

LE ORIGINI DEL CORRIERE DI TUNISI E LA RIDEFINIZIONE DELLA COLLETTIVITA' ITALIANA, UNA NECESSITA' !!!

DI LUCIA CAPUZZI E GIUSEPPE MARIA CONTINIELLO DEL 30 NOVEMBRE 2006

La memoria storica degli Italiani in Tunisia, attraverso i loro Periodici. Dopo tredici anni di silenzio, la fondazione del Corriere di Tunisi, nel 1956, diede continuità alla lunga tradizione del giornalismo italiano in terra africana. La stampa in lingua italiana, infatti, è stata l’iniziatrice della stampa periodica in Tunisia, a partire dall’edizione del Giornale. Dal 1964, è importante registrare, l’inizio di una rubrica, a cura di Francesco Quattrocchi, corrispondente da Torino, intitolata, notizie da Tortona. In essa, si racconta la vita del Centro di accoglienza, dando notizia degli infortuni sul lavoro, delle cerimonie, si inviano messaggi di solidarietà, per gli agricoltori italiani di Tunisia, colpiti dalle misure di esproprio, si illustrano le difficoltà nel lasciare il campo mentre gli arrivi si moltiplicano a causa della mancanza di case popolari e degli astronomici prezzi degli affitti. Per quanto riguarda la costruzione di case popolari, il 25 giugno 1964, ci si augurava che esse fossero edificate il più vicino possibile alle città industriali per evitare ai profughi di percorrere 10 o 15 chilometri, due o tre volte al giorno, per trovare un impiego. Le prime trasmissioni in lingua italiana, nell’altra sponda del Mediterraneo. Il Corriere di Tunisi,strumento cartaceo di informazione è, altresì, attento alle nascenti tecnologie, come dimostrano i tanti articoli dedicati prima alla radiofonia e poi alla televisione. Così, la visita del presidente del Consiglio Fanfani al Cairo, conclusasi il 9 gennaio del 1959, diviene l’occasione per parlare della nascita di un programma radiofonico in lingua italiana. Tale visita aveva, infatti, come obiettivo il riavvicinamento economico, culturale e politico tra l’Italia ed i Paesi Arabi, dove erano presenti da tempo comunità di nostri connazionali. È in questo intendimento, che si doveva leggere la nascita di un programma in lingua italiana, a Radio Cairo. Come riporta Il Corriere di Tunisi, nell’articolo del 3 gennaio 1959, dal titolo Emissioni italiane a Radio Cairo, le emittenti radiofoniche egiziane avrebbero mandato in onda ogni sera, dalle 22 alle 22.30, una trasmissione in lingua italiana. L’annuncio, fu accolto con favore dalla numerosa collettività italiana, residente in Egitto, e in tutto il bacino del Mediterraneo Orientale. Esso rivelava, l’interesse di voler accrescere le relazioni, tra Italia ed Egitto, anche attraverso il mezzo radiofonico, ritenuto allora, tra i più moderni, ed efficaci strumenti di avvicinamento tra i Popoli. Al contempo, la RAI premiava, con 4 biglietti di andata e ritorno, per l’Italia, quegli ascoltatori che si fossero distinti, nel contribuire alla diffusione delle sue trasmissioni fra i connazionali, come dal Corriere, nell’articolo Premi della RAI-Tv ,per gli ascoltatori all’estero, del 21 marzo 1959. Il ruolo della radiofonia italiana è di fondamentale importanza, oltre che per la trasmissione della nostra lingua, e della nostra cultura, anche per sensibilizzare il paese, e far comprendere alla collettività italiana le ragioni dei provvedimenti adottati dopo l’indipendenza della Tunisia. Questo appare evidente, nell’articolo dedicato alla RAI. Conversazione Radio sugli italiani in Tunisia, del Consigliere G.W. Maccotta. Giovedì scorso, alle ore 8.45 nel corso del quarto d’ora che il programma nazionale della Radio Roma dedica ai problemi degli italiani all’estero, pubblicato nella stessa data. Secondo Maccotta, l’indipendenza di molti stati dell’Africa e dell’Asia dalle potenze coloniali aveva determinato, importanti mutamenti, nelle condizioni delle collettività europee, anche, di quelle non appartenenti, alle ex potenze Coloniali. Egli affermava: Sono comuni il problema, di natura soprattutto psicologica, dell’inserimento nel nuovo ordinamento politico ed istituzionale della Tunisia, e quello, di natura concreta, della possibilità di continuare a vivere e ad operare tenuto conto del comprensibile desiderio tunisino, di sostituirsi gradualmente agli europei nei posti di lavoro e nelle varie attività economiche che durante il Protettorato erano prevalentemente in mano a questi ultimi. Alla luce di tali intendimenti si spiegavano le misure adottate dal governo tunisino, volte a non autorizzare il lavoro dei tassisti non tunisini, misure che avevano colpito direttamente, o indirettamente, 400 nuclei familiari italiani. La situazione si faceva sempre più preoccupante, nella considerazione che il governo tunisino, aveva preannunciato un piano programmatico di riscatto delle terre appartenenti agli europei, provvedimento che, se attuato, avrebbe colpito oltre 2.000 famiglie di italiani dediti all’agricoltura. Nessuno degli italiani di Tunisia ha abbandonato o abbandona volentieri quella terra, accogliente ed ospitale per la sua natura ed il carattere della popolazione: ma l’Esodo, è determinato, da circostanze obbiettive. Il Corriere, diede particolare risalto alla tematica dei programmi RAI, trasmessi in Tunisia. Il 3 settembre 1960, nell’articolo, "Televisione: Successo Completo", si osservava con soddisfazione che grazie al trasmettitore, di Bou Kornine, recentemente installato dalla RAI, fosse ora possibile seguire i programmi della televisione italiana. Il numero dei Televisori a Tunisi aumenta quotidianamente e sta rapidamente raggiungendo le Trecento Unità.!!! Ma la vera svolta, fu segnata dalla decisione di Radio Tunisi, di diffondere, nell’ambito della sua programmazione, una trasmissione interamente dedicata all’Italia in lingua italiana. Il Corriere registrò l’evento con un’intervista esclusiva al direttore del palinsesto internazionale di Radio Tunisi. Il 5 gennaio del 1963 Il Corriere scrive, dal 1 Gennaio un’ ora di Programmi italiani a Radio Tunisi. Un’intervista esclusiva del Corriere con i promotori dell’interessante iniziativa. Secondo l’articolo, la RadioTelevisione Tunisina, riservando un’ora delle sue trasmissioni alla lingua italiana, nel quadro del suo programma internazionale, segnava una data importante, per le relazioni Italo Tunisine. L’idea di un programma internazionale a Radio Tunisi, ci ha dichiarato il Sig. Hassen Abbàs, direttore dello stesso programma, è nata durante i dolorosi fatti di Biserta. La RadioTelevisione Tunisina, ha sentito il bisogno di comunicare le sue idee, i suoi bisogni al mondo intero senza dovere per questo servirsi unicamente della lingua francese. Da quel giorno, il programma in lingua francese di Radio Tunisi, divenne internazionale. Ma internazionale soltanto di nome poiché, lentamente ma certamente, alla ripresa delle relazioni Franco-Tunisine, il programma ritornò al suo aspetto iniziale. Ed ancora. Ho sùbito pensato, che il primo passo, verso l’internazionalizzazione dei programmi si sarebbe dovuto compiere in favore delle collettività straniere residenti a Tunisi. Gli eccellenti rapporti esistenti fra, Italia e Tunisia da secoli, sono stati recentemente rinforzati dallo scambio di visite, dei capi di stato dei due Paesi. È importante rilevare, come ci dice, Salwa Sayir, attuale conduttrice del programma, che l’italiano, è una lingua molto conosciuta in Tunisia, anche grazie alla televisione, sia pubblica, che commerciale italiana, che nel Paese, è molto diffusa, ed apprezzata. La giornalista afferma pure l’originalità del mio programma, sta nel fatto che esso, non ha mai tradito, le ragioni per le quali è venuto ad essere. Si tratta, infatti, di una finestra aperta sul Mediterraneo che rinsalda attraverso la musica, le parole, le interviste ai tanti ospiti, le relazioni da sempre strette tra questi due nostri paesi. Il primo direttore del Programma Italiano di Radio Tunisi fu Marcello Ettore. Egli raccontò al Corriere, del grande successo, della diffusione della musica italiana, presso i radioascoltatori non solo di Tunisia, ma di tutto il bacino del Mediterraneo. Egli affermava: la reazione del pubblico è stata ottima. Abbiamo ricevuto lettere da tutto il bacino mediterraneo che esprimevano il profondo apprezzamento per l’iniziativa. Il programma si articolava in una prima parte, riservata alle tematiche locali, (attualità, donna, turismo,e ragazzi), un approfondimento culturale, e lo sport !!! Nell’ambito dell’appuntamento giornaliero, era previsto pure un Notiziario sui principali fatti internazionali e della penisola. Mentre la collaborazione con la RAI - Tv si limitava all’invio, da parte di questa, di programmi per lo più culturali. A questi era riservata l’ultima parte della trasmissione. Il tutto è inframmezzato da Canzoni Italiane, per tutti i gusti e da brani Lirici !!! Il Corriere augurava, la piena riuscita di questa ottima impresa, e concludiamo con il ricordo ai radio ascoltatori, che questi programmi, sono destinati a loro, e devono quindi essere impostati, come meglio li aggràda. Che essi, non esitino a scrivere, per dimostrare la loro solidarietà, per eventuali critiche ed apprezzamenti. Questa breve trattazione, sulla programmazione in lingua italiana nel Mediterraneo, nelle pagine de Il Corriere di Tunisi, prosegue per tutto il decennio, con notizie che riportano curiosità, ed informazioni. Ad esempio, l’articolo del 22 agosto 1964, dal titolo Un’interessante inchiesta della T.V. Antenne nel Mediterraneo. Dal Marocco a Malta via Tunisia e Libia. Una intervista al tecnico Mozzanti, registra un pezzo del Radiocorriere relativo all’inchiesta sui paesi del Mediterraneo che càptano la televisione italiana o che con essa collaborano. Ancora in Tunisia non esisteva la televisione locale, tuttavia la diffusione dei programmi italiani, era grande. Unitamente alla radio, la televisione, era ritenuta fondamentale, come strumento di diffusione della realtà italiana, e della sua lingua.

AUDIO

Origini del Corriere di Tunisi e la Collettività Italiana

 

PER NON DIMENTICARE GLI ACCADIMENTI

Da Privilegiati, a Nemici della Francia: la Condizione degli Ebrei Italiani, in Tunisia, tra la Seconda Guerra Mondiale e la Fine del Protettorato !!!

La dichiarazione, della Seconda Guerra Mondiale, e l’ingresso dell’Italia, a fianco della Germania Nazista, contro le Forze Franco Britanniche, il 10 giugno 1940, fece precipitare la situazione nel paese. Tutti gli Italiani furono ridotti al rango di Nemici agli occhi della Reggenza. Tuttavia, il 25 giugno del 1940, in seguito all’occupazione della Francia, da parte delle armate Naziste, il governo di Parigi, fu costretto alla resa obbligata. In tal modo, fu instaurato un governo filo tedesco, la repubblica di Vichy, mentre gruppi di partigiani, guidati da De Gaulle continuarono la guerra contro le forze dell’Asse. La Tunisia, fu sottoposta alla giurisdizione legale, del governo di Vichy. Di fondamentale importanza per la storia della nostra Comunità, fu l’Estensione delle Leggi Razziali, sul Territorio Tunisino. Infatti, alla fine del 1940, dei decreti beylicali, applicarono alla Tunisia tutte le disposizioni proprie, dello Statut, des Jùifs, affermando la discriminazione legale dei cittadini di origine ebraica. Questi, a prescindere dalla loro nazionalità, furono esclusi dalle funzioni pubbliche, fu loro interdetto l’esercizio di certe professioni, mentre le loro imprese furono confiscate e poste sotto amministrazioni provvisorie. Il Governo Italiano, considerò con particolare apprensione tali disposizioni, in quanto, colpendo anche gli Ebrei Italiani, riducevano drasticamente, il potere della parte più dinamica, della nostra Colonia. Le leggi razziali, divenivano l’occasione e lo strumento, per mezzo del quale la Francia riusciva finalmente ad eliminare, il Péril Italien !!! Le autorità fasciste conoscevano il Patriottismo del quale gli Ebrei Italiani, avevano dato prova in passato. Alcuni di loro, avevano aderito al Regime, prendendone le distanze solo in seguito all’adozione, delle Leggi Razziali. Per questo, il Governo Italiano, ritenne possibile, riallacciare i rapporti con i membri, della Comunità Ebraica. Questi ultimi godevano di una certa autorità all’interno della Colonia Italiana, che andava ben oltre, la loro proporzione numerica. Essi costituivano la Classe Dirigente della Comunità, le loro Proprietà erano oltre il cinquanta per cento dei Beni degli Italiani di Tunisia. Così, il sostegno di questa sia pur piccola comunità, poteva essere di reale aiuto, agli interessi Economici e Politici Italiani, a parte il fatto, di per sè notevole, che, dal punto di vista numerico, questi Ebrei costituivano un elemento di Equilibrio tra le due maggiori Colonie Europee.!!! In tal modo, il Governo Italiano, intervenne presso le Autorità Francesi, affinché le Leggi Razziali, fossero applicate in Tunisia, con Flessibilità.!!! Tale orientamento indirettamente, contribuì a tutelare, anche gli Altri Ebrei, poiché, a motivo dell’intervento italiano, le disposizioni più vessatorie, non furono applicate nel Paese.!! Per questo, possiamo sostenere che, fino allo sbarco dell’esercito dell’Asse, gli Ebrei di Tunisi, godettero di condizioni, migliori dei loro Fratelli, che risiedevano nelle zone, sotto l’amministrazione di Vichy, sia in Francia, sia nel Nord Africa. La situazione mutò drasticamente, in seguito all’occupazione della Tunisia, da parte delle forze tedesche. Infatti, minacciando di fucilare i notabili, che avevano preso in ostaggio, al minimo segno di insurrezione, il comando tedesco costrinse la comunità Israelita di Tunisi, a fornire 3.000 Uomini Validi, che furono impiegati per i lavori di trasporto di terra, e furono internati, in Campi di Lavoro,mentre si verificarono numerosi Rastrellamenti, di Popolazione Israelita, inviata nei Campi di Concentramento Europei. Le Autorità Italiane, intervennero Energicamente, al fine di Difendere i Connazionali Ebrei. D’altra parte, il governo tedesco, manifestò una certa disponibilità, ad accogliere le Rimostranze Italiane, in modo da non causare frizioni con l’alleato.!!! Così, fino alla liberazione, gli ebrei italiani ebbero un trattamento preferenziale rispetto al resto della comunità ebraica locale. Essi non vennero reclutati per il lavoro obbligatorio, non furono internati nei campi e non patirono molte delle umiliazioni alle quali furono soggetti gli altri israeliti. Questo, se garantì ai Livornesi una migliore condizione, contribuì ad isolarli ulteriormente dal resto della comunità ebraica che mal tollerava questa ulteriore discriminazione. La sconfitta dell’Asse e l’ingresso delle truppe angloamericane a Tunisi, il 7 maggio 1943, ebbe importanti conseguenze per gli italiani di Tunisia. Da questo momento in poi essi furono considerati come membri di una nazione contro la quale la Francia era in guerra. Tutti gli uomini validi furono internati nei campi o destinati ai lavori pesanti di interesse pubblico, i loro beni, le loro proprietà, i negozi, i magazzini, le case furono oggetto di requisizione. Furono, inoltre, aperti i Campi di Concentramento di Sawaf e Gafsa per gli Uomini e di Gamart per le Donne. A tali misure temporanee se ne doveva aggiungere un’altra di portata più grande. Per un’ordinanza, in data 22 giugno 1944, avente effetto Retroattivo, dal 10 giugno 1940, il Governo Francese, affermava la Fine delle Convenzioni, Franco-Italiane, del 28 settembre 1896. Così, gli Italiani di Tunisia, perdevano il loro Status speciale, e venivano sottoposti, al diritto comune. Inoltre, la legge del dicembre 1923, che attribuiva la Cittadinanza Francese, a tutti gli Europei, nati in Tunisia, da un genitore nato a sua volta, in tale paese, fu estesa agli Italiani. In tal modo, tutti i Bambini, nati in Tunisia dopo questa data, da Genitori Italiani, venivano censiti come Francesi. Nel 1944, vi furono Deportazioni, Espropriazioni, la Chiusura delle Scuole, l’Interdizione di pubblicare Giornali, in Lingua Italiana, e infine l’espulsione di numerose famiglie. A questo si aggiunsero, l’Esclusione dall’Esercizio di Numerose Professioni, e l’Interdizione della Pesca, nelle vicinanze della costa, Tunisina. La mutata situazione determinò l’Esodo, di un gran numero di Italiani.!!! Le Vessazioni, questa volta, colpirono anche gli Italiani, di Origine Israelita, che fino a quel momento, avevano beneficiato, di un trattamento di favore. La liberazione della Tunisia, inoltre determinò, un ulteriore Peggioramento, della condizione degli Ebrei Italiani, Discriminati ora , per la loro Italianità, e per le loro posizioni di privilegio. Al contrario, per gli altri cittadini di Origine Ebraica, la ritirata dell’esercito tedesco rappresentò la fine, di un’esperienza Tragica, ed Avvilente. Furono abolite, le discriminazioni razziali, statuite dal nazismo, contro i cittadini, di Origine Israelita, fu eliminato il lavoro obbligatorio e gli Ebrei rientrarono in possesso dei beni confiscati durante la guerra. Nel 1946, erano presenti nel paese, circa 70.000 Ebrei Tunisini, senza considerare i 25.000 Israeliti, di origine Francese o Italiana. La Comunità Ebraica di Tunisi, fu riorganizzata con un decreto, del 13 marzo 1947, mentre l’iniziativa di numerosi organismi locali, si attivò per risarcire, le Vittime dei Nazisti.!!! Dal 1945 iniziò, inoltre, anche dalla Tunisia un continuo Esodo di coloni Ebrei verso la Palestina, esodo che si intensificò dopo la formazione dello Stato d’Israele. Tra il 1948 e il 1955, circa 25.000 ebrei, si recarono nel nuovo stato. Protagonisti di tale flusso furono prevalentemente gli esponenti più tradizionalisti ed integralisti della comunità, mentre quelli più occidentalizzati, si diressero in Francia. D’altra parte, nel dopoguerra si verificò un profondo mutamento della struttura demografica del paese. Se confrontiamo i dati relativi alla popolazione, italiana e francese, nel periodo della seconda guerra mondiale, e quello immediatamente successivo, fino al conseguimento dell’indipendenza da parte della Tunisia, notiamo che essi mostrano un’evoluzione inversa. Infatti, la popolazione francese aumentò considerevolmente, raddoppiando di importanza in venti anni e divenendo, nell’insieme Tunisino, la Colonia Europea Più Numerosa. !!! Indubbiamente, in tale crescita, giocò un ruolo di primaria importanza, l’Acquisizione della Nazionalità Francese, da parte di numerosi elementi della popolazione Europea, già stabilitisi nel paese, sia a titolo collettivo, che a titolo individuale. Al contrario, mentre gli effettivi della popolazione Francese, conoscevano una progressione spettacolare, quelli della popolazione Italiana, subivano dal 1936 al 1956, una riduzione continua.
Le ragioni di tale diminuzione, sono ben chiare. In primo luogo, all’indomani della liberazione del paese, dalle truppe dell’Asse, le Autorità Francesi, procedettero all’espulsione di un certo numero di italiani, considerati, come Nemici della Francia. Il provvedimento riguardò agenti fascisti, insegnanti, giornalisti, medici, avvocati, farmacisti, ed anche, il personale di diverse Istituzioni Italiane. Gli espulsi, ammontarono, a circa 1.200. Aggiungendovi i membri delle loro famiglie, che ne condivisero le sorti, il provvedimento interessò, tra le 4 e le 5.000 persone. Inoltre, la Naturalizzazione Forzata, e quella prodotta, dal desiderio di molti Italiani, di vivere in Tunisia, godendo degli stessi vantaggi dei Francesi, indebolirono ulteriormente la collettività. Diminuendo il numero degli effettivi, della Colonia Italiana, diminuiva anche il suo Ruolo Economico.!!! Possiamo affermare che, con la fine della Guerra, la vittoria degli alleati, la caduta del fascismo, la Comunità Italiana, entrò in una nuova fase. Ridotta nel 1946, a circa 85.000 componenti, secondo l’Ultimo Censimento Ufficiale, Prostrata, Privata delle Sue Istituzioni, Ridotta al Silenzio, per il Divieto di Divulgare Giornali, in Lingua Italiana, essa fu Costretta, a Ridefinirsi dal punto di vista Politico, Economico e Culturale !!!

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Ebrei Italiani in Tunisia

L’ Egitto lo lasciammo definitivamente nel gennaio del 1957, in pieno inverno, mia madre aveva solo 27 anni mentre mio padre ne aveva 44. Presero tale decisione per rendere un futuro più tranquillo a me ed alle mie sorelle, infatti come chi legge ben sa, la caduta di “Re Farouk”, governatore d’Egitto, fu determinante per gli stranieri, la nuova Repubblica aveva nazionalizzato tutto incominciando dalla "Compagnia del Canale di Suez" di proprietà franco-britannica e non c'era più posto per la libera imprenditorialità degli stranieri…, già stranieri, perché, nonostante fossimo nati e cresciuti in quel paese e parlassimo perfettamente la lingua locale, non prendemmo mai la cittadinanza egiziana. Erano, inoltre, già state innescate iniziative belliche che rendevano la permanenza sempre più difficoltosa, Era tempo di tornare a casa, così i miei pensarono bene ad andarsene.

Breve storia della famiglia Armando Quattrocchi - a cura di Edgardo Quattrocchi

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America del Nord Quattrocchio e Quattrocchi
America del Sud Quattrocchio e Quattrocchi

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Basilicata Quattrocchio Quattrocchi
Biografia Gilberto Quattrocchio
Calabria Quattrocchio Quattrocchi
Campania Quattrocchio Quattrocchi
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Esempi di genealogie disinvolte
Francia-Tunisia Quattrocchio Quattrocchi
I miei genitori: Gildo Quattrocchio e Emanuela Cuomo
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